mercoledì 5 marzo 2014

Vita a saint Louis, 2

Un angolo di mondo
VITA A SAINT LOUIS (SENEGAL)
di Letizia Menallo

Vedi anche: Nessuna strada conduce ad un albero senza frutti 

                    Vita a Saint Louis, 1



Che tu abbia bisogno di un tetto sopra la testa o che tu sia un bambino di strada che chiede da mangiare per strada con il tuo cestino di plastica. Le persone sono generose, chi ha di più condivide. Soprattutto il cibo. Per noi che non siamo abituati è una cosa commuovente, che ci fa comprendere quanto sia stupido essere egoisti come siamo nella nostra società. I figli che iniziano a lavorare danno molto del loro salario ai genitori, le famiglie più abbienti preparano da mangiare anche per i bambini di strada, gli amici che hanno bisogno di ospitalità vengono ospitati anche se sono ancora  minorenni. Tutto va condiviso.

Così si esce per strada la mattina e si inizia a percorrere le vie sabbiose dei quartieri, in cui la gran parte delle case non ha il numero civico né il nome delle strade. Le casette basse, bianche, quadrate, con le porte di ingresso quasi sempre aperte, i bambini e i ragazzi che vanno a scuola in uniforme, a piedi, tutti in gruppo o con i fratelli più grandi. Lì i genitori non sono apprensivi come da noi, i bambini vanno sempre a scuola da soli e giocano per le strade anche la sera perché non è pericoloso: in quartiere ci si conosce tutti e i bambini sono considerati molto importanti e quindi protetti. E’ incedibile la quantità di bambini che si vede per strada, e in generale di popolazione giovane.

Si cerca di attraversare le vie principali facendosi strada tra i frequentissimi taxi gialli, le automobili sgangherate , i carretti trainati dai cavalli e gli autobus pubblici, questi ultimi sicuramente i più folcloristici: sono talmente pieni di gente che molti salgono a bordo restando attaccati fuori, in piedi.
Se si è un volontario che viene dall’occidente si verrà quasi sicuramente inseriti in progetti a favore dei bambini Talibés, che vivono nei Daara (il nome Wolof  per la scuola coranica).
Una persona che si reca in Senegal come turista non potrà mai visitare un Daara, ma i volontari che hanno la fortuna di farlo non potranno scordalo  molto facilmente. In Senegal tutti i bambini musulmani devono frequentare la scuola coranica ma se da un lato molte famiglie scelgono di far frequentare ai figli la scuola francese  durante la settimana (la scuola come da noi, in cui si imparano le varie materie) e la scuola coranica solo il weekend oppure nei tre mesi di vacanze estive, dall’altro lato ci sono delle famiglie (soprattutto provenienti dai villaggi) che ritengono prioritaria la sola educazione religiosa e quindi mandano i figli, anche piccolissimi, a vivere in questi Daara per studiare lì con i Marabut (i maestri di Corano). Le famiglie che operano questa scelta sono le famiglie più povere, che avendo molti figli non hanno la possibilità di mantenerli.
Il problema è che molti di questi Daara in cui i bambini vivono non sono a pagamento e questo significa che il Marabout non dispone di soldi e non può dare da mangiare ai bambini né cure mediche né un posto adeguato dove dormire e trascorrere la giornata.

E’ così che in alcuni Daara i bambini vengono mandati a mendicare per strada, chiedendo soldi o cibo. Ogni tanto ci sono alcuni marabout che addirittura picchiano i bambini se questi non portano abbastanza soldi a fine giornata. Bisogna dire però che ci sono anche situazioni meno al  limite, anche se più in altre città che a saint Louis: ad esempio, ci sono daara a pagamento in cui i bambini vivono ma vengono anche mantenuti dal punto di vista sanitario e alimentare. Non ho avuto occasione di vedere questi daara ma me ne hanno parlato.
I talibés sono subito riconoscibili per la strada: ce ne sono molti e non hanno quasi mai scarpe né vestiti puliti. Le teste impolverate, i vestiti logori, a volte le tavole di legno sottobraccio con incise le sure del Corano. In tutta la città ci sono vari centri che offrono cure mediche a questi bambini e possibilità di lavarsi, e il più delle volte ci si reca direttamente sul posto per prestare le cure di primo livello: di solito si tratta di ferite che si sono aggravate per il fatto di avere dovuto sopportare la vita di strada, la sabbia, lo sporco, la mancanza di scarpe. Allora si entra in questi daara, spesso costituiti da baracche e piccoli cortili in cui ci si fa strada tra sabbia e rifiuti e a volte anche galline e altri animali randagi.
 Vestiti sparsi, confusione, scarpe spaiate, e la dolce cantilena dei bambini che ripetono il corano alla presenza del marabut, seduti per terra.
I talibès sorridono sempre, è pazzesco perché veramente non hanno nulla, neppure più una famiglia vicina, ma è anche bello. Non hanno paura a farsi curare le ferite, sopportano il dolore in modo molto coraggioso. Sanno badare a sé stessi, sanno lavarsi i vestiti e procurarsi il cibo di cui hanno bisogno. In città tutte le persone sono generose con i  talibés, e nessuno li manda via dai negozi o da altri luoghi pubblici.
Tutto questo ai nostri occhi appare veramente sconvolgente e difficile da capire, come tutto il Senegal in generale. E’ un paese pieno di contraddizioni ma è anche un paese dove non esistono tanti dei nostri problemi, nulla è in più e si dà veramente valore a quello che si ha.


Anche se la vita è dura, a un senegalese non mancherà mai il sorriso sulle labbra, sia che sia un adulto sia che si tratti di un bambino. Alcuni penseranno di emigrare da qualche parte, magari in Italia (noi italiani siamo parecchio simpatici ai senegalesi), molti altri resteranno nel loro paese, colorato, chiassoso e caldo. Caldo sia per il clima ma soprattutto per l’accoglienza che si riceve.

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