Diversamente italiani di oggi.....
Elena Cattaneo,
ricercatrice, Senatore a vita
Nessuna legge in Italia vieta l'impiego di cellule embrionali in laboratorio.
Lei stessa però, nel 2009, è stata protagonista di una battaglia contro la decisione dell'allora ministro Sacconi di precludere - senza alcuna motivazione - l'accesso al bando pubblico ai progetti sulle embrionali. All'ultimo congresso dell'associazione Coscioni per la libertà di ricerca scientifica lei ha raccontato di un suo recente viaggio in Iran e del suo "incontro" con il mondo della ricerca iraniano. Un racconto appassionato e appassionante dal quale sono emerse delle analogie con l'Italia...
Il mio soggiorno in Iran è stato breve. Ero partita per questo Paese per curiosità, per conoscere la loro ricerca sulle cellule staminali, i loro studenti, per vedere le loro rosette: si tratta di strutture di cellule organizzate che si formano nei piattini di laboratorio a partire dalle staminali embrionali e che mimano lo sviluppo del sistema nervoso. In tanti mi dicevano "sei matta, tra un po' gli sganciano una bomba". Come se si trattasse di un atto dovuto, come se non vi fossero persone sulle quali quella bomba rischiava di cadere. Sono atterrata in un Paese pieno di deserti splendidi e di umanità, di giovani che comprendono bene che qualcuno sopra la loro testa sta rubando la loro vita. La domanda più frequente che ricevevo era "cosa pensi dell'Iran, e cosa pensi degli Iraniani".
Penso che siano persone come noi, forse più pacifiche, cariche di speranze, intrappolate in un destino attuale diverso. Ho incontrato giovani che vogliono studiare, capire, impegnarsi, ma qualcosa pare impedirgli di raggiungere la conoscenza. Da Teheran ho cercato di collegarmi ai siti web dei quotidiani italiani. E ogni volta mi veniva legato l'accesso. Non potevo crederci. Nel 2012 non potevo leggere su cosa stava succedendo nel mio Paese distante solo poche ore di volo. Eppure era così. Sono 20 milioni i siti web censurati. Ma le persone vogliono sapere e gli studenti vogliono studiare. Girando l'Iran, non ho incontrato nessun altro straniero. In un'acropoli straordinaria di 4000 anni fa, l'attrazione turistica ero io e i miei pochi colleghi che avevano partecipato a quel viaggio di studio. Le persone chiedevano di far fotografie con noi.
Alcuni ci dicevano che eravamo i primi stranieri che incontravano nella loro vita. Rifacevano le stesse due domande, come se avessero necessità di qualcuno che gli smentisse quell'immagine odiosa che l'estero ha del loro Paese... Mi è venuta in mente la rabbia che anche io ho provato per anni nel sentirmi rappresentata all'estero dai comportamenti improponibili e dalle inadempienze di alcuni nostri politici del passato. In Iran, mi vedevo anche in un Paese "chiuso". Per l'embargo, i miei colleghi a Teheran non possono acquistare gli anticorpi per colorare le rosette, per capirne le caratteristiche. Ma mi è sembrato un Paese pieno di dignità, le cui donne, bellissime, usano quel velo imposto per legge come un oggetto di ornamento, colorato, colorano gli occhi, colorano le labbra, hanno sorrisi splendidi, vogliono un futuro migliore, soffrono per ciò che non hanno e per le poche possibilità di conoscere e muoversi. Questo mi ha ricordato ancora una volta quanto la conoscenza sia l'elemento attraverso il quale le persone e i popoli acquisiscono maggiore dignità e quanto, in fondo, chi ne limita l'accesso non miri ad altro che a minare la dignità delle persone. Ovunque, la lotta per la conoscenza è sempre una giusta lotta.
(da un'intervista a Federico Tulli- Globalist.it)
Don Luigi Ciotti |
Don Luigi Ciotti,
fondatore del Gruppo Abele e dell'associazione LIBERA
«Dobbiamo avere il coraggio della parola e della denuncia, chiedendo beni e servizi a favore del bene comune. La giustizia ha bisogno di leggi, certe ed applicate in tempi veloci. Dobbiamo impegnarci nella difesa dei diritti perché, quando questi non sono protetti, perdono valore. Occorre creare condizioni di uguaglianza, di giustizia, di diritti e di pace validi allo stesso modo per tutte le persone. Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, giunto a Palermo per lottare contro la mafia, intervistato da un giornalista diede una risposta che fa riflettere: “Lo Stato dia come diritto, ciò che la mafia concede come privilegio”»
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