Oltre confine, oltre ogni aspettativa
Lunedì scorso a Rubano serata d'eccezione con Euglent Plaku, per la
presentazione del libro "Oltre confine". Un pubblico numeroso e attento, rimasto senza parole durante tutto l'incontro, condotto attraverso la lettura di brani estratti dal libro e domande sulle diverse tematiche alle quali l'autore ha dato risposte concise, ma intense.
Il pubblico, poi, ha contribuito attivamente alla buona riuscita dell'evento, con interventi appassionati e profondi.
A condurre la serata due presentatori, Remo Breda e Valentina Visentin, che per modestia si definiscono improvvisati, ma che hanno fatto meglio di consumati professionisti, per la limpidezza degli interventi e la partecipazione emotiva che hanno saputo trasmettere al pubblico.
Attraverso le domande sono state chiarite alcune questioni riguardanti la scrittura del libro; è stato spiegato, ad esempio, perché la storia si ferma con l'arrivo in Italia di Euglent da regolare. Non c'è il seguito, perché, come ha detto l'autore, il libro è sì autobiografico, ma vuole essere anche il paradigma di tutte le storie di immigrati senza volto che sono arrivati e continuano ad arrivare in Europa attraverso l'Italia.
Toccante e significativa la testimonianza di Euglent sull'atteggiamento
degli italiani nei suoi confronti: "Roma e Milano non mi hanno mai tradito". Quando era costretto a mendicare ai semafori, molti, senza tante parole, lo hanno sfamato.
Una signora ungherese, tra il pubblico, ha confermato di avere una grande stima degli italiani, che l'hanno accolta e aiutata.
Sarà, ma entrambi sono chiari di pelle, sarà questo? o sarà che sono passati più di 10 anni dal loro arrivo e la crisi, alimentata dai razzisti
nostrani, lucratori di voti, ha dato i suoi frutti più biechi?
Tornando al libro non si può dire altro che i fatti parlano da soli, lo stile asciutto e sobrio, cronachistico e quasi burocratico, mette in evidenza la progressiva discesa agli inferi del protagonista e soprattutto il faro, la luce che gli ha evitato di perdersi: i valori etici trasmessi dalla famiglia.
Per chi ha voglia di saperne di più ecco di seguito alcuni estratti,
utilizzati durante la serata per evidenziare i vari aspetti delle vicende
narrate. Per ottenere una copia del libro, scrivere a paolomenallo@libero.it
POVERTA’
[1A] Il periodo più
duro era l’inverno. Non avevamo di che scaldarci e coprirci. Pioveva spesso e
il tetto della casa non sempre riusciva a ripararci completamente. Non avevamo
né televisione, né radio, né lavatrice anche perché non sempre c’era l’energia
elettrica. Non esisteva nemmeno l’acqua in casa e neppure il dentifricio per
lavarsi i denti.
Ci furono giorni nei quali non si mangiava nulla: io e i
miei fratelli chiedevamo alla mamma da mangiare, e lei, nascondendo le lacrime,
rispondeva sempre: “Andate a giocare e tornate a casa presto!”
[1B] Entrai in casa in
uno stato pietoso, tutto infreddolito con le dita delle mani e dei piedi
congelate e che mi facevano un male insopportabile. Mia madre rientrata in
anticipo dal lavoro a causa del maltempo, appena mi vide, corse verso di me
preoccupata. Piangeva per la rabbia. Voleva fare di più per noi, ma non ne
aveva le possibilità. Mi scaldò con il suo corpo e il calore del cuore. Più
tardi mi ripresi, a quel punto mi addormentai sotto la coperta piena di toppe.
VALORI
[2A] “Mamma, tra mille difficoltà tu e papà siete riusciti a
crescere me e i miei fratelli. Con pazienza e amore ci avete educato e
trasmesso valori con delle radici profonde. Solo per queste due ragioni non
meriti di soffrire e vedere un figlio emigrare. Il mio destino purtroppo è
questo. Ti ho portato nel cuore tutti i giorni che ero lontano e sempre lo
farò. In molti momenti ho trovato rifugio in te. Nei paesi dove emigriamo non
sempre ci vedono come esseri umani con dei sentimenti: “siamo clandestini”.
Cara mamma il tuo dolore e le tue lacrime sono per me uno stimolo in più per
realizzare i miei sogni. Un giorno, spero che il mondo intero possa capire che
dietro ogni emigrante c’è il cuore sofferente di una madre che sul ciglio della
strada aspetta il ritorno del proprio figlio”.
[2B] Un giorno, al ritorno dai campi con il bestiame, noto papà che mi guarda
sorridendo e scuote la testa. Mi volto guardandomi alle spalle se c’è qualcun altro oltre a me. Sono completamente
solo.
“Si può sapere perché sorridi?” chiedo passandogli a fianco.
“Te l’avevo detto, sprechi solo del tempo con la tua voglia di andare in
Italia! Alla fine torni sempre da me a fare quello che sai fare bene quando non
brontoli. Sei un buon pastore!”
VITA AI SEMAFORI
[3A] Al mattino presto
lasciamo il parco alla ricerca di semafori con molto traffico. Prima di uscire
in strada mi strappano i vestiti, sporcandoli il più possibile. Mi avvicino al
semaforo con vergogna e con la dignità infranta. Ci vogliono un paio d’ore prima
di fare il primo giro in mezzo alle auto. Allungo il braccio e porto il palmo
della mano semichiuso all’altezza del finestrino: dal disagio, mentre cammino,
sento sotto i piedi il terreno sollevarsi. A distanza Alfi m’incita a gesti di
continuare e di insistere: lo mando a quel paese. Provo con un secondo giro
velocemente a testa bassa, ma nessun finestrino si apre. Spero tanto e desidero
che in quel momento passi un’auto della polizia, e che in qualche modo si
accorgano di me. Desiderio che non si avvera.
Passo la giornata a quel maledetto semaforo senza mangiare! Ogni volta che scatta il rosso, parto per elemosinare. Passando in mezzo
alle auto, un finestrino si apre. Solo dai gesti capisco cosa mi chiede la
signora: non ha capito cosa io facessi lì.
“Che cosa vuole?” chiede. Ci penso un po’ mentre cerco di
mettere assieme due parole: “Soldi per mangiare!”
La signora incredula prende la borsetta, estrae il
portafoglio e mi appoggia sulla mano mille lire (0,52 €). Sono i primi soldi
ricevuti in Italia! Ringrazio mentre esco in direzione del marciapiede, con
testa bassa e tutto rosso in viso. La frase “soldi per mangiare” funziona! A
fine giornata, verso le nove di sera, mi ritrovo incredibilmente le tasche
piene di monete. Non mangio da due giorni, ma non ho il coraggio di muovermi
dal semaforo.
Ad un tratto sento un fischio provenire da una notevole
distanza: è Alfi che con un gesto della mano m’invita a raggiungerlo. Passo a
lui i soldi di carta, dopodiché entro in una pizzeria al taglio e compro della
pizza che consumo voracemente camminando.
“Hai visto, facile no?” dice con un sorriso stampato. Non
rispondo, non ne vale la pena. Dentro mi sento vuoto, e arrabbiato.
[3B] Riceviamo dai
capi molte intimidazioni quasi ogni sera. La paura è tanta, al punto che spesso
rinunciamo a mangiare per timore di essere scoperti. Molti ragazzi a differenza
mia non mangiano per risparmiare denaro. Spesso accade questo quando la
giornata va male e il denaro raccolto è di gran lunga inferiore alla cifra
obbligatoria. In ogni caso, siamo sulla strada ad elemosinare da un mese e
mezzo, in condizioni critiche e nessuno si preoccupa seriamente di noi!
[3C] Tra mille
difficoltà la vita prosegue. Le giornate al semaforo diventano insopportabili.
La sofferenza e la vergogna sono da qualche tempo amiche costanti. Da un lato
mi fa crescere, dall’altro invece mi rende freddo nell’animo e diffidente verso
ogni essere umano. La lotta per la sopravvivenza mi ha logorato e scavato in
profondità. Per l’età che ho dovrei essere a scuola e vivere la vita di un
adolescente spensierato. La realtà invece è molto diversa e triste.
VIOLENZA
[4A] Una decina di metri più in là, un gruppo di uomini
attira la mia attenzione. Le ragazze che ho visto sull’imbarcazione vengono
picchiate e spogliate con la forza dai due personaggi che erano con loro; in un
attimo tutti gli uomini che erano sul gommone le stuprano a turno tra le urla
disperate e i pianti delle giovani. I due uomini ci annunciano con orgoglio che
possiamo approfittare anche noi. Rispondo che non sono assolutamente
interessato all’offerta. Sicuramente le povere ragazze sono destinate al mercato
della prostituzione! Passo la notte fingendo di dormire, controllando con
occhio vigile la situazione. Mi trovo in un ambiente nuovo e sconosciuto,
circondato da gente che non rientra nei miei parametri.
[4B] Poco distante i
tre sfruttatori di ragazze si mettono all’opera costringendole a rapporti
sessuali con i presenti. Un rifiuto da parte loro significa una reazione
violenta da parte di chi le ha trascinate in Italia con l’inganno del lavoro.
Si sentono lamenti, pianti e il rumore delle botte sul corpo delle ragazze. Una
di loro dalla violenza eccessiva dei colpi cade a terra con il viso che sbatte
sul suolo freddo e sabbioso. L’uomo la trascina per i capelli per alcuni metri.
Comincia a spogliarla, togliendole pantaloni e indumenti intimi. Poi le urla disperate
e strazianti cessano, trasformandosi in rassegnazione. Solo la testa si muove,
mentre l’uomo la violenta brutalmente. Lo sguardo della ragazza si posa nella
direzione di tutti noi, ma trova soltanto indifferenza: per paura o forse
perché incapaci di distinguere tra il bene e il male, la crudeltà e la dignità.
Poco dopo, la fila di uomini che approfittano per avere un rapporto con le
ragazze si allunga. Nessuna pietà. Nessun rispetto. Solo una misera
soddisfazione personale.
[5] La disperazione, il
degrado e la fame stessa ti spingono ad affrontare cose più grandi di te. È
difficile comprendere un concetto simile da parte di persone nate e cresciute
“dentro una campana di vetro” e che non conoscono il degrado e la fame. Il
timore e la paura vivono costantemente nei miei occhi, ma per nessuna ragione
rinuncio alla ricerca di un futuro migliore. Sono consapevole che posso trovare
la morte, ma in certi momenti la volontà di vivere dignitosamente è più forte.
RISCATTO
[6] Allungo il
passaporto al poliziotto seduto all’interno della grigia postazione, rispondo a
tutte le domande che lui mi pone mentre guarda il passaporto foglio per foglio.
Poi mi squadra dalla testa ai piedi. Mi chiede anche dove sono diretto.
“A Venezia, a studiare dai salesiani!” rispondo con la
voce tremante.
“Bello, conosco Venezia, sono nato là!” mi confida.
Accompagnato da un sorriso e con i migliori auguri, il poliziotto impugna il
manico del timbro e con forza stampa nel mio passaporto il giorno e la data
dell’ingresso ufficiale in Italia: 31.10.1996. Quel dolce rumore accompagnato
da: “Buona permanenza!” rimane tutt’ora il suono più dolce (che abbia) mai
sentito.
“Grazie, buon lavoro!” ricambio con felicità immensa.
Così, dopo tre anni di viaggi disperati e con ogni mezzo
possibile nel tentativo di raggiungere un sogno, dopo una vita misera tra le
montagne della Grecia, semafori, ponti per dormire in Italia e mille
difficoltà, mi ritrovo, senza ancora rendermene conto, una persona “non più
invisibile”.
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