venerdì 24 gennaio 2014

La sentenza della consulta, pareri a confronto, 1

Massimo Villone



La sentenza disattesa






La soglia minima del 35%, in tempi attuali configurerebbe un ulteriore elemento distorsivo della volontà popolare. Con un livello di astensionismo pari al 40%, un partito o una coalizione che conseguisse il 35% dei voti espressi, si troverebbe di fatto ad avere una maggioranza spropositata in aula, pur avendo ottenuto il consenso di appena il 35% del 60% dei votanti, cioè il gradimento di poco più del 20% degli elettori!!PM

Fu vera e pro­fonda sin­to­nia tra Renzi e Ber­lu­sconi? Vor­remmo dubi­tarne, anche se la pro­po­sta appro­vata dalla dire­zione del Pd ha subito avuto il «sin­cero e pieno apprez­za­mento» di Ber­lu­sconi. Ma poco importa. Conta invece capire se la pro­po­sta è com­pa­ti­bile con la Costituzione.
Dob­biamo anzi­tutto con­si­de­rare che con la sen­tenza 1/2014 la Corte costi­tu­zio­nale ha tra­sfor­mato il tema elet­to­rale da que­stione sostan­zial­mente rimessa alla deci­sione legi­sla­tiva e delle forze poli­ti­che in una que­stione di diritti fon­da­men­tali giu­sti­zia­bili davanti alla stessa Corte.
Quei diritti — in spe­cie gli artt. 48, 49, 51 — qua­li­fi­cano la Repub­blica come demo­cra­tica, e assi­cu­rano la rap­pre­sen­ta­ti­vità delle sue isti­tu­zioni. Dopo la sen­tenza, l’intervento del legi­sla­tore deve tro­vare giu­sti­fi­ca­zione in un obiet­tivo costi­tu­zio­nal­mente accet­ta­bile (prin­ci­pio di neces­sità) e rag­giun­gere l’obiettivo con il minimo di non arbi­tra­rio sacri­fi­cio (prin­ci­pio di ragio­ne­vo­lezza e pro­por­zio­na­lità). In ogni caso, senza ledere il nucleo pre­scrit­tivo incom­pri­mi­bile del diritto stesso. Non bastano più a soste­nere una pro­po­sta i man­tra del bipo­la­ri­smo e della governabilità.
Veniamo alla pro­po­sta: tre soglie di accesso al 5, 8 e 12%; pre­mio di mag­gio­ranza del 18% con soglia del 35%, e fino a con­cor­renza del 55% dei seggi; dop­pio turno per il pre­mio se nes­suno rag­giunge il 35% dei voti; mini­col­legi e liste bloc­cate brevi, con pri­ma­rie per la scelta dei can­di­dati. Si direbbe un sistema a metà strada tra il Por­cel­lum e il sin­daco d’Italia, con soglie per l’accesso e per il pre­mio accor­ta­mente costruite sui son­daggi secondo le con­ve­nienze dei due par­titi maggiori.
Due le domande: se la pro­po­sta è costi­tu­zio­nal­mente com­pa­ti­bile, e se fun­ziona. 

Sul primo punto il dub­bio di inco­sti­tu­zio­na­lità è forte. Il mix tra alti sbar­ra­menti, forte pre­mio di mag­gio­ranza e dop­pio turno rende l’accesso alle isti­tu­zioni rap­pre­sen­ta­tive un per­corso minato per tutti, salvo i due mag­giori par­titi desti­nati a con­fron­tarsi nell’eventuale bal­lot­tag­gio. E non sem­bra un obiet­tivo costi­tu­zio­nal­mente accet­ta­bile che una legge elet­to­rale sia volta a favo­rire deci­si­va­mente que­sto o quel par­tito, con­du­cendo alla ste­ri­liz­za­zione di con­sensi rice­vuti da altri par­titi. Né sem­bra neces­sa­ria, ragio­ne­vole e pro­por­zio­nata la com­pres­sione dei diritti — pur sem­pre diritti fon­da­men­tali della per­sona — in fun­zione dell’interesse dei par­titi mag­giori. Una soglia di sbar­ra­mento volta a ridurre la fram­men­ta­zione non è di per sé costi­tu­zio­nal­mente pre­clusa. Ma altra cosa è inse­rire una soglia molto alta in un mec­ca­ni­smo volto a con­cen­trare la com­pe­ti­zione poli­tica tra due sole forze di grandi dimen­sione. Per di più pren­dendo, con­clu­si­va­mente, chi ha il 35% dei voti per dar­gli con ope­ra­zione pura­mente arit­me­tica il 53% dei seggi, con il paral­lelo effetto di divi­dere il 47% dei seggi tra chi ha col­let­ti­va­mente con­se­guito il 65% dei voti. La distor­sione della rap­pre­sen­tanza è forte, certa e predeterminata.
Anche sulle liste bloc­cate brevi pesa l’ombra della inco­sti­tu­zio­na­lità. Comun­que sot­trag­gono — som­man­dosi — l’intera rap­pre­sen­tanza poli­tica alla scelta dell’elettore. Che inol­tre, non volendo soste­nere una pre­senza sgra­dita tra i com­po­nenti di una lista, deve cam­biare il voto, o non votare affatto. Effetti nega­tivi per niente cor­retti dalla pre­vi­sione di pri­ma­rie. Non essen­doci iden­tità di pla­tea tra votanti nelle pri­ma­rie ed elet­tori, il pro­blema della pre­clu­sione di ogni scelta per l’elettore rimane tal quale.
Ma, almeno, fun­ziona? Pro­ba­bil­mente no. L’esperienza del dop­pio turno per i sin­daci ha evi­den­ziato come il pre­mio di mag­gio­ranza esalti la fram­men­ta­zione e spinga ad anti­ci­pare già al primo turno la for­ma­zione di coa­li­zioni. Le schede elet­to­rali sem­brano len­zuoli. Gli effetti nega­tivi riman­gono, incluso in spe­cie il ricatto dei par­ti­tini. Men­tre la distor­sione sulla rap­pre­sen­ta­ti­vità dei con­si­gli comu­nali può essere fortissima.
Sono da tempo con­vinto che la vera rispo­sta è abban­do­nare l’opzione di un sistema elet­to­rale che con­ceda deci­sivi e arti­fi­ciosi van­taggi a que­sto o quel par­tito. Ripri­sti­nare una rap­pre­sen­tanza che in prin­ci­pio rico­no­sca a cia­scun sog­getto poli­tico una pre­senza nelle isti­tu­zioni com­mi­su­rata al con­senso. E dare voce, non negare la parola, soprat­tutto quando la poli­tica è chia­mata a scelte dif­fi­cili e dolo­rose, come oggi accade in tempi di grave crisi. La gover­na­bi­lità è un bene impor­tante, che va però rife­rito non solo alle isti­tu­zioni, quanto al paese.
Renzi ha anche offerto un con­ten­tino a Letta, con una riforma del senato che può dare al governo l’agognato anno di vita. Pec­cato che sia una pro­po­sta pes­sima. Un senato non elet­tivo: che dif­fe­renza c’è con una camera di nomi­nati? Meglio chiu­derlo. O, forse, meglio aprire le teste a qual­che pen­siero vera­mente inno­va­tivo. Que­sta sì che sarebbe una riforma.
Massimo Villone, 


Estratto dalla sentenza

Il meccanismo di attribuzione del premio di maggioranza prefigurato dalle norme censurate, inserite nel sistema proporzionale introdotto con la legge n. 270 del 2005, in quanto combinato con l’assenza di una ragionevole soglia di voti minima per competere all’assegnazione del premio, è pertanto tale da determinare un’alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione, basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto (art. 48, secondo comma, Cost.). Esso, infatti, pur non vincolando il legislatore ordinario alla scelta di un determinato sistema, esige comunque che ciascun voto contribuisca potenzialmente e con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi (sentenza n. 43 del 1961) ed assume sfumature diverse in funzione del sistema elettorale prescelto. In ordinamenti costituzionali omogenei a quello italiano, nei quali pure è contemplato detto principio e non è costituzionalizzata la formula elettorale, il giudice costituzionale ha espressamente riconosciuto, da tempo, che, qualora il legislatore adotti il sistema proporzionale, anche solo in modo parziale, esso genera nell’elettore la legittima aspettativa che non si determini uno squilibrio sugli effetti del voto, e cioè una diseguale valutazione del “peso” del voto “in uscita”, ai fini dell’attribuzione dei seggi, che non sia necessaria ad evitare un pregiudizio per la funzionalità dell’organo parlamentare (BVerfGE, sentenza 3/11 del 25 luglio 2012; ma v. già la sentenza n. 197 del 22 maggio 1979 e la sentenza n. 1 del 5 aprile 1952).


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