lunedì 25 aprile 2016

Controcorrente: la colonna della libertà



La colonna della verità dimezzata








Macabra messinscena, carnevalata, vuoto di memoria, schiaffo alla storia, l'ignoranza al potere. Questi e altri titoli simili hanno girato nella mia testa per questo post, poi ho ripiegato su "la colonna della verità dimezzata".
Infatti che la liberazione dell'Italia dal nazifascismo sia stata realizzata dall'azione e dal sacrificio delle armate alleate è una verità storica incontrovertibile. 
Ridurre questa verità ad una sfilata di figuranti (stile repubblica serenissima) è uno sfregio alla storia, alle città
di Padova, Vicenza e a tante altre del Veneto, tutte medaglia d'oro della Resistenza.
Sì, il piccolo dettaglio che si dimentica è che dall'otto settembre 1943 operavano nel Veneto numerose brigate partigiane, di ogni colore. Forse anche nelle famiglie dei più zelanti revisionisti di oggi c'è stato un partigiano o un internato nei campi di concentramento nazi-fascisti perché si rifiutava di aderire e combattere con la repubblica di Salò. Ma l'incultura o  la convenienza politica del momento ha spinto questi signori a salire sul carro (d'epoca) del vincitore del momento, che vuole cancellare, attraverso l'adesione ad una sfilata degna del carnevale di viareggio, la realtà della resistenza, viva ieri come oggi. La convenienza politica induce anche a livello locale ad accodarsi non solo ai revisionisti (per carità, una qualche ragione ce l'hanno anche loro), ma ai fascisti veri e propri, quelli che "quando c'era lui i clandestini li buttavano a mare"...
Consiglierei a questi signori un giro nella piazza di Bassano: ci sono ancora affisse ad ogni albero le foto dei giovani partigiani impiccati. O ancora più semplice per le loro menti semplici: guardare il film "I piccoli maestri".
Consiglierei ai maniaci della rete  di ascoltare il (breve, lo assicuro) discorso di Pertini, che incita all'insurrezione i milanesi o di guardare semplicemente la storica firma della Costituzione italiana. Chi sono costoro? 
Ecco la verità che non si vuole più nominare: dalla Resistenza, ben al di là dei suoi meriti bellici e insurrezionali, bensì dal suo spirito libertario e innovatore è nata la Costituzione.

Niente di intoccabile nella Costituzione, anche se l'eroico furore democratico che l'ha generata meriterebbe più rispetto e conoscenza. Ma per cambiarla adesso, almeno ci vorrebbe un'analogo sforzo di mediazione, di solidarietà e qualcuno la cui levatura morale e culturale somigli anche se alla lontana a quella dei costituenti. Invece, tramontato l'astro del cavaliere mi ritrovo verdini, che alza la manina determinante al seguito della appassionata costituzionalista Maria Elena. 
Per tutti, un corso elementare di storia e di educazione civica con esame finale obbligatorio: forse non "twitterebbero" più  le attuali banalità.  

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Mestrino, 25 aprile 2015, i testi


giovedì 21 aprile 2016

Margherita Asta: Sola con te in un futuro aprile


Riina Junior, Padova e altro ancora





..Stasera, dopo aver parlato con quell'avvocato che mi ha accolta come una sorella, ho capito che sono rimasta viva anche per raccontare la storia di mia madre e dei miei fratelli e che in questo modo posso dare un senso alla loro morte. Mi ha fatto capire che posso smettere di essere una vittima per diventare una testimone contro la mafia... 

Queste, tra le tante,  sono parole di Margherita Asta, tratte dal suo libro, scritto a quattro mani con Michela Gargiulo: "Sola con te in un futuro aprile"- Fandango libri.
Margherita nel 1985 ha solo undici anni. In quel lontano 2 aprile,  non sopportando di arrivare in ritardo a scuola a causa dei capricci dei fratellini chiama la mamma di una compagna per farsi  accompagnare a scuola da lei. Dopo alcuni minuti dalla sua partenza, riesce ad uscire da casa anche la mamma di Margherita, Barbara Rizzo, con i due  gemellini Giuseppe e Salvatore. 


Alla prima curva l'auto della giovane mamma viene sorpassata da quella blindata del giudice Carlo Palermo. In quel momento un'auto posteggiata sul ciglio della strada viene fatta esplodere con 100 chili di tritolo. L'auto di Barbara Rizzo fa da scudo a quella del giudice, che esce traumatizzato ma sostanzialmente illeso dall'attentato. Dell'altra auto e degli occupanti non rimarrà nulla se non miseri frammenti e una macchia rossa su un muro. 
"Papà è sangue nostro quello?" domanderà Margherita bambina al padre, quando si troverà a ripassare sul luogo dell'attentato. 

Nel libro, Margherita ci ha messo l'anima e i ricordi, Michela la penna, entrambe la passione civile. Così la vicenda personale e familiare di Margherita si intreccia con la storia della mafia; c'è praticamente tutta la storia d'Italia negli ultimi trentanni...
Non sono un critico  e non mi azzardo a cercare pregi o difetti di tipo  strettamente letterario, posso solo affermare con sicurezza che il volume si legge tutto d'un fiato: è appassionante sia per chi a quelle vicende ha assistito negli anni della giovinezza e poi della maturità, sia per chi ne ha conoscenza solo indiretta, perché nato dopo. Da consigliare come testo di educazione civica nelle scuole: c'è la storia, ci sono gli eroi famosi, ma anche oscuri della legalità, c'è una grande lezione di coerenza, di passione, di lotta civile. 
Sono orgoglioso di avere portato Margherita e Michela a Padova proprio nei giorni della squallida performance di
Vespa che duetta con Riina junior. Vengo a sapere oggi che il libro del mafioso sarà presentato anche in una libreria di Padova. E' appena il caso di ricordare che Riina senior è stato definitivamente condannato come mandante della strage di Pizzolungo, proprio quella che ha rubato la famiglia e l'infanzia a Margherita... 

Articoli correlati:
Margherita e Michela all'istituto Scalcerle

Impastato sull'intervista a Riina J.


martedì 19 aprile 2016

Referendum, dal 1946 al 2016


Un'arma spuntata



I bei tempi del 1974 (referendum sul divorzio) non torneranno più. Molte le concause: la caduta delle ideologie, le esagerazioni alla Pannella, alla Segni e quelle ambientaliste, la perdita di fiducia nelle istituzioni assaltate da arrivisti e arruffapopolo, apparentemente inamovibili,  la dilagante anticultura del ventennio berlusconiano, la crisi che colpisce un po' tutti, le paure ancestrali alimentate scientificamente dagli sciacalli della politica, lo sciocchezzaio del web, e, ciliegina finale, la pochezza degli attuali leaders politici. Bisogna rassegnarsi! Ma l'analisi dell'andamento dei flussi e dei quorum altalenanti, fatta la tara del fisiologico e ormai irreversibile decremento dei votanti, riserva talvolta delle sorprese. 
Dei settantuno quesiti referendari in 70 anni, tra abrogativi, confermativi, istituzionali e consultivi, ne ho votato sicuramente 70: mi manca solo quello istituzionale del 46 ovviamente. Ma confesso che di alcuni non  ho neppure una vaga memoria. Forse l'istituto referendario, messo a punto negli anni settanta nella sua forma abrogativa, è stato "leggermente" abusato, complice il Pannella del secondo periodo, il Segni e, ai giorni nostri, i "governatori" delle regioni. Alle questioni generali, a cui la gente può appassionarsi, sono state affiancate sempre più spesso quesiti secondari o esclusivamente tecnici, il cui appeal è quanto meno discutibile. E la gente non va.

Mi sembra inutile, ingiusto e infantile attribuire ai cittadini la "colpa" del mancato raggiungimento del quorum che fa capolino nel '90, per poi ripetersi nel '97, nel 2000, nel 2003, 2005, 2009 e infine nel 2016. Non è neppure la prima volta che accade, come domenica scorsa che un capo di governo spinga alla diserzione. Prima di Renzi lo aveva già fatto Craxi. 

La gente talvolta non va, talvolta va, talvolta offre risultati inaspettati, non allineati, trasversali, ma molto spesso antigovernativi, al di la di chi sia il potente del momento. E' successo nel 1974 col divorzio e la cosa si è ripetuta nel 2011 con l'acqua pubblica. Prudenza vorrebbe che alla fine del gioco nessuno si attribuisse un merito particolare, nè del raggiungimento del quorum, né del contrario  e tanto meno nella paternità della vittoria dei si. Ma c'è sempre uno "ciaone" di turno e spesso molti più di uno. 

La storia dei referendum, in sintesi. Qui la fonte completa dei dati
L'affluenza è stata sempre calante, dall'89,1% del 1946 si passa all'87,7% del 1974 (divorzio), quota altissima, ma sull'onda della novità e della voglia di modernità del tempo. 
Siamo già all'81% nel 1978 (ordine pubblico e finanziamento dei partiti), per planare al 77,9% del 1985 sulla scala mobile, con le firme raccolte dall'allora PCI.
Sul nuclare del 1987 si cende già al 65,1%, tuttavia con una stragrande vittoria degli abolizionisti.
Grandissima sorpresa nel 1989, al referendum consultivo per il conferimento del mandato costituente al Parlamento Europeo: votanti 80,7%, si all'88%.
Il primo campanello d'allarme nel 1990 su caccia e pesticidi: quorum non raggiunto (43% circa).
Rimonta nel 1991, per l'abolizione delle preferenze plurime alle elezioni nazionali (quorum 62,4%, stragrande affermazione dei si, al 95,6%). 
Nel 1993 si ritorna a votare con un lunghissimo pacchetto di quesiti, trainante il finanziamento pubblico dei partiti. Interessante la lettura delle percentuali dei si abrogazionisti, che hanno vinto su tutti i quesiti, ma con ampie differenziazioni: dal 905 al finanziamento pubblico dei partiti al 55% delle norme sulla droga. Difficile raccapezzarsi all'interno della "scheda lenzuolo", ma molti l'anno fatto.
Nel 1995, l'affluenza è al 56,9% e si tratta di quesiti molto tecnici su sindacato, RAI, soggiorno cautelare, legge elettorale dei comuni ecc: non me ne ricordo nulla! Solo una cosa mi è rimasta in mente: in quell'occasione il popolo televisivo si espresse per il mantenimento delle interruzioni pubblicitarie durante le trasmissioni televisive: quello era il popolo berlusconiano. Nessun disprezzo, per carità, non era colpa loro...
Nel 1997 altro tonfo referendario, con l'afflusso al 30%: c'era un po' di tutto: dalla golden share all'obiezione di coscienza, passando dalla caccia e dall'abolizione degli incarichi extragiudiziari ai magistrati. Richiamo: zero!
Anni 1999,  2000 e 2003: è l'era dei referendum targati Segni: affluenza rispettivamente 49,6% (abolizione del voto di lista per le elezioni del 25% dei deputati), al 32,2% (rimborsi elettorali magistratura ecc.), al 25% del 2003 (articolo 18, promosso da Rifondazione,  ed elettrodotti).
Tristissima parentesi quella del 2005; siamo all'apogeo della stella berlusconiana, che riesce ad oscurare la volontà di contare e di decidere dei cittadini sulla famigerata legge sui "diritti del concepito" e sulla fecondazione eterologa. Affluenza al 25,9%: parziale giustificazione dell'elettorato la particolare complessità etica della questione.
Nel 2001 si tiene il primo referendum confermativo, riguardante la revisione del titolo V della Costituzione, voluta anche in quel caso dalla sola maggioranza di allora (governo Amato). Nel 2006 si tiene il secondo referendum confermativo sulla riforma costituzionale del governo Berlusconi, anch'essa votata a colpi di maggioranza: vota il 52% degli aventi diritto e la riforma viene cassata dal 61,3% dei no (per fortuna!). Su questi due referendum particolari, per i quali non è previsto un quorum,  ritornerò in un prossimo articolo. 
Poi nel 2009 (21 e 22 giugno) i referendum sulle leggi elettorali, targati ancora Segni;   la maggior parte degli italiani è già alle Seichelles: va a votare solo il 23%. 
La sorpresa più ampia sicuramente il recupero del quorum ai referendum sull'acqua pubblica del 2011: si raggiunge quasi il 55 per cento, ma questa è storia contemporanea.



lunedì 11 aprile 2016

Margherita Asta e Michela Gargiulo a Padova






Ma quello è sangue nostro?


















Se la società va in una direzione la scuola  ha il dovere di andare dall'altra (A. Solero)




Negli stessi giorni in cui  Bruno Vespa ospitava nel suo osceno salotto il figlio di Totò Riina, condannato nel 2004 anche come mandante della strage di Pizzolungo, l’Associazione Storia e Vita, oltre a Giovanni Impastato ( vedi qui ) ospitava presso l’Istituto Scalcerle di Padova Margherita Asta, figlia di Barbara Rizzo e sorella di Giuseppe e Salvatore Asta.


Margherita in quel tragico 2 aprile del  1985, non tollerando i ritardi e i capricci dei fratellini Giuseppe e Salvatore, decide di farsi accompagnare a scuola dalla madre di un’amica: alla prima ora ha una verifica importante e non può tardare. La madre Barbara esce qualche minuto dopo con i due gemellini. Ad una curva viene sorpassata da un’auto blindata, su cui viaggia il giudice Carlo Palermo. In quel preciso istante una terza auto, parcheggiata sul ciglio destro della strada esplode, facendo scomparire nel nulla i corpi di tre vittime innocenti. Il giudice Palermo esce quasi illeso dall'attentato: si era dovuto sedere a sinistra dell’auto blindata, perché lo sportello di destra, dove era abituato a salire, in quei giorni aveva la sicura bloccata e non c’erano i mezzi per ripararla.   

Questo è l’inizio della storia che Margherita Asta, splendida siciliana che vive adesso a Parma, racconta nel suo libro, intitolato “Sola con te in un futuro aprile”, assieme alla giornalista free lance  Michela Gargiulo.

Margherita lo ha scritto per tenere uniti i cocci della sua vita, Michela ha aggiunto di suo una lucida ricostruzione storica e giudiziaria delle vicende legate alle inchieste del giudice Palermo partite da Trento e approdate in Sicilia.

 Il dramma umano del giudice Palermo, sopravvissuto alla strage e mai ripresosi si intreccia nel libro, che si legge con commozione e tutto d’un fiato, alle vicende di Margherita e della sua famiglia.
Apprezzatissima Margherita da una platea fittissima di studenti, che avevano scelto volontariamente la sua conferenza, durante un giorno di sospensione delle lezioni ordinarie. Commozione, domande, empatia e una grande umanità che dopo quattro ore di incontro nessuno avrebbe voluto interrompere.

Apprezzata moltissimo anche Michela Gargiulo, per la sua lucida e avvincente ricostruzione delle vicende della mafia siciliana e dell’Italia di questi ultimi trentanni. Una vera lezione di giornalismo, agli antipodi di un Vespa, da sempre lacchè di ogni potere e adesso divenuto anche, consapevolmente o meno, megafono della mafia.

Paolo Menallo e T. Rescio

Per approfondire

domenica 10 aprile 2016

Riina a porta a porta, le reazioni



Io appartengo ad una famiglia di origine mafiosa...




Queste parole introducono o comunque ricorrono negli interventi che Giovanni Impastato da quasi venti anni si prodiga si offrire al pubblico di tutta l'Italia. 
Anch'io l'ho sentito evocare le sue origini seguendolo nei tre appuntamenti organizzati per conto dell' Associazione Storia e Vita nei due giorni scorsi. Ma ogni volta, con il pubblico adulto di Rubano, con gli studenti dell'Einaudi o con quelli della consulta padovana, il suo discorso è stato variato, ha toccato mille temi diversi, ma con un unico leit-motiv: le catene che ti tengono legato alle tue origini, culturali, geografiche e familiari, anche se la tua famiglia è di mafiosi, si possono spezzare. Peppino Impastato per primo, Giovanni e la madre Felicia lo hanno fatto, chi a costo della vita, chi con un supremo impegno politico, personale e culturale. Ed ho avuto anche la fortuna di assistere alla genesi e all'inoltro della lettera sdegnata scritta al direttore della RAI e pubblicata oggi da Repubblica. La offro anche ai visitatori di questo blog con l'impegno di approfondire successivamente  implicazioni e dettagli che Giovanni Impastato qui non esprime.  

Caro direttore generale della RAI, come lei certamente sa, mio fratello, Peppino Impastato, è stato barbaramente ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978. Dopo il film I cento passi di Marco Tullio Giordana, due anni fa sono stato coinvolto da Matteo levi della casa di produzione "11 Marzo Film", nel progetto di una pellicola che avrebbe dovuto raccontare il coraggio di mia madre, Felicia Bartolotta, che, con fierezza e tenacia, si é battuta contro tutto e tuttiper ottenere verità e giustizia.
Il film, dedicato a mia madre, è stato realizzato  ed è stato prodotto da una delle reti che stanno sotto la sua direzione, RAI 1, la stessa che nella trasmissione "posrta a porta" ha messo in nda l'intervista del figlio di Totò Riina. Questo figlio, che a differenza di Peppino, di mia madre e di tutta la nostra famiglia, non rinnega un padre mafioso, anzi lo difende e nega ogni condanna pronunciata contro di lui.
Tutti conoscono, compreso lei, la storia del criminale al quale sono state imputate diverse stragi e le uccisioni di molti padri e figli innocenti. Ritengo inconcepibile che sia stato permesso di dare spazio a questa persona senza pensare alle conseguenze di un messaggio diseducativo soprattutto nei confronti delle nuove generazioni. Una messa in onda lontana anni luce dal "dovere di cronaca" e che può ricondursi piuttosto ad un'operazione di basso livello editoriale per l'uscita di un libro che non merita di essere promosso e tanto meno dalla nostra TV pubblica.
Non penso- come sostiene Bruno Vespa- che sia questo il modo di conoscere o studiare il fenomeno. ma è piuttosto un modo per far crescere l'audience al costo di calpestare la dignità di molte persone- come noi- che hanno pagato un prezzo altissimo con il sacrificio dei propri cari. Npn si può giocare con il sangue delle nostre vittime cercando forzatamente lo scoop e destando la curiosità del pubblico con operazioni di cattivo gusto sino a mitizzare il mafioso. 
Le confesso di essere molto in difficoltà, dopo quello che è successo, nell'accogliere con entusiasmo il film su mia madre, pur rispettando il lavoro e il valore del regista Gianfranco Albano, degli sceneggiatori Monica Zappelli e Diego De Silva e di una straordinaria interprete come Lunetta Savino. E le confesso anche che, tanto è stato il mio sconcerto in queste ore, che ho pensato ad una diffida alla sua azienda a trasmettere il film. Ma non permettere al pubblico di conoscere la storia di mia madre sarebbe come darla vinta ad una informazione malata di protagonismo che, pur di affermarsi, è pronta anche a calpestare il dolore dei parenti di tante vittime innocenti.
Le storie di mia madre, di Peppino, di tutti noi e di tanti altri, comrpesi quei figli delle mafie che hanno fatto la scelta coraggiosa di rinnegare il loro stessi padri (una fra tutte Rita Atria),  meritano di essere raccontate. Siamo noi la linfa di questo paese e, finchè vivremo, lotteremo per sconfiggere il potere mafioso, a dispetto di questi indegni spettacoli che i media ci offrono.
Giovanni Impastato

Il parere di Saviano

giovedì 7 aprile 2016

I paracarri della maggioranza




Rettifica, anzi doppia rettifica








Qualche giorno fa, sull'onda dell'indignazione (e della febbre) ho pubblicato un articoletto ( vedi qui ) che stigmatizzava il comportamento della maggioranza di un certo comune della padania, che aveva disertato in blocco il consiglio in prima convocazione. Poichè l'articolo è stato letto da almeno trecento visitatori ed io non sono un contaballe, devo una rettifica. Erroneamente sostenevo che la seconda convocazione sarebbe stata inutile, perchè, a differenza di quanto avviene nei condomini, non avrebbe fatto abbassare il numero legale per la validità della seduta.
Non avevo tenuto presente l'art. 10 del regolamento del consiglio, che prevede, invece, in seconda convocazione l'abbassamento del quorum a un terzo dei consiglieri assegnati (ma gli assessori esterni vengono contati? bella domanda!).
Legittimamente, la maggioranza si è servita di questo codicillo, per far fronte ad una sua evidente difficoltà. 
Ma se proprio vogliamo abbassare il livello di un consiglio comunale a quello di un'assemblea condominiale, facciamolo sino in fondo: la prima convocazione mettiamola alle tre di notte! Se non si fa così c'è solo il desiderio  di stancare la minoranza e di bloccare sul nascere i tentativi di dialogo di persone di buona volontà di entrambe le parti. Un comportamento legittimo, ma che ha le relative conseguenze; inutile invocare poi la correttezza, lo spirito di collaborazione, la caduta dei pregiudizi ecc. E da qui in poi confermo tutto il contenuto dell'articolo precedente.
E' necessaria però una seconda rettifica. L'inclito sindaco del medesimo comunello, ha dichiarato alla stampa che dava risalto alle proteste della minoranza, che anche i paracarri avrebbero capito che la seduta non si sarebbe svolta.
Dimentica, o fa finta di dimenticare, che nell'agosto scorso, la maggioranza ha utilizzato il medesimo escamotage della doppia convocazione, per di più ad un insolito orario mattutino e...i paracarri della maggioranza si sono presentati in prima convocazione. 
 Il museo di Canezza ha ancora un ampio spazio espositivo libero! 

lunedì 4 aprile 2016

La farsa della seconda convocazione




Un consiglio comunale, quello di Mestrino, ridotto alla stregua di un'assemblea condominiale: prima e seconda convocazione, previste nel regolamento. Ma tra consiglio comunale e assemblea condominiale, oltre alla evidente diversità di valenza istituzionale, democratica e sociale,  c'è anche un'altra piccola differenza. 
Per le  assemblee condominiali il legislatore ha previsto per legge (art. 1136 Codice Civile) una doppia convocazione, finalizzata all'abbassamento del quorum per la validità della seduta: da due terzi della proprietà in prima convocazione a un terzo in seconda convocazione. E' di tutta evidenza l'intento di semplificare e velocizzare l'assunzione delle decisioni, evitando voluti e inutili blocchi conseguenti ad accordi per far mancare ripetutamente il numero legale.
Avere inserito una norma del genere nel regolamento di un Consiglio comunale, dove non si abbassa il numero legale in seconda convocazione, serve solo a far perdere tempo, nella migliore delle ipotesi, o a stancare le minoranze. Non serve sicuramente a dare due possibilità per raggiungere il numero legale: se in prima convocazione non si presenta nessuno della maggioranza significa solo che il giochino era predeterminato da chi vive l'assemblea consiliare come un inutile orpello, anziché, come è in realtà, il luogo del confronto, dello scontro e dell'incontro nonché del controllo democratico.  
Penso ancora che Mestrino non meriti tutto questo, ma temo ancora per poco...
"La tirannia di un principe in un'oligarchia, non è pericolosa per il bene pubblico, quanto l'apatia del cittadino in una democrazia" Montesquieu

Vedi anche: La paura del confronto

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