venerdì 6 settembre 2013

Dell'Utri e B.






Dell’Utri mediatore
tra Berlusconi e la mafia      







Depositata le motivazioni della sentenza della Corte d'appello di Palermo che ha condannato Dell'Utri in via definitiva a 7 anni di carcere. La corte, che difficilmente può essere definita comunista (ha infatti glissato sul periodo post 92, che coincide con la "discesa in campo"), non ha potuto fare a meno di evidenziare gli stretti e oscuri rapporti B. e la mafia. Con difficoltà e molte reticenze si sta scoprendo un pezzo molto oscuro della recente storia d'Italia. Tutte cose difficili da sapere al di là dello stretto ma note a tutti in Sicilia, prima ancora che arrivassero le sentenze dei tribubali e le inchieste giornalistiche. Eppure questa terra, che ha generato eroi nella lotta alla mafia e che tutto sapeva, è anche la regione del 64 a zero alle elezioni di qualche anno fa.
Forse aveva ragione Sciascia: "quando giro per Palermo so che su dieci persone che incontro almeno quattro hanno a che fare con la mafia".

E nel resto d'Italia?


Marcello Dell'Utri agì per vent'anni «in sinergia» con la mafia. Generiche e contraddittorie sono invece le dichiarazioni del pentito Giovanni Brusca, mentre il collaborante, Gaetano Grado, è inaffidabile. È l'estrema sintesi delle motivazioni contenute nelle 477 pagine con cui la Terza Sezione della Corte d'Appello di Palermo, presieduta da Raimondo Lo Forti, lo scorso 25 marzo ha condannato a sette anni l'ex senatore per concorso esterno in associazione mafiosa. Sotto la lente dei giudici, in modo particolare, il periodo 1974-1992. Uno dei pilastri della condanna del senatore, per la corte, è l'incontro avvenuto a maggio 1974, in cui erano presenti Gaetano Cinà, lo stesso Dell'Utri, Stefano Bontade, Mimmo Teresi e Silvio Berlusconi. Allora fu «siglato il patto di protezione di Berlusconi». «L'incontro - si legge nelle motivazioni - ha costituito la genesi del rapporto che ha legato l'imprenditore e la mafia con la mediazione di Dell'Utri». C'è anche un capitolo relativo ai rapporti tra l'ex senatore e lo stalliere, Vittorio Mangano e che, secondo i giudici, sono «rapporti di assoluta confidenza e mai condizionati dal timore evocato dall'imputato». Dopo 19 anni di alterne vicende giudiziarie, la condanna in appello a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa, per l'ex manager di Publitalia, è il quarto verdetto. Un processo, quest'ultimo, che va avanti da circa dieci anni: era l'11 dicembre del 2004 quando fu condannato in primo grado a nove anni. Nel mirino anche alcuni pentiti. La corte, per esempio, parla di "giudizio di inattendibilità intrinseca del collaborante Gaetano Grado". I fatti da lui enunciati "non possono considerarsi idonei a superare neppure la soglia di mero indizio". Il collaboratore di giustizia ha riferito che Dell'Utri avrebbe fatto da tramite nel riciclaggio di denaro proveniente da un traffico di droga dalle cosche nell'attività di realizzazione di Milano 1 e Milano 2.
Stessa musica per le dichiarazioni di Brusca. «Si sono rivelate - scrivono i giudici - del tutto inconsistenti sui pagamenti di Berlusconi nel periodo successivo alla morte di Bontade e incerte e contraddittorie se messe a confronto con quelle di altri pentiti per il periodo compreso tra il 1986 e il 1992». Intanto, un "no comment" arriva dall'ex senatore. «I miei avvocati non hanno ancora avuto la notifica» dice Dell'Utri. Non mancano polemiche. Attacca D’Alessandro (Pdl): «Per certi magistrati il Cav è sempre colpevole».
Fonte: Gaetano Mineo, iltempo.it 

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