Carlo Smuraglia
Presidente Nazionale ANPI, alla manifestazione del 29 aprile al Teatro Eliseo di Roma
Un intervento lungo e appassionato, ma non da addetti ai lavori, una sintesi magistrale, semplice ma approfondita dei pericoli che corre la Democrazia sull'onda delle pseudo riforme istituzionali buttate sul tappeto da Renzi e Berlusconi. Chi avrà la pazienza di arrivare sino alla fine capirà da che parte stanno i veri difensori della Costituzione.
“Non siamo conservatori, ma il cambiamento si realizza solo nel solco della Costituzione e nel quadro di una democrazia che si rafforza anziché ridurre gli spazi della rappresentanza”
“...... (saluti e ringraziamenti)
Sono quindi particolarmente lieto di aver ricevuto diverse adesioni di Associazioni che hanno sempre dedicato il loro impegno al sostegno dei valori e princìpi costituzionali; e di aver qui sul palco alcuni vecchi amici con i quali siamo legati, da molti anni, da rapporti di stima e
amicizia e che ho sempre apprezzato per le loro qualità e per la loro preparazione. Parlo di Stefano Rodotà e Gianni Ferrara, ma mi riferisco anche a Lorenza Carlassare, che non ha potuto venire e di cui ho letto la lettera di disappunto per l’impegno che l’ha tenuta lontana
da Roma.
Anche lei appartiene alla categoria di coloro che studiano, lavorano, riflettono e non improvvisano; una qualità che sta diventando rara, ma che me la rende sempre più amica, stimata ed apprezzata.
Sono lieto anche della presenza, qui in sala, di una qualificatissima delegazione della CGIL, a riprova del fatto che anche con loro c’è una condivisione profonda, quali che siano poi le soluzioni specifiche che ognuno preferisce, sul fatto che le riforme costituzionali sono una
cosa seria e dunque le modifiche necessarie devono essere ponderate, rispettando – per quanto possibile – la volontà espressa dai Costituenti e gli equilibri, fatti di pesi e contrappesi e soprattutto di garanzie per i cittadini, da loro indicati e che sono, in linea di principio, aggiustamenti non alterabili.
Infine, un ringraziamento particolare è dovuto ad Elena De Rosa, finalmente una giovane (ma in realtà ce ne sono tanti, oggi, di giovani, in questa sala), scelta non “per far figura”, ma perché è una giovane intelligente e in gamba, a cui abbiamo chiesto non solo di dare
l’avvio a questo incontro, ma di condurlo e di dirci il pensiero suo e di altre ragazze e ragazzi sul tema delle riforme.
Questa iniziativa, per noi è anche una sfida: perché si tiene a breve distanza dal 25 aprile, che ha costituito un altro grosso impegno, per noi; perché non si basa sulla raccolta di firme e adesioni, che poi si risolvono spesso in un dato formale, ma solo su alcune adesioni di
rilievo, per significare che non siamo soli e tali non resteremo; e se non abbiamo fatto una raccolta di firme individuali, abbiamo però ricorso alla collaborazione di persone come Rodotà, Carlassarre, Ferrara, di cui vi sono note le qualità e l’impegno, e di altri che, spiacenti, non hanno potuto intervenire.
Questa manifestazione vuol rompere il muro del silenzio, informare veramente i cittadini di quale è il problema reale; e vuol dare il via ad una mobilitazione dell’ANPI su tutto il territorio nazionale, per informare i distratti o quelli che non sanno, per chiarire, per appoggiare e sostenere chi si oppone ad una iniziativa di riforma che ci sembra inadeguata, per alcuni aspetti improvvisata e per altri ancora addirittura rischiosa per i diritti dei cittadini e la tenuta dei necessari spazi di democrazia.
C’è, insomma, in questa iniziativa, l’orgoglio di una Associazione di grande tradizione e di grande autorevolezza morale, che peraltro ha raccolto attorno a sé, il 25 aprile, solo a Milano
centomila cittadini.
Orgoglio che non significa presunzione.
Non pensiamo di avere la verità in tasca e non a caso abbiamo chiesto il contributo di alcuni esperti, in un momento in cui i professori, gli esperti, nelle sfere governative, non vanno di moda, anzi sono da trattare quanto meno con ironia.
Ma, si sa, le convinzioni espresse anche da fonti qualificate non sono sempre sorrette da una robusta cultura giuridica e talvolta soffrono di una certa spericolatezza, non solo sul piano della cultura istituzionale, ma addirittura su quello della cultura senza aggettivi.
Come può un Ministro o la Vicesegretaria di un importante partito pensare di poter richiamare all’ordine e al rispetto della disciplina di partito il Presidente del Senato, che si permette qualche osservazione sul progetto di riforma del Senato?
Come si può pensare, di trattare un gruppo di Senatori che avanzano un progetto alternativo di riforma e lo sostengono, come soggetti “in cerca di visibilità”?
Come si può concepire il rifiuto del confronto, il continuo richiamo ai “professoroni”, con toni di sufficienza?
Io capisco che ognuno abbia il diritto di tenere alle proprie scelte e magari di privilegiare gli incontri, le trattative e i confronti con chi ritiene più utile. Io, che sono di gusti antiquati,
continuo a preferire l’incontro, la collaborazione e magari il confronto, con persone pulite, serie e di elevata cultura, come Rodotà, Ferrara, Carlassare, Zagrebelsky e tanti altri, se non altro perché, anche se avanza l’età, sono sempre “freschi di studi” nel senso che non
smettono mai di interrogarsi, porsi problemi, studiare soluzioni, senza arroganza e senza alterigia e senza mai far valere il fatto che loro, agli studi e agli approfondimenti, hanno dedicato una vita.
Ma veniamo a noi, a questa bella e significativa giornata.
La prima cosa che io penso si debba evidenziare è la ragione per cui parliamo di “questione democratica”.
In effetti, è assurdo discutere la possibile riforma del Senato come se fosse isolata, una sorta di problema tecnico, o addirittura, un problema di risparmio di spese (che in tema costituzionale è una vera bestemmia: le istituzioni vanno rese efficienti e corrispondenti alle necessità dei cittadini, indipendentemente dai costi).
Veniamo da lontano: in questi anni, c’è stata una lenta, ma continua erosione degli spazi di democrazia. Ne farò soltanto un’elencazione sommaria:
L’abuso della decretazione di urgenza e del voto di fiducia;
l’applicazione, in concreto e per molti anni, di una legge (il porcellum) che nega diritti fondamentali dei cittadini e la rappresentanza;
gli accordi tra due soggetti, entrambi fuori dal Parlamento (ed uno per ragioni particolarmente gravi), che poi vengono posti a base di scelte e decisioni intangibili dei rispettivi partiti;
l’approvazione di una legge elettorale (italicum) solo in un ramo del Parlamento, del tutto contraria alle promesse ed agli impegni (restituire la parola ai cittadini) e soprattutto
contraria alle preziose indicazioni della Corte Costituzionale, proprio in materia;
infine, un progetto di riforma dell’istituzione centrale dello Stato, il Parlamento, che squilibra fortemente il sistema costituzionale, assegna tutti i poteri ad una Camera, composta anche con l’apporto del premio di maggioranza; eliminando ogni contrappeso ed ogni strumento
vero di garanzia (perché il Senato concepito dal Governo non è neppure una Camera di serie B; non è nulla, in concreto), contemporaneamente riducendo la rappresentanza dei cittadini, che la Costituzione riferiva a due organi Parlamentari ed ora si restringerebbe ad una sola.
Questa è già una questione, seria, di democrazia. Il resto è contorno; ma quale contorno!
Il disinteresse per la rappresentanza, a vantaggio della sola governabilità;
lo spregio per il dissenso e perfino per le osservazioni propositive;
l’idea di fissare tempi stretti (da parte del Governo, che dovrebbe restare estraneo), con una data fissa collegata non ad un emergenza istituzionale, ma una convenienza politica che alla fine (benché ciò venga smentito) appare di natura elettorale.
la convinzione di poter imporre tutto, con la disciplina di partito, anche in materia costituzionale (si stanno facendo grossi passi indietro, verso tempi e modi che credevamo sepolti per sempre);
il trattamento per i dissenzienti, che dimostra il fastidio di chi decide e non vuole essere turbato nei suoi propositi.
Questo dà un’idea anche di ciò che significa l’ultima parte del progetto governativo, con l’introduzione dell’istituto del voto a data certa, che significa attribuire al Governo il potere di dettare il calendario parlamentare o comunque di annullare – se vuole – ogni possibilità vera
di iniziativa parlamentare e perfino di seri e approfonditi dibattiti parlamentari.
Di questo stiamo dunque parlando, non di modelli teorici di Senato, che sono abbondanti e sui quali si potrebbe scegliere, ma badando a criteri reali: l’efficienza del sistema parlamentare; le garanzie di equilibrio dei poteri; l’effettività della rappresentatività dei cittadini e la loro reale possibilità di partecipare e far sentire la propria voce.
Chiarito questo, il mio intervento può essere breve, anche perché abbiamo diffuso ampiamente la posizione dell’ANPI, anche in questa sede; non senza notare come i partiti, i politici, la stampa si mostrino pochissimo interessati a conoscere il pensiero altrui, magari
anche il nostro, che in mille modi si è cercato di sottoporre ad una cortina fumogena.
Dunque:
siamo per la differenziazione del lavoro delle due Camere; è un’esigenza reale, anche se bisogna riconoscere che ci sono state occasioni in cui il bicameralismo “perfetto” ha reso servizi positivi su questioni fondamentali; ma adesso è venuto il momento di cambiare, però a cinque condizioni fondamentali:
a) che si mantenga il sistema elettivo
b) che si colga l’occasione per trasformare il Senato in una vera camera Alta, per la
rappresentatività, per la qualità dei componenti, per il tipo di funzioni.
c) che contemporaneamente si faccia una legge elettorale conforme alle indicazioni della Corte Costituzionale, sì da ridare possibilità di scelta ai cittadini, consentendo forme effettive di
rappresentanza (senza esclusioni eccessive); limitando il premio di maggioranza a misure ragionevoli.
d) che si indichino forme adeguate per qualificare (nel senso di migliorare, per qualità e competenza) la composizione del Senato (autonomia, competenza culturale e scientifica, non interessi corporativi).
e) che si riservino ai regolamenti parlamentari la disciplina dei tempi ed i casi di priorità, ponendo fine al sistema per cui sono i Governi che dettano tutto, perfino i tempi della discussione, sempre in nome della governabilità.
Quanto ai modelli, la scelta è molto ampia, fra i modelli studiati e quelli sperimentati. Va notato, peraltro:
1. Al di là della conta numerica, che non ha significato, il dato è che tutti i Paesi del G8 sono bicamerali; quindici Paesi del G20 sono bicamerali; quattro miliardi di persone su 5,5 (esclusa la Cina, che fa parte a sè) sono rappresentati da sistemi bicamerali: tutte le grandi
democrazie adottano il modello bicamerale (un vero modello bicamerale, nel senso che le due Camere hanno pari rilievo e pari autorevolezza), particolarmente diffuso quanto più il Paese è caratterizzato da complessità;
2. I Senati, in genere, rappresentano uno strumento di equilibrio e di riflessione nei confronti della Camera bassa, espressione della maggioranza di Governo;
3. Un bicameralismo vero (ancorché differenziato) garantisce, secondo la diffusa opinione degli esperti e studiosi, una migliore qualità della legislazione e una maggiore stabilità dell’ordinamento giuridico;
4. Sui metodi di elezione, esistono due grandi criteri: Senatori eletti direttamente e Senatori eletti in secondo grado, a cui si aggiunge il gruppo dei Senatori eletti con sistema misto.
L’elezione di secondo grado non è mai occasionale, ma è sempre diretta allo scopo specifico di comporre il Senato con persone elette specificamente per quella funzione. Non è concepibile, in nessuno dei Paesi europei, un Senato di serie B, composto di “volontari” eletti
per fare altre cose.
5. Il Senato, come strumento di governo delle complessità, si esprime particolarmente attraverso:
- la funzione di Camera di riflessione nel procedimento legislativo (salvo alcune materie di rilievo sulle quali si esprime in forma di compartecipazione).
- la funzione di controllo dell’attività di Governo rispetto alla possibilità di “dittatura della maggioranza”; e di trasparente monitoraggio sull’azione dell’esecutivo, sulle nomine, sugli enti pubblici, ecc.;
- la funzione di raccordo ed espressione delle entità e realtà territoriali che costituiscono lo Stato.
6. I processi di riforma del Senato nell’ultimo ventennio, nei Paesi di maggior rilievo, presentano queste caratteristiche comuni:
a) differenziazione tra i due rami del Parlamento
b) specializzazione “alta” delle funzioni del Senato
c) tendenza ad incrementare la democraticità complessiva
d) garanzia di maggiore efficacia nel rappresentare i territori, nei rapporti di carattere
internazionale e nei diritti fondamentali dei cittadini;
e) esigenza di razionalizzazione nei rapporti con l’esecutivo
f) rafforzamento dell’equilibrio dei poteri
g) esaltazione della funzione di raccordo con le realtà territoriali e istituzionali.
In conclusione, i modelli possono essere diversi, ma hanno molte caratteristiche comuni, tra cui il rafforzamento (con funzioni differenziate) di una Camera che deve essere “ALTA” per
qualificazioni e per competenze, deve avere funzioni di equilibrio di poteri, deve consentire una piena rappresentatività dei cittadini.
Tendenze che rendono ancora più evidenti le linee da perseguire nel nostro caso, anziché pensare ad una legge elettorale antidemocratica e anticostituzionale; perché il mix di questi fattori (Senato declassato e legge elettorale che dà un potere quasi esclusivo ad una
maggioranza di governo) può essere addirittura disastroso, per gli effetti e gli squilibri che può produrre.
Insomma, sui modelli si può discutere, ma sulle linee di fondo no, perché le stesse tendenze in atto dimostrano che in tutto il mondo avanza l’esigenza di rappresentanza e di democrazia, anche per contrapporsi alle tendenze e spinte di una destra autoritaria e populista.
Su questo dobbiamo attestarci, per avere una riforma del Senato non finalizzata al risparmio, ma ad esigenze di funzionalità e di democrazia.
Abbiamo parlato di una “questione democratica” anche e soprattutto per questo. In tutta Europa avanzano tendenze autoritarie e rigurgiti fascisti o neofascisti; c’è una forte tendenza, in diversi Paesi, a restringere le libertà anziché a renderle effettive. Ebbene, questo è il
momento di rafforzare la democrazia, in ogni Paese, non di indebolirla; questo è il momento di assicurare più partecipazione e più diritti ai cittadini, perché facciano sentire non solo la loro voce, ma la forte esigenza di rappresentanza e di sovranità.
Sarebbe, dunque, anche in Italia, del tutto sbagliato indebolire questa democrazia, ancora troppo fragile ed esposta a rischi. Occorre, invece, rinforzare le linee generali chiaramente espresse dalla Costituzione, che richiedono partecipazione, rappresentanza, centralità del
Parlamento, sistemi veri di garanzia.
Ridurre tutte queste problematiche a temi di spese e di risparmio, mi sembra davvero assurdo; anche perché alla fine, differenziando le funzioni delle due Camere, si può benissimo ridurre il numero dei componenti dell’una e dell’altra e unificare i servizi, con evidente e sicuro risparmio, ma senza toccare le linee portanti del sistema ed anzi, rinforzandole con una legge elettorale che venga incontro alle istanze dei cittadini e corrisponda alle precise indicazioni della Carta Costituzionale.
Ho letto uno scritto interessante di un Senatore che stimavo molto quando faceva il giornalista e che mi sembra conservi anche oggi la stessa linearità di princìpi e la stessa autonomia. C’è una frase lapidaria con cui si conclude lo scritto intitolato “La Costituzione
merita rispetto”: “occorre una seconda Camera, non una Camera secondaria. E una seconda Camera è tale se può esercitare una funzione di garanzia, grazie ad una saggia specializzazione ed all’autorevolezza che le deriva dal voto popolare”.
Mi pare che colga nel segno e rappresenti con semplici parole il succo del nostro intendimento e del nostro impegno.
Che è tanto maggiore, quanto più sentiamo il peso di una legge elettorale, per fortuna approvata solo da una Camera, che non risponde, come ho detto, né a criteri di rispetto della
Costituzione né a criteri di rispetto dei diritti dei cittadini, né tanto meno al principio di rappresentanza.
Insomma, e per concludere, non si tratta di essere conservatori. Anzi, siamo favorevoli al cambiamento, ma nel solco della Costituzione e nel quadro di una democrazia che si rafforza anziché ridurre gli spazi della rappresentanza.
Non ci considereremo soddisfatti, dunque, se non quando il Paese non si sarà dotato di una legge elettorale veramente democratica; tra rappresentanza e governabilità si privilegerà la prima, pur cogliendo anche le esigenze di stabilità; la Costituzione sarà rispettata ed attuata
nei suoi fondamenti e nelle sue linee di coerenza, apportando gli aggiustamenti necessari alla stessa struttura parlamentare, ma senza togliere alcunché agli equilibri ed alle garanzie che la Costituzione ci offre e che restano il fondamento della vita consociata.
In questa direzione intendiamo lavorare, col contributo di quanti credono nella Costituzione e nella democrazia e con un’informazione adeguata ai cittadini sulla reale posta in gioco e sul loro interesse a soluzioni chiare, trasparenti e ponderate.
Comincia qui un cammino, che può anche essere lungo.
Ma questa forte presenza, questo calore e questa giornata magnifica di incontro mi induce a pensare che se ci impegneremo come dobbiamo, ce la faremo, nell’interesse del Paese e della democrazia.
Dott. Menallo, ora è lampante perchè il Movimento cinque stelle non deve spendere un soldo per fare campagna elettorale... ci pensate da soli a far perdere la voglia ai cittadini di votarvi! Ma si rende conto di cosa scrive o qualcuno l'ha pubblicata a sua insaputa?
RispondiEliminaCaro Menallo, l'INTRANSIGENZA e l'ONESTA' INTELLETUALE sono due valori che non sa nemmeno dove stiano di casa! Leggo nel post:
"[..] in questi anni, c’è stata una lenta, ma continua erosione degli spazi di democrazia. [..] Il disinteresse per la rappresentanza, a vantaggio della sola governabilità..[...] la convinzione di poter imporre tutto [...]
il trattamento per i dissenzienti, che dimostra il fastidio di chi decide e non vuole essere turbato nei suoi propositi.
"
Presi così a pezzi non le ricorda qualche altra situazione, magari più vicina alla realtà Mestrinese? Crede che la democrazia sia una materia squisitamente a livello nazionale? Non esiste la democrazia nei gruppi, nelle associazioni, NEI COMUNI?
E Lei, come può parlare di mantenere una linea democratica quando ha VOTATO CONTRO LA POSSIBILITA' DI ESPRESSIONE DEI CITTADINI? CONTRO IL REFERENDUM POPOLARE!
Quando LEI per primo è stato favorevole alla applicazione di uno statuto NON DEMOCRATICO? Ma chi pensa di prendere per il #### ? (censuro altrimenti rischio che la sua "approvazione" come il suo voto in consiglio comunale non sia democratica)
Mi raccomando, continui così....
Le rispondo solo perchè qualche visitatore di passaggio, non a conoscenza dei dettagli della questione potrebbe essere fuorviato.
EliminaIo, con vivimestrino e e con il "portaovoce" Pinton del m5s ho votato a favore dell'emendamento presentato da vivimestrino, tendente ad introdurre nel nuovo statuto il referendum in materia urbanistica. L'emendamento é stato bocciato dalla maggioranza (12 contro 5). Poi abbiamo votato a favore dello statuto nel suo complesso, perchè ritenevamo e riteniamo che fossero stati introdotti comunque dei miglioramenti (non ultimo l'obbligatorietà di rappresentare TUTTE le minoranze nelle commissioni). Continuare a strombazzare che vivimestrino ha votato contro il referendum dei cittadini è semplicemente falso, non solo una bischerata. Ma pazienza la campagna elettorale sta per finire, prima o poi ritornerà la logica anche nei cervelli all'ammasso. (La definizione non è mia, ma di un ex M5S, democraticamente espulso via clik).