mercoledì 25 febbraio 2015

Controcorrente: siamo tutti Charlie o no?



Dopo la strage di Parigi, in rue Nicolas Appert, la gara di solidarietà pelosa è stata condotta senza ritegno. Un pò per convenienza, un pò per esigenza di immagine, molto per ipocrisia, i capi di Stato di mezzo mondo, sepolcri imbiancati dalla faccia di bronzo, si sono fatti fotografare sgomitanti a braccetto alla manifestazione di Parigi. Tanti anche in Italia hanno gridato la loro solidarietà pelosa, pochi sono apparsi coerenti in fondo.ù

Anche l'ateo Floris d'Arcais, scrivendo sull'ultimo numero di Micromega,  nella sua foga iconoclasta, cade, quasi senza rendersene conto, in una duplice contraddizione. 
La prima, più evidente, quando sostiene che la satira e la libertà non devono avere dei limiti, ma nello stesso tempo afferma che la redazione di Charlie di fatto i limiti se li poneva, non inoltrandosi sul sentiero impervio dell'antisemitismo e del razzismo,  non oltraggiando mai i valori della Resistenza e dell'antifascismo in quanto valori rifondanti dell'antica identità legata al motto liberté, fraternité, égalité.

Una coerenza a senso unico, che mette a nudo una verità incontrovertibile: la libertà, quella umana, realizzabile sulla terra, ha, anzi deve avere dei limiti. Il limite, dalle nostre parti, è sui principi, sui valori, sul rispetto della libertà altrui. 
Molto opinabile il ragionamento di Flores d'Arcais, quando afferma che la delimitazione dei limiti sarebbe così discrezionalmente determinato da chi si sente offeso e che tale linea di demarcazione sarebbe variabile  da luogo a luogo, ponendo quindi  serie limitazioni a chi vuole esercitare il diritto di critica (o di satira).

Se la satira vuole essere d'avanguardia, di lotta, se vuole aprire dei varchi, deve per forza correre dei rischi: l'impopolarità o l'incomprensione delle maggioranze,  i tribunali (come per altro era successo a Charlie in passato sul mitico De Gaulle), la controsatira, le reazioni dei governanti, della chiesa o delle chiese, ma sicuramente non la morte

La negazione e il contrasto a questa ultima eventualità è sicuramente, ma unicamente,  il possibile punto di convergenza di tutti coloro che, assai superficialmente hanno indossato la divisa di "je suis Charlie".

Quando il papa con la sua improvvida uscita sullo sberlone a chi offende la mamma, sembra legittimare la reazione a chi offende la/le religioni, sbaglia due volte. Sbaglia sia perché,  nonostante le evidenti intenzioni pacificatrici, ad orecchie interessate sembra legittimare la reazione violenta, sia perché fa ritornare indietro la sua chiesa di qualche decina d'anni: scherza con i fanti, ma non toccare i santi...
La tanto invocata solidarietà  da parte dell'Islam moderato, allo stato attuale delle cose, si può ottenere solo sull'uso della violenza non sulla messa in ridicolo del profeta.

E questo lo sanno bene, anche da noi, tutti coloro che hanno cercato di spostare in avanti, in parte e con fatica riuscendoci, l'accettabilità del confine del lecito e del dicibile nei confronti della chiesa cattolica o coloro che provano, coerentemente e senza far male ad alcuno, a vivere da atei nella "Gran Pretagna".

Tornando a Flores d'Arcais il secondo errore logico (o ideologico) sta nell'esaltazione del principio della ricerca della felicità, che è anche scritto in modo altrettanto contraddittorio nella costituzione americana: e se per qualcuno la ricerca della verità consistesse nell'annientamento di una religione o peggio ancora di una razza? l'umanità si è già trovata di fronte a questa eventualità...
   

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Mi dispiace, ma non sono Charlie: le origini del terrorismo islamista, 1

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