lunedì 12 settembre 2016

Il manifesto di Ventotene, 2



La catastrofe del nazionalismo



Segue da: Il manifesto, gli autori


Gli autori sicuramente si rivoltano nella tomba. Non resisto alla tentazione di usare questa frase fatta, cara ai nostalgici di Berlinguer, dei partigiani e presto anche a quelli di Gian Roberto Casaleggio, ma non trovo di meglio. 
L'ultimo oltraggio è stato essere ricordati, e venerati come guida, dai tre personaggi nella foto, che, al di là dei meriti e dei demeriti personali e contingenti, stanno percorrendo una strada che non è un lento e cauto avvicinamento agli ideali dei padri, ma una sostanziale, e temo irreversibile, deviazione.
Sicuramente la Merkel ha dimostrato coraggio nel suo parlamento a proposito di profughi siriani (magari laureati e utili all'economia tedesca..), sicuramente Renzi ogni tanto alza la voce sulla ridistribuzione dei profughi, seppur con scarsi risultati, ma giustamente sottolinea il coraggio e l'impronta fortemente etica degli italiani che salvano in mare, sicuramente Holland.. già: che fa questo, oltre a farsi pagare il muro di Calais dagli inglesi della brexit? 



Va in motorino, l'uomo normale che va in motorino..e vieta il bourkini. Meriterebbe una vignetta di Charlie o no?



Ma torniamo a Ventotene. Gli autori, della più disparata provenienza politica, vagavano esuli per le stradine di Ventotene, ma, anche se isolati dal resto del mondo, dalle informazioni sulla guerra, volavano alto (altra frase fatta..) e ragionavano di storia, società, cultura e soprattutto di futuro, capacità, quest'ultima, sconosciuta ai leader attuali che al massimo arrivano all'elezione successiva.

E, ragionando ragionando, trovavano che il disastro delle due guerre mondiali era dovuta allo sfrenato, pur se necessario affermarsi del nazionalismo, seguito al disfacimento dei due imperi, austroungarico e ottomano, e intuivano come l'unico antidoto a tragedie future fosse il suo superamento. E intuivano pure che l'applicazione a livello solo nazionale degli ideali dei democratici (così genericamente definivano e si autodefinivano quelli di loro che professavano ideologia liberale) e degli ideali socialisti avrebbe ben presto portato al risorgere delle contraddizioni sociali, economiche e di classe, che erano state terreno fertile per la nascita delle dittature che tutto avevano spazzato in precedenza.
Ebbene sì, tutti e tre si definivano progressisti, contrari ai reazionari, proiettati verso un mondo futuro, dove l'unico antidoto al prevalere degli uni sugli altri, delle classi dominanti sui proletari, dei ricchi sui poveri, dei militari sul popolo, non poteva che essere la condivisione internazionale delle scelte economiche, dell'esercito e l'abbattimento delle barriere doganali.
Ma quello che di essi farebbe adesso dei pericolosi estremisti era che ipotizzavano che tutto questo si potesse raggiungere sia per accordi diplomatici progressivi, sia per sollevazione popolare. Ma più lucidamente delineavano i rischi del lasciare le cose come stavano allora: prima o poi,  essi sostenevano, sia da regimi "democratici", sia da regimi collettivistici i nazionalismi sarebbero potuti risorgere. Ma a questo punto conviene leggere l'originale:

Come sia finita è sotto gli occhi di tutti. Sicuramente l'abbozzo di unità europea, costruita blandamente sui principi generali che troverete in conclusione, ha assicurato settanta anni di pace, di libero scambio e, per un ventennio, anche di libera circolazione. Provate adesso ad attraversare la frontiera con la Francia o con l'Austria in treno! Ma il superamento del nazionalismo è stato (ingenuamente?) affidato alla moneta unica, cioè a quello che avrebbe dovuto essere l'ultimo passaggio e la cui anticipazione ha favorito l'egemonia delle economie più forti, limitando i danni per qualche tempo alle economie deboli, per poi riversare su di esse i costi umani, sociali ed economici alla prima vera crisi. Il sistema economico e politico sovranazionale è diventato, quindi,  proprietà privata dei ragionieri di Bruxelles.  Alle oligarchie militari si sono sostituite quelle degli economisti, alle élites politiche quelle degli analisti di bilanci.
Non sono stati costituiti organi politici saldamente democratici, cioè espressione della volontà popolare, fatta eccezione per uno scolorito parlamento, che poco o nulla decide. Si sono moltiplicati vincoli ed accordi europei, divenuti solo facile alibi dei politici nazionali: "ce lo chiede l'Europa!", quando si tratta di appesantire vincoli e procedure. Un castello fragile destinato a crollare miseramente di fronte a una vera grande crisi, come quella dei migranti, che, per i fantasmi che evoca nelle menti deboli e nell'immaginario collettivo, è assai peggio della crisi economica del 2008.  Adesso "democratici" pavidi,  che talvolta si autodefiniscono socialisti,  timorosi delle paure popolari e dei relativi sciacalli nazionali, chinano il capo alle loro richieste, tentano scioccamente di inseguirli nel loro stesso campo, quello delle paure, dei muri, del filo spinato, della difesa dei privilegi (quali? quelli delle classi dominanti..), e, ciliegina, si portano avanti disgregando lo stato sociale e le conquiste dei lavoratori. Ecco si, proprio su questo, anche il più liberale dei padri di Ventotene si rivolterebbe nella tomba..    

"Tali principi si possono riassumere nei seguenti punti: esercito unico federale, unità monetaria, abolizione delle barriere doganali e delle limitazioni all'emigrazione tra gli stati appartenenti alla federazione, rappresentanza diretta dei cittadini ai consessi federali, politica estera unica"

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