mercoledì 25 gennaio 2017

Controcorrente: Giornata della Memoria a Mestrino




Un modo eccentrico per ricordare l'olocausto








"Se avete un figlio omosessuale, affrettatevi a rieducarlo": potrebbe sempre ritornare il nazismo.



Può un'amministrazione di destra occuparsi del tema della difesa della famiglia "tradizionale"'?  sicuramente! è nel suo DNA, pur con tutte le contraddizioni personali degli esponenti di destra a tutti i livelli della scala politica.
Può un'amministrazione di destra perseguire pubblicamente le sue finalità? certamente! meglio in pubblico che con veline passate sottobanco o con sedute notturne del consiglio comunale. Vedi: Il gender in salsa mestrinese
Può un'amministrazione di destra organizzare incontri di formazione per i docenti in una scuola pubblica? sì, se li concorda e magari offre un adeguato contraddittorio.
Può un'amministrazione di destra essere così superficiale da proporre nella giornata della memoria la presenza di un oratore dichiaratamente oscurantista, pur dall'alto della sua scienza e coscienza, sul tema dell'omosessualità? può farlo, ma rivela la sua ignoranza della storia e non solo: prima di Gandolfini, il sommo  e pacato affabulatore, ci aveva pensato Hitler!


Per saperne di più: 
L'omosessualità secondo Gandolfini


La deportazione degli omosessuali

Omosessuali, Rom e disabili: le vittime senza nome dell'olocausto

sabato 14 gennaio 2017

Controcorrente, tutti esperti di scuola, 1






Gian Antonio Stella e la sindrome del destrorso "de core".





Quando un grande giornalista, di solito ben informato e documentato, cede alla tentazione di parlare della scuola per sentito dire, gettandola in pasto al tritacarne mediatico assai male frequentato, si perdono le residue speranze di un serio dibattito sul bene più importante del paese.  Eppure succede e non è la prima volta per Stella e per altri grandi giornalisti:   basti ricordare il prode Michele Serra che discettava l'anno scorso su un presepe e uno  spettacolo natalizio mai vietati. 
Certo deve essere triste la vita di chi è costretto a scrivere ogni giorno a tutti i costi e restare all'altezza del proprio nome..
Tornando a Stella e alla sua ultima uscita sulla meritocrazia nella scuola (leggi qui dal Corriere del 5 gennaio) è veramente deprimente che si possa ancora equivocare sul valore della trovata renziana sulla premialità (alle cifre proposte). Ma nel merito a Stella risponde assai bene la prof.ssa Galatea Vaglio (leggi qui)
Qui, nel nostro piccolo ci occupiamo solo della parte formale del peregrino articolo di Stella: c'è un malcelato e trasudante malanimo, oserei dire un facile populismo e una imperdonabile caduta di stile. Ad un certo punto Stella si lascia scappare dalla penna il termine "sinistrorso". Nulla da dire se usata da Sallusti o da Feltri, ma un grande giornalista che ha sfidato la casta a viso aperto e a rischio di concrete querele, che ha  affrontato in modo documentato grandi e controversi temi come l'emigrazione e l'immigrazione, ci si sarebbe aspettati un altro sinonimo per esprimere il medesimo concetto, piuttosto che un termine mutuato dalla meccanica, dalla chimica organica o dal webetismo. 
Sinonimi suggeriti:
  • sedicenti di sinistra?
  • un tempo orientati a sinistra?
  • populisti?
  • difensori del più vieto lassismo e di fatto contrari agli interessi dei lavoratori più seri?
  • o per sbracare, il più becero, ma sempre efficace fancazzisti?
Articolo correlato, il mio parere: Il dirigente premia i migliori

Segue

mercoledì 11 gennaio 2017

Dopo il referendum

Il silenzio sul significato del voto del 4 dicembre: il ritorno alle urne, l'Anpi e i giovani, partigiani e antifascisti. 




Fonte. Carlo Smuraglia, ANPI news, n. 229


Sono certo che molti avranno notato con quale celerità il referendum sulla riforma del Senato, è stato “archiviato”. Pochi giorni di commenti subito dopo il voto e poi non se ne è parlato più. 
Singolare! Sia ben chiaro. Io non intendo riprendere l’ampia discussione che c’è stata sul SI e sul NO; quella, sì, è ormai archiviata ed è inutile tornarci sopra; anzi, sarebbe forse dannoso, in qualche modo, perché manterrebbe in vita senza ragione quella divisività che è stata la principale caratteristica del progetto di riforma costituzionale.
Io mi riferisco invece alla riflessione sul significato complessivo del voto espresso dagli italiani. Quella, se c’è stata, è finita troppo presto.
Credo che almeno su tale aspetto (quello del significato) qualche riflessione avrebbe dovuto essere approfondita; e dico subito il perché.
A mio parere, quel voto ci ha detto, prima di tutto, che i cittadini non vogliono essere soggetti passivi su un tema che li riguarda direttamente. E sono corsi alle urne, con una presenza che da molto tempo non si verificava, né sui referendum, né sulle consultazioni elettorali. Questa volontà di partecipazione avrebbe dovuto essere colta, come uno dei fatti più importanti dell’anno 2016, proprio perché la partecipazione – l’ho detto mille volte – è il sale della democrazia; dunque la “novità” avrebbe dovuto essere salutata non solo positivamente, ma anche con una riflessione sulle ragioni della svolta e su ciò che occorre fare per renderla permanente. Perché di partecipazione abbiamo davvero bisogno, proprio per rinforzare la nostra democrazia e per restituire ai cittadini quella “sovranità popolare” che per molto tempo essi stessi hanno finito per non esercitare o per esercitare solo in parte. Invece, di questo, nei tanti bilanci, positivi e/o negativi, apparsi sulla stampa, poco o nulla è emerso, quasi che ci fosse una voglia sotterranea e segreta di non parlare più di questo incidente della riforma del Senato, finita male per i promotori.
Ma accanto a questo aspetto, ce ne sarebbero stati altri, meritevoli di segnalazione e di riflessione. E’ la seconda volta, nel giro di pochi anni, che una riforma costituzionale “grandiosa”, sostenuta dal Governo in carica, è stata bloccata dal voto. Questo non può non esprimere un messaggio molto chiaro, di attenzione: la Costituzione va rispettata, può essere modificata, ma con coerenza rispetto alle sue linee di fondo, che restano tuttora validissime; una
specie di “altolà” dei cittadini ai tentativi troppo spericolati di procedere non a qualche “revisione” della Carta (come dice espressamente l’art. 138 della Costituzione), ma a modifiche fortemente incisive sulle stesse garanzie del sistema tracciato dai Costituenti.
Insomma, una sorta di ammonimento dei cittadini a chi, nel futuro, avesse ancora voglia di mettere mano a riforme non corrispondenti a quel concetto di “revisione”, chiaramente espresso dalla Carta.
Ma ancora: si è poco approfondita l’opinione pubblicata - il 18 dicembre su “Repubblica” - e formulata, col suo solito stile pacato ma fermo e dotato di estrema precisione, del Prof. Alessandro Pace, della quale basta qui richiamare il titolo, che è di per sé altamente significativo, “Basta con le mega riforme costituzionali”. Ha ragione, infatti, il prof. Pace, a sottolineare che nessuna mega-riforma dal contenuto disomogeneo ha mai avuto successo nel nostro Paese. I tentativi sono stati molti e tutti sono falliti. Non è materia di riflessione, questa e di serio ammonimento per l’avvenire?
Ma tant’è; si è preferito parlare d’altro, anche di cose buone o cattive (piuttosto predominanti, queste ultime) che sono avvenute nel 2016.
E invece, questi segnali sono importanti e indicatori di una volontà popolare, che va rispettata; noi saremo sul campo, pronti a ricordarli ogni volta che potrà venire in mente a qualche spericolato di tornare sulla linea dei precedenti tentativi falliti.
Non posso che concludere queste note ricordando una vera e propria “amenità” (si fa per dire) che abbiamo letto in uno dei tanti “bilanci”, questa volta redatto per “voci”.
Nella pagina dedicata al “peggio” del 2016, Pierluigi Battista ha inserito una voce, “partigiani” che lascia trasecolati. Secondo l’autore, il 2016 è stato un anno “pazzotico” in cui si è imbastita una interminabile discussione su chi siano i “veri” partigiani; e qui sta il primo equivoco. Non abbiamo avuto notizia di una discussione del genere e tanto meno ci siamo accorti che fosse interminabile.
Ma in più c’è il fatto che una discussione richiede più partecipanti, altrimenti è un monologo. Nel caso di specie, c’è stata un’improvvida affermazione di una componente del Governo, sulla quale era impossibile aprire una discussione, ma si poteva fornire, al più, come è avvenuto, qualche ironica risposta o una denuncia di cattivo gusto quando essa è stata completata dalla presentazione di una sfilata di partigiani “veri” che, naturalmente, votavano per il SI. Poi più nulla, perché sul ridicolo non si discute, ma – a seconda del carattere di ognuno – si ride o ci si arrabbia. Tutto qui. Poi il giornalista prosegue, specificando meglio il suo vero obiettivo, cioè coloro che “parlano a nome dell’ANPI e sono nati molti anni dopo la fine della Resistenza” e dovrebbero tacere – dice l’autore – e lasciare la parola ai partigiani che hanno fatto i partigiani. Ora c’è da dire che “parlare a nome dell’ANPI” non significa affatto parlare dei partigiani, ma di un’Associazione che è stata fino al 2006 composta solo da combattenti per la libertà e da allora, con una modifica statutaria approvata anche dagli organismi di controllo, ha ammesso anche gli “antifascisti” che si riconoscono nelle finalità e nei valori dell’Associazione.
Da allora, anche se qualcuno non se ne è accorto, nell’ANPI sono entrati tanti giovani e tante donne, e tanti di una vera e propria generazione pacificamente successiva al periodo della Resistenza. Tra i partigiani e gli antifascisti si è creato un amalgama straordinario, che ha
assicurato la “continuità” dei valori della Resistenza e della Costituzione, cui questa Associazione si è sempre ispirata.
Se oggi il numero degli iscritti supera le 124.000 unità, questo è proprio perché quell’amalgama si è costituito nel
tempo ed ha perfettamente funzionato; e ai nostri successori affideremo, come lascito, quella “continuità” che è il bene e la caratteristica fondamentale dell’ANPI. Spero, così, di aver spiegato chiaramente, anche a chi non sa, come stanno realmente le cose. Ciò che ci colpisce particolarmente, però, è che questa voce “Partigiani” sia stata inserita nel “peggio” del 2016, cioè accanto a Aleppo, Colonia, Erdogan, Odio, Zoticoni, Squadristi, Bambolotti, etc”. Ci vuole una bella dose non dico di mancanza di rispetto, ma addirittura di disinvoltura per creare simili paragoni, che sono comunque offensivi non solo se riferiti ai
“partigiani”, ma anche a quelli che tali non sono stati, ma che oggi appartengono a pieno titolo ad una Associazione come l’ANPI, a sua volta degna almeno di rispetto, reale e non solo formale. Potrei aggiungere anche che nessuno ha parlato “a nome” dell’ANPI, anche se era riconoscibile la sua appartenenza; ma forse non vale neppure la pena di soffermarsi ulteriormente sul tema.

domenica 8 gennaio 2017

Le contraddizioni americane, 2





Il secondo emendamento





Segue da: Sette gennaio

Right to Bear Arms: "A well regulated Militia, being necessary to the security of a free State, the right of the people to keep and bear Arms, shall not be infringed".
"Essendo necessaria, alla sicurezza di uno Stato libero, una milizia ben regolamentata, non potrà essere infranto il diritto dei cittadini di detenere e portare armi."

Il secondo emendamento della Costituzione americana, in vita se non sbaglio dal 1791, ha avuto una storia interpretativa, lunga, contrastata e spesso contraddittoria. 
Ideato dai padri fondatori per rispondere alle minacce espansionistiche francesi dal Nord e alle mire del nascente stato verso ovest (nei territori indiani) in una nazione per di più appena liberatasi dalla dominazione britannica, il secondo emendamento faceva riferimento alla Militia (Le forze armate regolari, organized militia e l'insieme dei cittadini maschi, unorganized militia) con un orientamento eminentemente difensivo.

Sul piano formale, quindi il secondo emendamento si limita ad impedire che i singoli stati, come hanno più volte tentato nei secoli (per ultimo Washington)  impediscano la diffusione delle armi con divieti assoluti. Nei secoli, i diversi strati federati hanno proceduto in modo difforme tra di loro, sottoponendo il possesso e il porto delle armi a regolamenti, divieti parziali, autorizzazioni ecc. 
Niente di più e niente di meno di quanto succede in Italia con il regolamento di Pubblica Sicurezza sul porto d'armi.
Ma dove sta la differenza? non nell'aspetto formale, ma in quello materiale di questo pezzo di costituzione: "se non è vietato, allora ho il diritto di farlo" e "sta scritto nella costituzione"- queste in sintesi le posizioni dei favorevoli all'armamento di massa.
 Le corti che più volte si sono cimentate sul tema hanno dato spessissimo ragione ai cittadini o ai gruppi che si opponevano alle limitazioni. 
E' ancora fortissimo l'impatto emotivo  che il secondo emendamento, a distanza di due secoli,  ha sul corpo sociale di una nazione ancorata ai miti fondanti, al fare, all'intrapresa individuale.
Il resto, e non è poco, lo fa la lobby dei produttori di armi, che hanno ancora presa sull'opinione popolare, arrivando a sostenere che le armi salvano le vite. Anche dopo luttuosi eventi, aggressioni di folli o di gruppi terroristici: "se tutti fossero stati armati"- è l'inevitabile ritornello- "qualcuno avrebbe potuto fermare il folle o il terrorista". 
Incredibile per noi, come è incredibile il folle sistema sanitario o come sono stupefacenti le esecuzioni in strada da parte degli agenti di polizia.
Gli Stati Uniti danno costantemente l'impressione di una continua lotta tra il bene e il male, tra passato e futuro, tra libertà e soggezione, tra sfruttamento e generosità, tra individualismo e comunità, tra integrazione e razzismo: insomma ancora un paese di frontiera, dove, anche per chi come me è stato inondato dal mito della liberazione dal nazifascismo, non sarebbe bello vivere. Qual' è l'eredità  dei sacrifici di milioni di giovani americani degli anni venti? la Corea? il Vietnam? l'Irak? l'Afganistan? le trame della CIA in Africa e America latina? le armi ai talebani? la guerra alla Russia per interposta milizia in medio oriente?



sabato 7 gennaio 2017

Le contraddizioni americane, 1



Sette gennaio






In questa musica c’è tutta l’America, con i suoi umori contrastanti...


Il giorno seguente l'ennesima strage americana, esorcizzando il panico che altrimenti coglierebbe me come chiunque abbia in quella terra stranissima e lontana parenti amici o semplici conoscenti, mi piace ricordarlo come una data importantissima nella storia della musica. 

Era proprio il 7 gennaio,  del 1924, quando George Gershwin completò la scrittura della Rapsodia in blue,  eseguendola in pubblico dopo meno di un mese nella primitiva versione per pianoforte e piccola band.

La rapsodia nella versione per piano solo


L'esecuzione, alla quale erano presenti Stravinsky  e Rachmaninof, fu un enorme successo e rappresentò una pietra miliare nella costruzione della musica americana colta, con Gershwin che tentava di legare insieme, riuscendovi, la tradizione classica europea con le sonorità e i ritmi della musica afro-americana. 


Da www.il pianosolo.it: 


È proprio quanto accade nella rapsodia gershwiniana: il tema principale, introdotto in apertura dal clarinetto, viene poi rielaborato dal pianoforte, successivamente affidato all'orchestra, destinato a cedere il passo ad altri temi, altre melodie, ma comunque ricorrente. Questo tema riemerge, a volte mascherato, trasformato, in vari punti della composizione, alternandosi con altri temi, subendo variazioni ritmiche e dinamiche, elaborazioni armoniche, per riproporsi, quasi parola definitiva e unificante, nel finale. Elaborazione tematica a vari livelli dunque, a cui l’aggettivo “blue” conferisce il colore ed il linguaggio di uno dei più autentici prodotti della cultura americana: il blues appunto.

Gershwin definì in prima persona la sua “rhapsody”: “una sorta di multicroma fantasia, un caleidoscopio musicale dell’America, col nostro miscuglio di razze, il nostro incomparabile brio nazionale, i nostri blues, la nostra pazzia metropolitana” e basta ascoltare la sua musica per sentire quanto vera sia questa definizione. In questa musica c’è tutta l’America, con i suoi umori contrastanti, con i rumori delle sue città, con quell'energia e quel senso concreto del fare che la connotano da sempre.


Continua in: Il secondo emendamento




mercoledì 4 gennaio 2017

Controcorrente, Babbo Natale non esiste




..ed è  bene dirlo al più presto ai bambini...








Qualche giorno fa, a Roma un giovane direttore d'orchestra, Giacomo Loprieno, è stato licenziato in tronco dall'organizzazione Dimensione eventi che gli aveva affidato la direzione dell'orchestra "Disney in concert: Frozen".
La sua colpa? avere dichiarato a microfono aperto, dinnanzi a una platea dimezzata dalla fuga verso il parcheggio che "comunque babbo natale non esiste".
Bene. Certo se la poteva risparmiare a giochi fatti e dopo aver sopportato per due ore le urla dei pargoletti scatenati e, soprattutto, dopo aver accettato la direzione di un'orchestra e di un coro dichiaratamente inquadrati in un'operazione commerciale che poco aveva a che fare con la divulgazione della musica "colta" ma molto con il business.
Comunque, in preda presumibilmente ad una crisi di nervi, lo ha fatto e come spesso accade in queste situazioni è venuta fuori la brutale verità: babbo natale non esiste e voi che avete urlato durante tutto il concerto  e i vostri genitori che ancora a dieci anni portano avanti la recita  siete dei coglioni. 
Ma la cosa peggiore della faccenda è costituita dalla reazione dei genitori presenti che hanno minacciato una class action contro il direttore e soprattutto dai frequentatori del web (i webeti) liberi di scrivere quello che vogliono e per carità che continui così, senza tribunali del popolo...
Ai miei tempi (quanto sono vecchio!) non esisteva babbo natale, ma a seconda delle latitudini c'era Gesù bambino o le anime dei morti il due novembre o la befana.
Ma tutti già all'età di cinque anni se non prima, e senza tablet a disposizione per approfondire su wikipedia, sapevamo la verità: intorno alla festa dei morti e di natale proliferavano tante bancarelle piene di giocattoli e di dolci che solo un deficiente poteva non mangiare precocemente la foglia. 
I misteri da coltivare, erano altri per i nostri genitori, a torto o a ragione: il mistero della morte con cui familiarizzare attraverso i doni, portati "idealmente" dai nonni morti, e  le visite al camposanto, il salvatore nato in una grotta (con il tradizionale giro dei presepi), la messa di Natale.
I genitori di adesso, che alimentano ad libitum la favola di babbo natale, che va bene al massimo sino ai tre anni, sono solo deboli, non hanno la capacità di assumersi responsabilità neppure sulla quantità e qualità dei doni e neppure sul giudizio se i figli li abbiano o meno meritato: delegano e fuggono anche a questa piccola responsabilità. Ma cosa penseranno i loro figli, quando, scoperto in genere assai precocemente l'inganno, temeranno a ragione di essere ingannati su altre e ben più importanti faccende?   



Informazioni

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001. Parte delle immagini, loghi, contributi audio o video e testi usati in questo blog viene dalla Rete e i diritti d'autore appartengono ai rispettivi proprietari. Il blog non è responsabile dei commenti inseriti dagli utenti e lettori occasionali.