Fonte: Tuttoscuola
A
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ABBREVIAZIONE
(corso di studi)
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(febbraio)
– Trapelano le prime notizie sulle proposte formulate dal gruppo di studio
incaricato dal ministro Profumo di predisporre un piano per la riduzione
della durata della scuola da 13 a 12 anni (con teorico risparmio di 1.380
milioni di euro nella filosofia della spending review).
Sembra
prevalga l’idea, non nuova, di tagliare un anno alla scuola secondaria
superiore, anche riformata da pochissimo tempo e tuttora in fase di
assestamento strutturale.
Immediata
l’opposizione dei sindacati della scuola, preoccupati soprattutto per
l’ulteriore taglio degli organici e per la prospettiva di una nuova
riscrittura dei programmi (Indicazioni nazionali) ricalibrata su quattro
anni.
Sembra
cadere l’ipotesi di berlingueriana memoria di accorpare in sette anni
primaria e secondaria di I grado; abbandonata anche l’idea di anticipare
l’obbligo a 5 anni.
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B
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BERLUSCONI(SMO)
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(settembre)
– Nel mese di settembre, con la scissione del Pdl e la formazione di una
nuova maggioranza che vede il passaggio della ricostituita ‘Forza Italia’
all’opposizione, sembra concludersi un periodo quasi ventennale della storia
del nostro Paese, il ciclo del ‘berlusconismo’.
Forse è
troppo presto per fare un bilancio complessivo. Però se prendiamo in
considerazione un campo ben delimitato come, per esempio, la politica
scolastica, qualche riflessione è già possibile farla. C’è stata una
‘filosofia’ berlusconiana (un’idea guida, una strategia, un fil rouge) in
materia di educazione?
La
risposta è chiaramente negativa. Le due ministre messe in campo da
Berlusconi, Moratti e Gelmini, hanno seguito strade ben diverse. La prima,
Letizia Moratti, si è impegnata in una megariforma, il cui fulcro è stata la
pseudolicealizzazione dell’istruzione tecnica, che non è stata portata a
termine. La seconda è stata invece protagonista di una megarestaurazione, dal
maestro unico al ripristino dei voti, che ha mascherato l’obiettivo del
Governo di ridurre drasticamente la spesa pubblica per l’istruzione. Era
tutto ciò inevitabile?
Di fatto,
tra tocchi e ritocchi, fughe in avanti e marce indietro, la scuola italiana è
rimasta fondamentalmente la stessa. L’era berlusconiana si conclude dunque
con un nulla di fatto con l’eccezione forse, e con molte limitazioni, della
tematica della valutazione di sistema.
Eppure le
premesse e le promesse di cambiamento, quelle evocate dalle “tre i”
(internet, inglese, impresa), slogan berlusconiano della campagna elettorale
del 2001 - ma anche possibile scenario di modernizzazione - avrebbero potuto
condurre in teoria a un esito diverso. Nella politica scolastica, come
peraltro anche in altri campi, Berlusconi e il berlusconismo hanno così
dimostrato di essere soprattutto poderose macchine del consenso, capaci di
suscitare aspettative e di vincere le elezioni, ma non di governare in modo
efficace e innovativo. Il risultato è che la scuola nel nostro Paese è
cambiata pochissimo proprio in un periodo in cui l’esigenza del cambiamento è
diventata sempre più forte.
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BES
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(marzo)
– Il Miur, in applicazione di una direttiva del ministro Profumo, emana una
circolare che ufficializza per la prima volta i bisogni educativi speciali
(BES), prevedendo che siano i consigli di classe a diagnosticare le
situazioni individuali che richiedono interventi didattici particolari.
Per il
sostegno degli alunni con BES la circolare consente di adottare le misure
dispensative e gli strumenti compensativi previsti per gli alunni con DSA
(disturbi specifici di apprendimento).
La
disposizione è oggetto di valutazioni contrapposte e suscita, comunque,
attenzione e preoccupazione nelle scuole. Forse, per una problematica così
importante, sarebbe stato più opportuno coinvolgere il Parlamento con una
legge apposita, come si era fatto con i DSA (legge 170/2010).
Di un
possibile disagio degli insegnanti si fanno carico i sindacati di categoria
che ottengono tre mesi dopo un parziale stop da parte del Dipartimento per
l’istruzione del Miur, che annuncia per l’anno scolastico 2013-14
un’applicazione soft della circolare a carattere sperimentale.
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BONUS
MATURITA’
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(aprile-giugno)
– Il ministro Profumo, a fine mandato, emana un decreto per l’accesso alle
facoltà a numero chiuso del prossimo anno accademico che prevede, oltre alla
valutazione dei test di ammissione, anche la valutazione di un bonus relativo
al percorso scolastico.
Il bonus
era stato già previsto dal ministro Fioroni con la legge n. 1 del 2007, ma
mai applicato.
I ragazzi
usciti dalla maturità possono così contare su alcuni punti in più in base al
voto dell'esame di stato: da un minimo di 1 a un massimo di 10, per i voti
compresi tra l'80 e i 100 centesimi.
Con il
decreto viene anche fissato il calendario delle prove di ammissione,
anticipate a luglio, subito dopo la maturità, anziché in autunno come
avveniva prima.
Le
proteste per i tempi troppo ravvicinati delle prove inducono il ministro
Carrozza a spostare il calendario dei test a settembre.
(settembre)
– Il decreto legge 104 abolisce il bonus con effetto immediato, mentre sono
in corso presso molte facoltà i test di ammissione. Molti studenti protestano
per l’intervento modificatore in corso d’opera; si annunciano ricorsi.
In sede di
conversione del DL 104 viene inserito un emendamento che riconosce ai
candidati non ammessi di iscriversi in soprannumero. Un bonus che
sa di malus.
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C
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CARROZZA
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(febbraio)
–Ventiquattr’ore
dopo la sua elezione alla Camera, Maria Chiara Carrozza, capolista in Toscana
per il Pd, ufficializza le sue dimissioni da rettore della Scuola
Superiore Sant'Anna di Pisa. Due mesi dopo diventa ministro
dell’Istruzione, Università e Ricerca nel governo Letta. E’ rettore e
ingegnere, come il suo predecessore Profumo, ma se ne differenzia per il
fatto di essere un ministro politico di un governo politico.
(ottobre)
- In
un’ampia intervista al mensile Tuttoscuola il ministro Carrozza insiste
soprattutto sul ruolo istituzionale della scuola pubblica, che è quello di
garantire la fruizione del servizio da parte di tutti gli studenti, a
prescindere dalla loro provenienza e condizione economico-sociale. “Per
questo chiedo prima di tutto rispetto per la scuola”, afferma con forza.
Sulle
proposte avanzate da Tuttoscuola con il dossier ‘Sei idee per rilanciare la
scuola’ Carrozza non lesina considerazione e apprezzamento:
- Apertura
pomeridiana ed estiva delle scuole: d’accordo, anche il Decreto legge
‘L’istruzione riparte’ ne parla per favorirla, ma la decisione sulle attività
da svolgere all’interno delle strutture scolastiche deve essere lasciata alle
autorità locali: la stessa istituzione scolastica, gli enti locali, le
associazioni attive sul territorio.
- Carriera
dei docenti: disponibilità a discutere forme alternative di sviluppo della
professionalità docente (“Se ne parlerà in occasione della ‘Costituente’”),
ma allo stato delle cose non si può “spremere di più gli insegnanti, che
hanno uno stipendio veramente basso”-
-
Digitalizzazione delle scuole: per sostenerla auspica la defiscalizzazione
delle donazioni (per le scuole “dobbiamo portarla al 100 per 100”).
Un
programma realistico e pragmatico, sostenuto da una (relativamente) modesta -
400 milioni - ma significativa ripresa degli investimenti dopo la lunga
stagione dei tagli, durata fino al precedente governo Monti-Profumo.
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CNPI
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(gennaio)
– Il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione (CNPI) non ha più
membri surrogabili per esaurimento delle liste, con la conseguenza di non
potere disporre del numero legale per funzionare.
La
soluzione a questo problema viene in modo clamoroso: lo scioglimento delle
Camere impedisce il varo di un decreto legge ‘milleproroghe’ simile a quelli
che negli ultimi undici anni hanno consentito di prorogare il CNPI, in attesa
della riforma degli organi collegiali territoriali.
Niente
proroga, niente CNPI.
La mancata
proroga del massimo organo consultivo per la scuola apre una complessa
problematica istituzionale derivante dal fatto che una serie di atti
amministrativi prevede l’obbligatorietà del parere del CNPI.
Potranno
essere emanati, d’ora in poi, atti amministrativi, progetti ministeriali o
disegni di legge che prevedono tassativamente un preventivo parere che non
potrà più essere espresso? Potranno essere ritenuti legittimi o avranno un
vulnus costitutivo che ne impedirà ogni efficacia giuridica?
La
risposta, non semplice, non verrà per tutto il 2013.
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D
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Dimensionamento
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(dicembre)
– Dopo mesi di confronto tra il MEF, il MIUR e le Regioni per definire i
nuovi assetti della rete scolastica, è prevista in sede di Conferenza
Unificata la conclusione con sottoscrizione dell’accordo.
All’ultimo
momento la decisione viene rinviata a data da destinarsi. Tutto resta come
prima, con situazioni molto differenziate sul territorio.
Il motivo
principale del mancato accordo è dovuto al fatto che il MEF propone di
portare ogni istituzione scolastica alla media di mille alunni.
La
proposta, contrastata dalle Regioni, dalle Province e dai Comuni,
determinerebbe una contrazione dell’organico dei dirigenti scolastici e dei
DSGA di circa 800 unità.
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E
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Education at a Glance (Rapporto Ocse)
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(settembre)
- La tredicesima edizione del rapporto annuale dell’Ocse Education at
a Glance (EaG) pone a confronto i sistemi educativi dei 34 Paesi
membri dell’Organizzazione più alcuni altri, anche se non per tutti gli
indicatori (alcuni dati sono relativi all’anno 2010, altri al 2011).
L’Italia
non ne esce bene. Il rapporto EaG evidenzia che la spesa pubblica per
l’istruzione ammonta al 4,7% del Pil, contro una media Ocse del 6,3 %,
terz’ultima peggiore performance. Ancora peggiore è il dato che riguarda la
percentuale della spesa per l’istruzione sul totale della spesa pubblica:
solo il 9% contro una media Ocse del 13%.
Per
l’Italia viene fatto poi notare un ulteriore squilibrio, già evidenziato
negli scorsi anni: se la spesa annua per studente è di 9.055 dollari, contro
una media Ocse di 9.249, quella per studente di scuola materna ed elementare
è un po’ sopra la media di questa fascia di scuola, mentre quella per
studente universitario è notevolmente sotto: 9.561 dollari contro una media
di 13.719.
(Insegnanti
anziani) – Gli insegnanti italiani sono i più anziani: nel 2011 il 47,6%
dei maestri elementari, il 61% dei professori delle medie inferiori e il
62,5% di quelli delle superiori aveva già superato i 50 anni d’età.
Le
retribuzioni sono più basse della media europea a inizio carriera, e la
differenza aumenta con l’anzianità: 29.418 dollari è la media per i
professori italiani all'inizio della carriera contro 31.348 di media nei 34
membri dell’organizzazione; 36.928 dollari per un prof italiano dopo 15 anni
di anzianità, contro 41.665 di media Ocse.
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F
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FORMAZIONE
OBBLIGATORIA
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(novembre)
– La legge 128 di conversione del decreto legge 104 sull’istruzione conferma
sostanzialmente la clamorosa novità sulla formazione obbligatoria in servizio
dei docenti, nonostante vi sia stata un’impennata contraria del mondo
sindacale all’uscita del DL.
Inizialmente
sembrava che i sindacati avessero trovato una sponda compiacente da parte di
alcuni politici per cancellare l’obbligo di aggiornamento, ma, alla fine, le
Camere hanno confermato la norma, modificando in questo modo la normativa
contrattuale.
Per più di
vent’anni l’aggiornamento in servizio era stato un diritto-dovere poi il CCNL
degli insegnanti aveva modificato tale previsione, prevedendo che
l’aggiornamento fosse soltanto un diritto.
È caduto
un tabù. Per il 2014 però ci sono soltanto 10 milioni per applicare la legge:
basteranno per rendere permanente l’obbligo?
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G
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GaE
(Graduatorie a Esaurimento)
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(ottobre)
– In sede di conversione del DL 104 (l’istruzione riparte) vengono presentati
diversi emendamenti che chiedono l’immissione nelle graduatorie ad
esaurimento (GaE) di docenti precari.
Gli
emendamenti non vengono ammessi, in quanto non pertinenti con i contenuti e
le finalità del decreto legge.
Alcuni
sindacati minori, ancora una volta, stigmatizzano l’accaduto e criticano il
ministro Carrozza per la sua dichiarata indisponibilità a riaprire le
graduatorie.
Graduatorie
che però si svuotano molto lentamente con la previsione che molte, per
svuotarsi, richiederanno molti molti anni (e forse decenni).
Prima o
poi il problema dovrà essere affrontato, prendendo il toro per le corna.
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H
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HANDICAP
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(novembre)
– la legge 128/2013 di conversione del DL 124 (l’istruzione riparte)
introduce un emendamento alla norma di stabilizzazione dei posti di sostegno
per gli alunni portatori di handicap.
La norma
di base prevede la stabilizzazione di 26.684 posti di sostegno. L’emendamento
dispone che, a partire dal 2014-15, i posti stabilizzati in ogni regione
abbiano una medesima percentuale rispetto a tutti i posti di sostegno
attivati.
Da tempo
Tuttoscuola sosteneva questo obiettivo della perequazione che, finalmente, ha
trovato ascolto in Parlamento.
L’emendamento
intende mettere fine a una situazione di forte sperequazione tra i territori,
consolidatasi nel tempo e che vede quasi tutte le regioni del Sud e delle
Isole con valori di stabilizzazione al di sopra della media nazionale.
Se, come
tutto lascia intendere, la norma sarà rispettata fino in fondo, nei prossimi
due anni vi saranno più posti di sostegno stabilizzati al Centro-Nord e
altrettante immissioni in ruolo.
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I
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INVALSI
(prove)
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(maggio)
– Anche quest’anno, in vista dell’annuale rilevazione degli apprendimenti da
parte dell’Invalsi di maggio, si sono intensificate, da parte di alcune
organizzazioni e sindacati, azioni preventive di disturbo (proposte di
sciopero e mobilitazioni varie). Le astensioni dei docenti tuttavia non sono
state significative, con rare eccezioni locali.
La Gilda,
unico dei cinque sindacati rappresentativi che l’anno scorso aveva invitato
all’astensione sotto forma di sciopero bianco, quest’anno ha preferito
concentrarsi sulla questione dell’obbligatorietà dell’aggiornamento dei
docenti nei territori dove i test Invalsi hanno fatto emergere limiti di
apprendimento degli alunni.
“È
sbagliato e ingiusto gettare la croce solo sulle spalle dei docenti se il rendimento
degli alunni ai test Invalsi è scarso, perché bisogna tenere conto anche di
altri fattori, tra cui il contesto socio-ambientale in cui sono inserite
alcune scuole”. Dietro questa affermazione di Rino Di Meglio,
coordinatore nazionale della Gilda, difficilmente contestabile, sta tuttavia
una opposizione di principio alla
obbligatorietà
dell’aggiornamento, considerata un attacco alla professionalità degli
insegnanti: l’aggiornamento dei docenti, secondo questo sindacato, non può
essere trasformato in un obbligo attraverso un decreto, scavalcando il
contratto di lavoro.
Ma perché
mai l’Italia dovrebbe restare uno dei pochi Paesi al mondo in cui la
formazione in servizio non è contemplata come una componente fondamentale
della professionalità docente?
Sull’Invalsi
torniamo anche nelle voci Sestito e Valutazione.
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J
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JUS SOLI
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(maggio)
– Il neo-ministro Cecile Kyenge propone di attivare in Italia la cittadinanza
a favore degli stranieri residenti o nati in Italia, lo jus soli.
Potrebbero
fruirne 370 mila studenti nati in Italia da genitori stranieri.
Da destra
e soprattutto dalla Lega si registrano forti reazioni, con l’eccezione
dell’ex-ministro di centrodestra Giovanardi, concittadino del ministro
dell'integrazione, che apre allo jus soli, con una proposta di
mediazione: dare la cittadinanza ai bambini nati in Italia al momento
dell'iscrizione alla prima elementare.
Secondo
Giovanardi la proposta "da un lato può rassicurare
verso eventuali utilizzi strumentali della Jus Soli e
dall'altro rende più efficace l'integrazione nel momento in cui i
bambini italiani ed extracomunitari si trovano a frequentare assieme
la scuola dell'obbligo''.
Dopo le
barricate alzate dalla Lega Nord, anche il presidente del Senato Pietro
Grasso ha sconfessato la Kyenge, che nei giorni precedentiaveva ricevuto
applausi dalla presidente della Camera Laura Boldrini. "Starei
attento a parlare di ‘ius soli’ - ha spiegato la seconda carica
dello Stato - perché il rischio è di vedere una gran quantità di
donne venire in Italia a partorire solo per dare la cittadinanza ai propri
figli".
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L
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LAUREATI
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M
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MALALA
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(luglio)
- “Un bambino, un insegnante, un libro, una penna possono cambiare il
mondo”. Questo breve passaggio conclusivo del discorso pronunciato da
Malala Yousafzai a New York, nella sede delle Nazioni Unite, nel giorno del
suo sedicesimo compleanno, riassume con rara efficacia un concetto che è
stato sviluppato, a partire dalla Conferenza mondiale ONU-Unesco ‘Education
for all’ (Jomtien, Thailandia, 1990), da una imponente saggistica, che si
è occupata però, purtroppo, più di fallimenti che di successi. Tanto che l’obiettivo
di estendere la frequenza della scuola elementare a tutti i bambini e le
bambine del mondo è stato spostato dal 2000 al 2015, ed è tuttora lontano
dall’essere raggiunto.
A Malala,
ragazzina pakistana diventata famosa a soli 13 anni per aver aperto un blog
(con il sostegno della BBC), intitolato Diary of a Pakistani
Schoolgirl, i talebani avevano sparato alla testa, nello scorso mese di
ottobre, con l’intenzione di ucciderla. Volevano uccidere lei ma soprattutto
le idee da lei sostenute sull’importanza della scuola e sul diritto delle
donne di frequentarla alla pari dei maschi: una bestemmia per i talebani, che
non a caso hanno concentrato i loro attacchi sulle scuole femminili o
frequentate dalle ragazze.
Può darsi,
come ipotizzato in questi giorni dalla stampa inglese, che dietro il lancio
planetario della ‘Storia di Malala’ ci siano anche cospicui interessi
mediatico-editoriali. Però il mondo intero ha potuto cogliere il coraggio e
la fierezza che risuonavano nelle parole pronunciate da Malala nella sede
delle Nazioni Unite. Davvero la scuola non poteva trovare una testimonial più
efficace.
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N
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NEET
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O
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OCSE PISA
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P
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PONTE
(classi)
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(novembre)
– Nella scuola “Besta” di Bologna viene autorizzata un’esperienza di classi
ponte. Esponenti della sinistra e dello stesso PD esprimono critiche.
Il
ministro dell'Istruzione Maria Chiara Carrozza afferma: "Non giudico,
magari lì si è creato un contesto eccezionale. Però io sono
contraria alle classi ponte. Meglio potenziare l'insegnamento dell'italiano
nel pomeriggio".
Sulla
classe della scuola di Bologna si era espressa anche il ministro per
l’integrazione, Cécile Kyenge: "Il miglior modo per l'inserimento è
mettere le persone a contatto con gli altri. Non condivido l'idea delle
classi ponte, meglio rafforzare gli strumenti di sostegno come il doposcuola
o fuori dalla scuola, ma i ragazzi stranieri devono essere a contatto con gli
altri alunni".
Imbarazzo
del PD e soddisfazione della Lega che con Zaia (vedi) aveva avanzato
una proposta simile due mesi prima.
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Q
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QUATTRO
ANNI
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(ottobre)
– La sortita iniziale era stata di Francesco Profumo, che all’inizio del 2013
aveva chiesto a un apposito gruppo di lavoro di ipotizzare un set di
soluzioni per ridurre la durata della scuola italiana da 13 a 12 anni. Se ne
era saputo poco, tra sospetti e fuochi di sbarramento sindacali. Ma la talpa
aveva scavato, soprattutto in direzione di una delle ipotesi fatte, quella di
ridurre di un anno la durata della scuola secondaria superiore.
Così a
ottobre, quando si viene sapere che il nuovo ministro Carrozza ha autorizzato
tre scuole secondarie superiori della Lombardia (tutte e tre paritarie) a
sperimentare la riduzione di un anno della durata del percorso liceale, la
sorpresa è grande. E grandi sono anche le proteste dei sindacati, che temono
– al di là delle obiezioni di carattere socio-pedagogico mosse da alcuni di
essi – la generalizzazione di un modello di scuola secondaria superiore (i
licei farebbero da apripista) che ridurrebbe l’organico degli insegnanti di
un quinto, circa 40.000 posti (che potrebbero però sempre essere utilizzati
per colmare varie carenze di sistema).
Il
ministro però contrattacca, auspica l’estensione della sperimentazione alle
scuole statali e dice che se da giovane avesse avuto l’opportunità di fare il
liceo in quattro anni anziché in cinque lei l’avrebbe certamente colta.
Vedremo
come procederà la sperimentazione e se e quante scuole statali chiederanno di
aderire. A nostro avviso non c’è ragione perché essa venga ostacolata. Quello
dell’allineamento della durata dell’istruzione scolastica in Italia ai 12
anni di quasi tutti i più importanti Paesi del mondo (USA, Cina, Russia,
Giappone, Corea, quasi tutta l’Europa) è un nodo cruciale da approfondire,
trattandosi di una questione strategica, di sistema-Paese.
1.
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R
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Race to
the top
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REFERENDUM
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(maggio)
–A Bologna si svolge il referendum cittadino sul finanziamento del Comune a
favore delle scuole dell’infanzia paritarie a gestione privata.
Il
referendum non ha valore vincolante per il Comune, ma rappresenta, comunque,
un segnale che non può non essere considerato, e assume gradualmente una
valenza nazionale che travalica i confini cittadini del capoluogo emiliano.
Oltre alla
questione del finanziamento il referendum si veste di una valenza politica
nei confronti del PD che governa da sempre Bologna. La sinistra ne esce
comunque spaccata.
A
scrutinio ultimato della consultazione consultiva, il fronte che chiede di
abolire il finanziamento del Comune alle scuole dell’infanzia private arriva
al 58%. Molto bassa però la partecipazione, ferma al 28,7% degli aventi
diritto.
I
promotori del referendum gridano vittoria; il sindaco Virginio Merola, come
aveva dichiarato prima del voto, sembra ignorare l’esito.
L’ex-premier
Romano Prodi dichiara che gli esiti dei referendum devono sempre essere
rispettati.
Né vinti
né vincitori?
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RENZI
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(gennaio-dicembre)
– La prima sortita ‘scolastica’ del futuro segretario del Pd si registra, nel
2011, quando il sindaco di Firenze dichiara che sull’università Mariastella
Gelmini non era stata abbastanza cattiva: “avrebbe dovuto avere il
coraggio di chiudere la metà delle università italiane: servono più a
mantenere i baroni che a soddisfare le esigenze degli studenti”.
Poi, a
giugno 2012, apre alla proposta di Jacopo Morelli, neoeletto presidente dei
Giovani imprenditori di Confindustria, di inserire l’abolizione del valore
legale dei titoli (si riferiva soprattutto all’università) tra le quattro
proposte per far sì che i giovani non diventino una “generazione esclusa”,
accanto alla revisione del sistema pensionistico, al taglio delle tasse sui
giovani e alla soppressione dell’Irap.
Nel corso
del 2013, nel confronto interno al Pd, difende il principio della
meritocrazia e promette di ascoltare di più gli insegnanti, “Tutti
hanno provato a riformare la scuola, nessuno l’ha mai fatto ascoltando chi
nella scuola ci vive ogni giorno. Lo faremo noi”. Poi,
diventato segretario, rilancia su questo tema: “Abbiamo perso
l'autorevolezza sociale del ruolo dell’insegnante, la riconquisteremo
centimetro per centimetro”, afferma, ribadendo che “E’ l’educazione il
punto da cui ripartire”.
I toni
sono alla Tony Blair (che mise il motto ‘Education, Education, Education’ al
centro della sua prima campagna elettorale nel 1997), bisognerà vedere se
Matteo Renzi avrà la stessa fortuna politica…
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S
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SESTITO
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(novembre)
- La notizia delle dimissioni irrevocabili di Paolo Sestito da presidente
dell’Invalsi viene data dal ministro Carrozza, alla fine di un incontro con i
sindacati, il 22 novembre, come se fosse una notizia minore, da ‘eventuali e
varie’.
E invece,
per chi si occupa di scuola e di valutazione di sistema, la notizia è di
straordinaria importanza, perché l’abbandono della guida dell’Istituto
nazionale di valutazione da parte dell’autorevole economista di estrazione
Bankitalia, stretto collaboratore e successore all’Invalsi di un altro
importante ricercatore proveniente dall’ufficio studi di via Nazionale, Piero
Cipollone (ora alla World Bank), potrebbe segnare la conclusione di un ciclo
nella storia dell’Istituto, cominciato nel 2007, anno del ‘Quaderno bianco
sull’istruzione’: quello dell’utilizzazione della valutazione di sistema
(anche) come indicatore macroeconomico e come leva per favorire l’aumento
dell’efficienza e dell’efficacia del sistema scolastico per il tramite della sistematica
rilevazione dei dati relativi agli apprendimenti e ai fattori interni ed
esterni che su essi incidono.
Non è
detto che questa linea venga abbandonata, e in ogni caso sarebbe auspicabile
che l’Invalsi continuasse a sviluppare la raccolta sistematica di dati, come
ha fatto con successo e con una certa autonomia dal Ministero in questi anni.
(La
successione) - Per la successione a Sestito il ministro ha nominato una
commissione di cinque esperti, presieduta dal linguista ed ex ministro De
Mauro, di cui non fa parte alcun economista. Il ritorno di un ‘umanista’,
forse di un pedagogista, alla guida dell’Invalsi potrebbe comportare secondo
qualcuno una minore disponibilità dell’istituto di Villa Falconieri a
condividere i modelli e l’ottica economicista dell’Ocse, soprattutto per
quanto riguarda il versante nazionale (ciò che desta i sospetti
dell’economista Andrea Ichino, ma anche dell’ADi). Sul versante
internazionale sembra invece difficile che la poderosa macchina valutativa
dell’Ocse (PISA + EaG), che ha ormai una sua filosofia consolidata, possa
funzionare in Italia diversamente da come sta funzionando nel resto del
mondo.
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T
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TABLET
SCHOOL
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(aprile)
- Si può fare una didattica sintonizzata con il modo di pensare, interagire,
apprendere dei giovani di oggi, i ‘nativi digitali’, per usare la fortunata
espressione lanciata da Marc Prensky nel 2001? E possono i docenti della
scuola italiana, che hanno fra l’altro una età media tra le più elevate al
mondo, imparare a gestire questa nuova metodologia didattica?
A questi
interrogativi risponde decisamente di sì Dianora Bardi, docente di italiano e
latino del liceo Lussana di Bergamo, vicepresidente dell’associazione
ImparaDigitale, protagonista della due giorni di dibattito, workshop e
formazione dei docenti che si svolge il 5 e 6 aprile a Bergamo con il titolo
generale di ‘Tablet School’, proposto e scelto on line dagli studenti.
La
condizione, come spiega la stessa Bardi, è che gli insegnanti imparino a
utilizzare uno strumento, come il tablet, che assai più dei ‘vecchi’ computer
portatili, compresi i netbook, si presta a soddisfare l’esigenza dei giovani
di oggi di gestire i processi di apprendimento in modo collaborativo,
condiviso, co-creativo e multimediale, e non più in quello individualistico e
monomediale legato alla tradizionale didattica centrata sul binomio lezione
ex cathedra-studio individuale su testi stampati.
Gli
insegnanti non devono però focalizzarsi sulle tecnologie, inseguire i
produttori e gli editori in una affannosa rincorsa alle ultime novità
hardware e software: devono sapere tuttavia come esse possono essere
impiegate a fini didattici, e scegliere solo le funzioni necessarie a questo scopo.
Fondamentale diventa, nell’ottica dell’apprendimento co-costruito,
tablet-based, per sua natura e per molti aspetti transdisciplinare, la
collaborazione tra i docenti nella programmazione condivisa delle attività
didattiche, compresa la valutazione dei risultati raggiunti dai singoli
studenti.
Altrettanto fondamentale è trovare nuovi modelli di finanziamento, anche con il coinvolgimento dei privati per lo sviluppo della scuola digitale: nel 2013 sono solo 36 su quasi 9 mila gli istituti scolastici completamente digitalizzati con i fondi del programma del Miur scuol@2.0 e solo 1200 le classi 2.0. |
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TFA
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(ottobre)
–Si fa serrata la ‘guerra tra poveri’ che divide due categorie di insegnanti
aspiranti ad entrare in pianta stabile nella scuola italiana, i ‘tieffini’ e
i ‘passini’ (neologismi subito entrati nel gergo corrente).
I primi,
mediamente più giovani, sono quelli che nei mesi precedenti hanno superato le
prove preselettive e poi i corsi del Tirocinio Formativo Attivo (TFA),
conseguendo il titolo abilitante utile per l’ammissione ai concorsi. I
secondi sono i docenti precari non abilitati, ma con almeno tre anni di
anzianità di servizio, interessati allo svolgimento dei Percorsi Abilitanti
Speciali (PAS), ai quali accederanno direttamente, senza preselezione.
I
tieffini, temendo di essere scavalcati nelle graduatorie degli abilitati dai
passini, che hanno in genere maggiore anzianità di servizio e titoli,
vorrebbero avere la precedenza nelle supplenze a scapito dei concorrenti:
ritengono di averla meritata avendo superato una prova fortemente selettiva.
I passini a loro volta sostengono di aver guadagnato sul campo il diritto ad
accedere direttamente ai corsi, rivendicando il ‘merito’ di aver tenuto in
piedi la scuola in anni e in circostanze difficili. Perciò vorrebbero una
graduatoria unica, senza distinzione con i tieffini.
Se sulla
precedenza c’è uno scontro di interessi, entrambe le categorie convergono
invece sulla richiesta di entrare nelle Graduatorie a esaurimento (Gae). Per
ora senza successo.
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U
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UNESCO
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(ottobre)
- La ‘giornata mondiale dell’insegnante’ (World TeacherDay), istituita
dall’Unesco nel 1994, viene celebrata il 5 ottobre di ogni anno in oltre
100 Paesi con l’obiettivo di valorizzare il ruolo dei docenti nella
educazione delle nuove generazioni in generale, ma con particolare riferimento
a quelle residenti nei Paesi sottosviluppati.
In questa
iniziativa l’Unesco è infatti affiancata da altri organismi impegnati sul
fronte dellaEducation for all: l’ILO (International Labour
Organization), l’UNICEF, l’UNDP (United Nations Development Programme)
e EI (Education International).
La parola
d’ordine di quest’anno, scelta dall’Unesco e dai suoi partner, è “Call for
Teachers”, traducibile in “Cercansi insegnanti”, un appello che si spiega
con la carenza di insegnanti che si registra in molti Paesi (ne servono oltre
5,2 milioni per il 2015, di cui 3,5 per sostituire quelli in uscita), e
soprattutto in quelli poveri che ne avrebbero più bisogno.
Per una
educazione di qualità però, avverte l’Unesco, servono insegnanti di qualità,
cioè “ben addestrati, valorizzati, supportati e motivati”, mentre in
molti casi essi restano sotto qualificati, mal retribuiti e poco riconosciuti
a livello sociale.
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V
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VALUTAZIONE
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(dicembre)
- Il 12 dicembre si svolge a Roma il convegno “Esperienze
internazionali di valutazione dei sistemi scolastici”, promosso dalla
associazione Treellle e dalla Fondazione per la scuola-Compagnia di San Paolo
in collaborazione con l’Ocse.
Nel
pomeriggio due dei principali relatori della mattina, il noto economista
dell’istruzione Eric Hanushek, e il responsabile del programma Ocse-Pisa
Andreas Schleicher, partecipano a un seminario di approfondimento, coordinato
da Tuttoscuola, cui partecipa un ristretto numero di esperti.
È
l’occasione per capire meglio le strategie internazionali – almeno quelle di
un organismo intergovernativo come l’Ocse – in materia di valutazione.
(Schleicher)
- Per Andreas Schleicher, responsabile del programma Pisa, la valutazione è
necessaria per favorire i processi decisionali e deve essere basata su
evidenze, senza le quali non sarebbero possibili né la rendicontazione (accountability)
nè il miglioramento rispetto a obiettivi predefiniti: ogni miglioramento che
deve essere misurato con parametri certi, quantificabili.
Riferendosi
al nostro Paese Schleicher osserva che rispetto alle tre componenti
valutative essenziali per un corretto ed efficace processo decisionale (la
valutazione degli apprendimenti degli studenti, la valutazione degli
insegnanti e dei capi di istituto e la valutazione dell’efficacia e
dell’efficienza delle singole scuole) l’Italia fa fronte adeguatamente solo
alla prima, ignora quasi del tutto la seconda ed è solo agli inizi per la
terza. E’ insomma in grave ritardo, anche se sta cercando di recuperare.
(Hanushek)
- Il contributo di Hanushek, caposcuola degli economisti dell’istruzione e
consulente dell’Ocse, al chiarimento delle strategie internazionali è
altrettanto chiaro, anche se suscita riserve e discussioni: dal suo punto di
vista conta solo ciò che è quantificabile e misurabile. Quindi solo le
evidenze empiriche, frutto di ricerche e di test, tra i quali quelli
sull’apprendimento degli studenti e sulle competenze degli insegnanti sono fondamentali.
Il prof illustra una vasta casistica di situazioni e dati in base ai quali si
evidenzia una stretta correlazione tra miglioramento della qualità dei
sistemi educativi e miglioramenti economici, sia individuali che delle
nazioni. Se fosse per lui gli insegnanti migliori dovrebbero essere premiati
e quelli peggiori licenziati, in quanto dannosi.
Ma il
programma Ocse-Pisa, assicura Schleicher, non ha questa finalità: serve per
informare e stimolare i decisori, le scuole e gli insegnanti a fare meglio
anche attraverso il confronto, il benchmark nazionale e internazionale.
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Z
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ZAIA
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(settembre)
- Non bisogna creare ghetti, ma i bimbi immigrati che non sanno l’italiano
non possono seguire un percorso scolastico iniziale con i loro compagni che
sanno l'italiano.
È questa
l’opinione del presidente del Veneto, Luca Zaia, che lancia un appello al Governo
perché decida presto e propone la creazione di ‘classi ponte’ (vedi)
per quanto riguarda l'alfabetizzazione italiana.
Le classi
ponte dovrebbero essere composte soltanto da alunni stranieri per imparare,
in modo intensivo, la lingua italiana prima di essere immessi in classi
normali con alunni italiani.
Secondo
Zaia, un’integrazione vera non si ha quando si porta un ragazzino che non sa
una parola di italiano in una classe in cui tutti gli altri lo parlano. Sarà
pure vero che poi imparerà l'italiano – dice il governatore - ma
sarà vero anche che questo bambino resterà emarginato per un lungo periodo
della sua vita scolastica.
La
posizione leghista non è nuova e già nel 2008 in Parlamento era stata
presentata una mozione leghista a favore delle classi ponte.
La
sinistra considera quella di Zaia una provocazione.
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