sabato 25 gennaio 2014

La sentenza della consulta, pareri a confronto 2

Roberto D'Alimonte





Le sicurezze di D'Alimonte








Ecco un estratto dell'intervista di D'Alimonte a Repubblica.
Restano ancora molti punti dubbi: i "partitini" in coalizione, che non raggiungono il quorum, contribuiscono magari a conquistare il premio di maggioranza e è poi vengono buttati via?
Come si concilia l'espulsione dei "piccoli" con il criterio della rappresentatività previsto dalla Costituzione? 
D'Alimonte crede veramente che le liste chiuse e l'enorme premio di maggioranza passino il vaglio della Consulta, solo perché c'è stato un accordo storico Renzi-Berlusconi? 
Crede veramente che collegi di 500.000 elettori permettano una conoscenza appropriata dei candidati? e soprattutto non sa che in tutto il mondo questo problema é stato risolto o con i collegi uninominali o con le preferenze? 
E a proposito di queste ultime, senza dimenticare gli scandali che hanno portato al referendum Segni, non pensa che si poteva evitare di espropriare gli elettori di quest'arma potentissima con qualche banale correttivo, come un tetto veramente minimo alle spese elettorali individuali? 
Un nuovo parlamento di nominati, nel M5S con pochi clik e negli altri partiti, almeno in quelli che non fanno le primarie, solo yes man, agli ordini del capo?    


Roberto D'Alimonte esperto di sistemi elettorali  ha contribuito in prima persona allo "storico" accordo Renzi - Berlusconi. In questa sintesi tratta dall'intervista di due giorni fa a Repubblica, le sue ragioni. Dalla sua sicuramente un elemento positivo: l'impossibilità delle multicandidature. Ma il resto?
Da discutere sicuramente il discorso sulle preferenze, ma capovolgendo il ragionamento  

Il piano di riforma elettorale è "un risultato insperato", "merito dell'abilità di Renzi di aver ottenuto il secondo turno di ballottaggio nel caso in cui nessuno superi il 35% dei voti". Lo dice il professor D'Alimonte in un'intervista a Repubblica, in cui torna a difendere la riforma di cui può considerarsi il regista.
Con lo sbarramento al 5% nel prossimo Parlamento - argomenta il politologo - sopravviveranno cinque partiti, "Pd, Fi, Ncd, M5S e Lega", mentre le liste bloccate "non sono il male assoluto. Possono essere usate molto bene, per esempio per equilibrare la presenza di genere [...]. Avrei preferito un sistema basato sui collegi uninominali e sul doppio turno. Ma ci siamo trovati di fronte alla netta ostilità di Berlusconi", convinto "che al secondo turno molti dei suoi elettori non vadano a votare, per pigrizia".
"L'unico modo per rendere governabile l'Italia - afferma - è un sistema maggioritario. Anzi, dis-proporzionale. Lo dico così perché so che in Italia ci sono ancora sostenitori del proporzionale, e risulta più chiaro che io sono di parere opposto. Il premio è troppo alto? Ma Tony Blair al suo terzo mandato ottenne il 55% dei seggi, con il 35% dei voti. E il Ps di Francois Hollande, al primo turno delle legislative, aveva il 29% dei voti: poi ebbe il 52% dei seggi".
Alla critica sollevata da molti - ossia che la soglia fissata al 35% per il premio di maggioranza sia troppo bassa - D'Alimonte risponde così: "Non siamo riusciti ad alzarla. Evidentemente Berlusconi spera di vincere al primo turno, evitando al ballottaggio al quale continua a guardare con un po' di diffidenza". Secondo il politologo, con lo sbarramento al 5% nel prossimo Parlamento avremo cinque partiti: Pd, Forza Italia, Ncd, M5S e Lega. "Poi - aggiunge - è probabile che Storace, La Russa e qualche altro presentino i loro simboli ma si procurino dei posti sicuri nelle liste di Berlusconi".
E ancora: "Ai sostenitori delle preferenze - aggiunge - vorrei ricordare che in Lombardia solo il 14 per cento degli elettori le ha usate, alle ultime regionali, contro il 90 per cento degli elettori calabresi. Allora mi domando: le preferenze favoriscono il voto di opinione o sono uno strumento di chi fa politica con metodi clientelari, se non addirittura criminali? E poi: le preferenze alzano a dismisura i costi delle campagne elettorali, portano corruzione e indeboliscono i partiti che diventano comitati elettorali".
Quanto al nome "Italicum", il professore ha delle riserve. È un nome "che non mi piace - spiega - mi ricorda l'Italicus. Diciamo che non porta bene". Di qui un appello: "Troviamo un altro nome".

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