martedì 26 novembre 2013

Euro e Germania: una tesi divergente



NON SI RAFFORZA L’EURO INDEBOLENDO LA GERMANIA —
DI Gerardo Coco

Fonte: www.leoniblog.it  (Fondazione Bruno Leoni)







Napoleone sosteneva che esiste un’unica figura retorica seria: la ripetizione. Le convinzioni si affermano grazie alla ripetizione e finiscono per penetrare nelle menti come verità dimostrate. L’«Europa dei popoli» è stata imposta in questo modo. Con la ripetizione si è ora accreditata l’idea che la Germania rubi posti lavoro all’eurozona. Al coro si sono uniti: il tesoro americano nel suo rapporto semestrale, la commissione europea e infine due famosi economisti, Paul Krugman e Martin Woolf.
L’argomentazione è questa: il surplus commerciale della Germania impedisce lo sviluppo dei paesi membri. Per riportare l’equilibrio la Germania dovrebbe reflazionare cioè aumentare prezzi, consumare di più e aumentare i salari (sic!). Insomma la Germania è colpevole di essere troppo produttiva e competitiva. Basta abbassarne la produttività e… voilà, l’eurozona decolla. Le crisi alimentano sempre un clima favorevole a ogni tipo di suggestione ma chi si attiene ai fatti e alla logica economica non può che respingere queste assurdità da propaganda politica che per giustificare il fallimento dell’euro, intrinseco alla sua costruzione, cerca dei capri espiatori ovunque.
  • Innanzi tutto la Germania, esportando di meno e importando di più non può diventare fonte di domanda per la periferia. Nel 2012 le esportazioni dalla Grecia, Italia, Portogallo e Spagna verso la Germania sono state rispettivamente del 0.9%, 3%, 2.9% e 2.25% dei loro PIL. Per avere un impatto significativo dovrebbero aumentare in misura superiore. Questo obiettivo si raggiungerebbe, secondo i regolatori aumentando prezzi e salari tedeschi. Ma persino i sindacati si opporrebbero a questa proposta asinina che provocherebbe solo inflazione in Germania senza aumentare l’export e i PIL dei partner. Infatti la Germania e la periferia hanno differenti aree di specializzazione e i tedeschi non possono importare quello che non li serve altrimenti si comporterebbero come dei consumatori che per salvare un supermercato in crisi vi comprano prodotti inutili e a prezzi più alti della concorrenza. Solo dei folli possono pensare di salvare l’euro obbligando la Germania a essere meno competitiva. Anche se, per assurdo, la Germania reflazionasse ne trarrebbero beneficio i paesi emergenti che la inonderebbero di prodotti trasformandola suo malgrado in paese importatore senza risolvere i problemi dei partner. Bel guadagno per tutti.
  • Paul Krugman ripete come uno slogan che la Germania ha approfittato della moneta unica per accumulare un surplus commerciale permanente a danno dei paesi della periferia. Ma il columnist americano dimentica che la Germania occidentale ha sempre avuto un surplus salvo nei primi anni 90 e solo perché dovendo riunificare l’est all’ovest rimpatriava capitali e li impegnava in investimenti interni facendo così aumentare il valore del marco in rapporto alle altre valute. Con un marco forte il prezzo delle esportazioni aumentava e quello delle importazioni diminuiva eliminando così il surplus. Ora è avvenuto che nell’ultimo decennio la Germania ha conseguito un eccesso di risparmio il che significa che i tedeschi hanno prodotto più di quanto abbiano consumato (anche questa una colpa?) per cui si è verificato un surplus nel conto corrente della loro bilancia dei pagamenti. Ora, per definizione, il saldo delle partite correnti di un paese è sempre uguale al suo risparmio meno l’investimento nel paese. In altre parole un paese ha un surplus commerciale se il risparmio è superiore all’investimento (il caso tedesco) mentre avrà un deficit se il risparmio è minore dell’investimento (il caso della periferia). In simboli: Risparmio- Investimento netto=Export – Import. Un paese avrà un surplus commerciale se il suo risparmio è maggiore dell’investimento interno e un deficit se il risparmio è minore. Pertanto qualsiasi politica che miri ad aumentare l’export e ridurre l’import per conseguire un surplus deve permettere al risparmio e all’investimento interno di aumentare. Ma per conseguire tale obiettivo i governi dei paesi della periferia dovrebbero diminuire deficit e tasse: esattamente quello che non vogliono fare. Il risparmio o va a finanziare il conto corrente della bilancia dei pagamenti o il deficit. Se si prescinde dalle relazioni tra bilancia commerciale, investimento, risparmio e deficit fiscale si dicono delle solenni sciocchezze.


Ancora. Quando i paesi risparmiamo di più di quanto investono esportano l’eccedenza di risparmio che rappresenta l’esportazione netta di capitali. In altre parole un surplus commerciale comporta sempre un deficit del conto capitale. Tuttavia il denaro inviato all’estero torna nel paese (sotto forma di interessi, dividendi, affitti, ecc. che derivano dagli investimenti esteri) per pagare le esportazioni che saranno in eccesso sulle importazioni creando così il surplus nelle partite correnti. E’ il caso della Germania. Al contrario, il paese che investe più di quanto risparmi deve importare capitale dall’estero e pertanto la sua bilancia deve registrare un surplus di capitale. E’ il caso dei PIIGS. Il capitale importato permette al paese di consumare di più di quanto produca importando la differenza che va a formare il deficit commerciale. La differenza tra paesi creditori e debitori sta appunto nel fatto che i primi hanno un surplus che serve a finanziare i secondi i quali avendo un deficit si indebitano. Naturalmente non c’è nulla di negativo nell’avere un deficit commerciale perché a) il deficit viene automaticamente compensato dall’importazione di capitale che, se impiegato nella produzione viene ripagato dal suo rendimento; b) importazioni e esportazioni sono transazioni poste in essere non dai governi ma da soggetti indipendenti liberi di commercializzare. La somma algebrica delle loro transazioni forma deficit o surplus collettivi e ciò trae in inganno il pubblico che ha l’impressione che siano, non le imprese, ma i paesi gli agenti economici che esportano o importano, finanziano o si indebitano e provochino situazioni insostenibili che poi i regolatori pretendono di sanare dettando restrizioni e limiti che non ricadono astrattamente su paesi ma sui legittimi e concreti titolari delle attività economiche.
  • Mentre i deficit commerciali sono finanziati dai corrispondenti surplus di investimento, i deficit dei governi sono finanziati, in ultima analisi, dall’imposizione fiscale che è proprio la responsabile dei gap di sviluppo dell’eurozona. I PIIGS non potendo pagare le loro importazioni con le esportazioni devono indebitarsi con la Germania che fa loro credito. Ma quest’ultimo non va a finanziare le produzioni dei paesi debitori ma i deficit dei loro governi, alimentandone il consumo. Risultato: nel resto dell’eurozona i risparmi e gli investimenti diminuiscono, l’occupazione cala e debito e pressione fiscale aumentano. I PIIGS non soffrono per il surplus della Germania ma per una deflazione che è conseguenza di una fiscalità non compatibile con lo sviluppo. La Germania può vantare nei confronti dei partner solo crediti inesigibili perché senza sviluppo il resto dell’eurozona non può pagarli. E’ logico quindi che per mantenere la stessa capacità di credito richieda ai partner abbattimenti di debito, tagli di spesa e riforme del mercato del lavoro, altrimenti sarebbero i tedeschi a essere costretti a risparmiare meno, comprare a prezzi più alti, ricevere salari reali inferiori e pagare più tasse. E’ legittimo fare queste richieste a partner commerciali in carne ed ossa oppure è più ragionevole insorgere contro i propri governi esosi e unici responsabili delle condizioni incompatibili con la crescita.
  • La commissione europea afferma che la Germania tenendo alto il cambio dell’euro penalizza la periferia. Curiosa asserzione da parte dei regolatori. In un contesto di moneta unica è forse compito di un paese membro la gestione del tasso di cambio? Inoltre la commissione dimentica che ci sono ben altri fattori che influenzano il cambio dell’euro, segnatamente la politica espansiva della FED che mantiene debole il dollaro. Inoltre un basso valore dell’euro avvantaggerebbe probabilmente ancora di più la Germania migliorando la sua posizione competitiva rispetto al resto del mondo e quindi relativamente ai PIGGS. Un altro punto ovvio infatti passato inosservato è che il deficit dei PIIGS è diminuito mentre il surplus tedesco è aumentato ma solo rispetto al resto del mondo, ad es. nei confronti della Cina e quindi non ha sottratto sviluppo ai partner. E’ poi ridicolo pensare che in un blocco di 17 paesi, tutti debbano essere allo stesso tempo esportatori netti: come potrebbero commerciare tra di loro? La mania ossessiva dell’export fa perdere il più elementare buon senso.
  • Infine, bisogna considerare il tasso di interesse e qui la questione si fa più sottile. La Germania paga un interesse «naturale» troppo basso rispetto ai paesi della periferia. Il tasso naturale è quello che si stabilirebbe tra mutuanti e mutuatari in un mercato libero e vigendo il quale si determina l’uguaglianza tra l’incremento risparmio disponibile e quello delle richieste industriali. E’ il tasso che rispecchia la produttività del capitale ed è guidato dallo sviluppo economico. Non ha nulla a che vedere col tasso ufficiale o effettivo fissato d’imperio dalla banca centrale, il quale se agisce in senso opposto, non può impedire a quello naturale di operare sotterraneamente. Il tasso naturale ha la tendenza ad aumentare quando c’è sviluppo e diminuire quando c’è depressione. Ad es. la Germania è in espansione mentre l’Italia è in recessione e quindi il tasso naturale è più alto in Germania che in Italia. Ma la Germania paga, di fatto, l’interesse ufficiale che per le sue condizioni economiche è troppo basso, mentre per quelle dell’Italia è troppo alto. Per cui la Germania può continuare a investire nell’export, mentre l’Italia non se lo può permettere. E poiché gli aumenti salariali in Germania crescono meno velocemente della produttività, il costo del capitale e il costo per unità di lavoro è di gran lunga più basso in Germania. La Germania è competitiva, l’Italia no. In Germania si continua ad investire, in Italia non si investe più. Il tasso di interesse come qualsiasi altro prezzo è uno strumento informativo che se non riflette le condizioni reali, distorce l’allocazione delle risorse economiche.
Conclusione. Finché esisterà l’euro le economie continueranno a divergere l’una dall’altra. Ma non si esce dalla crisi con le ricette redistributive dei regolatori che hanno l’effetto di aumentare le distorsioni e la conflittualità nell’eurozona facendola assomigliare sempre più a quella del vecchio rublo. Il nord Italia ha sempre avuto un surplus di bilancia commerciale rispetto al sud. Ha forse mai risolto qualcosa la sua redistribuzione? Credono dunque i regolatori che togliendo posti di lavoro ai tedeschi, i partner ne guadagnino di più? Poveri illusi e poveri noi se ci crediamo. La Germania non cambierà la sua politica. I PIIGS non faranno alcuna riforma, e non ci sarà nessun ritorno all’equilibrio. I partiti antieuro guadagneranno terreno. In bocca al lupo a tutti.

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