martedì 3 dicembre 2013

I giorni bugiardi

A parte la pubblicità di Cuperlo, può essere interessante per tutti



Un commento dissonante, fonte  http://www.thefrontpage.it:


Fortunatamente, la storia la scrivono i vincitori: altrimenti ne avremmo una visione caricaturale, impregnata di rancore personale e dominata dal teorema del complotto permanente. Ai vinti, infatti, manca quasi sempre una corretta visione d’insieme: del resto, se l’avessero avuta nel momento della battaglia oggi sarebbero vincitori.
La tesi centrale del libro appena pubblicato da Stefano Di Traglia e Chiara Geloni, Giorni bugiardi, è che un vero e proprio complotto abbia preso corpo all’interno del Partito democratico all’indomani della “non vittoria”, culminato nella sanguinosa battaglia per il Quirinale, e infine sfociato nelle dimissioni di Pier Luigi Bersani. Il quale invece, se lo avessero lasciato fare, avrebbe rifatto l’Italia con il suo “governo di cambiamento”.
Fin dal titolo, il libro introduce nel discorso una categoria extrapolitica, e così orienta la lettura (del libro e dei fatti): “bugiardo” infatti non significa nulla in politica, perché nel gioco della politica verità e menzogna sono per definizione punti di vista soggettivi e mutevoli; la politica obbedisce ad un’etica rigorosamente utilitarista, ed è per questo che non è mai personale (prenderla sul personale, come anche Bersani ha fatto, è un altro errore blu): ogni azione è regolata dall’interesse, e una “bugia” sarebbe davvero tale soltanto se danneggiasse chi l’ha pronunciata.
“Bugiardo” però è una parola eticamente molto forte: la prima cosa che insegnamo ai nostri figli è non dire le bugie, e nell’etica pubblica anglosassone mentire è il solo peccato che non può venir perdonato ad un politico. Il set up è dunque completo: vi racconterò una storia – annunciano Chiara e Stefano – di intrighi e di slealtà, di coraggio e di tradimento, di purezza e di menzogna. Dove i buoni sono buoni fin dalla prima inquadratura, e i cattivi sono prima di tutto moralmente inferiori: bugiardi.
Che c’entra la politica con tutto questo? Niente, questo lo sa anche un bambino. Ma è un fatto politico che la componente fino a ieri maggioritaria del Pd senta oggi il bisogno di una narrazione fantastica e a(nti)-politica, di un Dungeons and Dragons rabbiosamente consolatorio, e insomma di una fuga riparatrice in quelle regioni dell’adolescenza dove ogni nostra azione era autenticamente geniale ma il mondo brutto e cattivo era troppo stupido per capirlo.
Incolpare gli altri del proprio insuccesso è una prerogativa della sinistra da tempi immemorabili: e del resto ha un solido fondamento teorico. Se il movimento operaio è portatore dell’interesse generale, non può non vincere. Se dunque non vince, è perché le “forze oscure del capitale” – o comunque vogliamo chiamare chiunque dissenta – tramano alle spalle e traviano le masse. In questa visione titanica della storia non esistono le opinioni individuali, né dunque gli individui, ma soltanto le forze del bene (che della storia sono il motore) e quelle del male (che ne sono invece il freno). Stalin arricchì questa concezione perfezionando l’idea del nemico interno, più infido e pericoloso di chiunque altro, e trasformando dunque ogni dissenso in tradimento.
Oggi è soprattutto Berlusconi – per molti versi l’ultimo leader leninista d’Occidente – a praticare questo schema di ragionamento (e di gioco), e dopo Casini e Fini ora tocca ad Alfano essere additato come “traditore”. Ma traditori sono anche, nel libro di Chiara e Stefano, tutti coloro che non hanno appoggiato il segretario; di più: tutti coloro che ne hanno messo in dubbio la strategia; e infine: l’intero Pd, colpevole di non aver saputo cogliere l’occasione storica del “governo del cambiamento”.
È un ritratto grottesco, perché vistosamente dimentica il risultato elettorale, ma ha una sua indubbia forza narrativa e, soprattutto, affonda le radici in una cultura politica antica e consolidata a sinistra. Il rito solenne dell’analisi del voto, praticato nelle sezioni del Pci ad ogni sconfitta elettorale, si concludeva inesorabilmente con la piena assoluzione, e a questo fine era concepito. Così come l’“autocritica”, mutuata direttamente dalle scuole gesuite, serviva ad occultare le responsabilità individuali diluendole in un contesto che, in quanto tale, è sempre giustificatorio.
Ecco, il punto per me fondamentale è proprio questo: la responsabilità individuale. Se pure le cose fossero davvero andate come le raccontano Chiara e Stefano, la mia critica a Bersani sarebbe ancora più aspra. La responsabilità del leader non è obliterabile di fronte alle difficoltà impreviste, ai complotti o alle controffensive, perché fra le sue responsabilità ci sono anche quelle di considerare l’imprevedibile, scegliersi la squadra giusta e rovesciare lo svantaggio in vantaggio. Oppure perde: ma se perde, la responsabilità è sua.
Non c’è altro modo per far funzionare una democrazia, se non quello del giudizio diretto degli elettori sugli eletti – di ogni elettore su ogni eletto. Perché questo giudizio possa formarsi, ciascuno deve assumersi le proprie responsabilità: occultarle, invocare l’invasione della cavallette o infamare chi la pensa in un altro modo significa impedire ai cittadini di giudicare, cioè, in definitiva, di esercitare responsabilmente il proprio diritto di voto.

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