giovedì 10 settembre 2015

Profughi, clandestini o....(4)





esseri umani






continua da: profughi, clandestini o..(3)

Allora mettiamo da parte Siriani, iracheni, curdi, palestinesi, eritrei, pakistani ribelli, oppositori perseguitati dai mille regimi autoritari e sanguinari dell'Africa e del medio oriente. Forse su questi possiamo essere tutti d'accordo: fuggono dalla guerra, non hanno più una casa, rimanere equivarrebbe a morire, non hanno un mare dove pescare con la canna che gli vorrebbe dare il prode salvini. La ragione e il diritto internazionale impongono di accoglierli e di dare loro la protezione dovuta ai rifugiati. 

Rimangono tutti gli altri paesi, da cui si fugge per la miseria, la fame, per la mancanza di prospettive. Il Mali ne è solo un esempio.
Certo si potrebbe guardare la faccenda con infiniti sensi di colpa, osservando le cartine della colonizzazione (il 1939 non è molto diverso dal 1914!).  Ma questo buonismo retrospettivo non ci porterebbe da nessuna parte e si presterebbe a mille, e questa volta legittime, critiche. Sicuramente non possiamo rimediare ai delitti dei nostri nonni e padri, riversando le conseguenze sui nostri figli.
Ci sto. 
Allora guardiamo con occhi contemporanei la classifica  dei paesi produttori ed esportatori di armi, dove l'Italia si posiziona tra i primi dieci: l'Italia che ha venduto e continua a vendere  in medio oriente e in nord-Africa, cioè nelle regioni più turbolente del mondo. E' solo di qualche settimana fa il ritrovamento nello Yemen di bombe prodotte in Sardegna e utilizzate dall'Arabia Saudita contro i ribelli Houthi.
E quando le armi non sono italiane, sono francesi, tedesche, inglesi, norvegesi, statunitensi. 

Confesso che a questo punto il mio sforzo razionale antibuonista ondeggia; se poi penso ai mille dittatorelli africani messi su dagli europei o sostenuti dalle multinazionali che sfruttano le ricchezze africane, riempendo i nostri supermercati (basti pensare al coltan dei telefonini)  vacilla sicuramente.
Ma non è questo il punto: è di tutta evidenza che non si può lasciare che tutta l'Africa si trasferisca in Europa... 
Però! c'è un però: ci troviamo di fronte a un movimento epocale, ma naturale, ripetutosi mille volte nella storia dell'umanità, dai primordi alla seconda guerra mondiale. Nessun filo spinato, nessun demenziale cinguettio  di salvini, nessuna mozione degli sciacalli in servizio permanente effettivo o di complemento, nessun muro potrà fermarlo. Questo  lo sanno o dovrebbero saperlo gli stessi ungheresi che sono fuggiti in duecentomila dal giogo sovietico!
In più sicuramente la massa di fuggitivi dalla povertà, se non dalla fame, che sono arrivati qui, rapinati dai libici, spogliati anche dei vestiti e rischiando la vita (rischio da loro considerato minore di quello di rimanere) ormai ci sono e non si può fare nulla se non accoglierli, integrarli, utilizzarli (come farà la Germania), sicuramente monitorandoli dal punto di vista sanitario sociale e legale. I rimpatri sono difficilissimi e costosi, ma almeno quelli dei delinquenti e dei potenziali delinquenti...In fondo siamo uno stato di diritto che grosso modo protegge i suoi cittadini, così come vanno protetti gli individui che arrivano qui, senza liste precostituite di paesi "sicuri", ma guardando alle storie e alle provenienze individuali, come prescrive il diritto internazionale.
Fatto questo, nessun alibi per chi intende alzare muri retroattivi, per chi, ad ogni livello, locale, nazionale e internazionale non si attrezza culturalmente, politicamente e socialmente ad affrontare il nuovo e a prevenire le cause di quello a cui stiamo assistendo. L' aiutiamoli a casa loro implica un impegno solidale, un costo economico immenso, una lungimiranza culturale e politica che sinora si intravede in modo molto indistinto. Allora non resta che affrontare la realtà, il qui e ora, e continuare a fare il buonista razionale, con buona pace dei tastieristi e degli sciacalli dei media. 
Quando poi uno si sporca le mani, ascolta e conosce le storie che ho sentito io, non ci può essere più alcun dubbio. 
Quando si conoscono le storie dei nigeriani, emigrati in Libia per lavoro e qui rimasti intrappolati, dopo l'intervento umanitario anglo-francese, in preda delle bande armate, trattati da bestie, al bivio se lasciare la vita lì, o nel deserto o in mare...
Quando si ascolta B.D. che col suo camion portava il petrolio in mezza Africa, a cui  gli assalti dei jadisti hanno impedito di continuare a lavorare, che ti arriva da Pozzallo con indosso solo quello che i siciliani generosi gli hanno regalato al porto, che vuole fermarsi in Italia per far "mangiare" a casa la sua numerosa famiglia...e che spera e prega Allah che Padova diventi la sua casa...
E si viene a sapere che per loro tutti il ritorno è impossibile, perchè non potrebbero più mettere piede nel loro villaggio...e tutto è meglio dell'inferno di prima. E si vedono tutti quelli che appena arrivati a Padova, si volatilizzano per cercare i loro parenti in Francia, in Germania e in Svezia. 
E si ascoltano nigeriani e maliani comunicare tra loro nell'italiano che gli hai insegnato, piuttosto che nella lingua dei loro colonizzatori. Visto e sentito tutto questo forse si capisce la questione un po' meglio che dagli articoli, dalle interviste, dai twitte e dai proclami televisivi e ti resta una stretta al cuore nel vedere la "bestiale" ignoranza dei molti che ti circondano, alimentata per interessi elettorali, e ti accorgi che in un villaggio subsahariano ci può essere molta più cultura e umanità che nella Padova dei gran dottori.
    
Altre storie: 
Una storia gambiana

Una storia nigeriana 

I respingimenti: una storia maliana

Un'altra storia maliana 

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