Voto palese
Forse Pinocchio non esiste solo nelle favole e tra le fila dei politici di professione. La giunta per il regolamento si è espressa a maggioranza per il voto palese su B. sulla base della relazione di Giuseppe Russo (per la cronaca del PD, ma non importa) che argomenta sulla reale materia del contendere. In estrema sintesi non si tratta di valutazioni sulla persona ma di materia attinente l'integrità dell'assemblea parlamentare. In parole povere: può un delinquente condannato in via definitiva sedere sui banche del Senato della Repubblica?
Il M5S aveva chiesto, invece la modifica del regolamento giustamente rifiutata perché sbagliata dal punto di vista tecnico e considerata contra personam.
"L'onestà tornerà di moda" ha proclamato Grillo.
Di seguito la sintesi della decisione assunta (con parere favorevole di PD, M5S, SEL e SC) e subito dopo la relazione dell'.on Russo per intero.
La Giunta per il Regolamento, esprime il parere che, nel corso dell'esame in Assemblea delle proposte della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari riguardanti elezioni contestate, nonché sulle proposte in materia di ineleggibilità originaria o sopravvenuta, di incompatibilità e di decadenza, eventuali ordini del giorno in difformità dalle conclusioni da questa presentate siano sottoposti alla disciplina generale relativa ai modi di votazione e, non trovando applicazione l'articolo 113, comma 3, del Regolamento, siano votati in modo palese. Ciò in quanto le deliberazioni in materia di verifica dei poteri, ai sensi dell'articolo 135-ter, comma 2, costituiscono espressione della prerogativa dell'organo parlamentare riconducibile all'articolo 66 della Costituzione, in base al quale ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissibilità dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità. Una conclusione rafforzata, del resto, proprio dalla particolare natura della funzione assolta dal Senato nel giudizio relativo ai titoli di ammissibilità dei propri componenti, a tutela dell'integrità del proprio plenum.
Ne consegue che, in analogia con quanto deciso dalla Giunta per il Regolamento il 6 maggio 1993, con riferimento all'articolo 68 della Costituzione, anche quelle previste dall'articolo 135-ter, comma 2, non possono intendersi come votazioni riguardanti persone.
Tale interpretazione entra immediatamente in vigore".
Onorevoli colleghi,
voglio iniziare premettendo alcuni ringraziamenti credetemi davvero non formali. Al presidente Grasso per la fiducia (e la responsabilità) accordatami, in secondo luogo alla dottoressa Serafin ed ai suoi collaboratori per la cordiale e puntuale assistenza, ed infine alla collega Bernini per la disponibilità e lo stile personale con cui ha reso possibile fra noi relatori una gestione franca e trasparente di questo passaggio che pure ci vede attestati su posizioni opposte.
Anticipo che lo studio della questione al nostro esame mi ha portato ad elaborare una relazione più approfondita di quella che leggerò e che consegno perché possa essere allegata e pubblicata agli atti della Giunta per il Regolamento.
Passo, dunque, ad illustrare più sinteticamente, ma spero in modo esaustivo e convincente, le conclusioni cui sono pervenuto e che, lo voglio anticipare, propendono in modo inequivoco per il voto palese.
1. Parto da una semplice constatazione: in questa vicenda la Giunta per il Regolamento del Senato e quindi ciascuno di noi si trova ad affrontare una questione del tutto inedita, e ciò emerge proprio dall'esame approfondito dei precedenti che utilmente ci sono stati forniti. Intanto perché è la prima volta che ci si trova a dover prendere atto della decadenza imposta dall’applicazione del c.d. “decreto (legislativo) Severino” ad un componente del Senato della Repubblica (ed è comprensibile perché, come tutti sappiamo, tale decreto fu adottato nel finale della scorsa legislatura). Inoltre, dato forse ancora più significativo, è la prima volta che questa Giunta per il Regolamento è chiamata ad affrontare un problema teorico-interpretativo sulle modalità di voto degli ordini del giorno in difformità dalle conclusioni della Giunta delle elezioni e delle immunità, ai sensi dell’articolo 135-ter, comma 2. Il contesto del tutto inedito e la materia mai affrontata in passato, ci consentono e richiedono, dunque, di lavorare qui oggi come si trattasse di scrivere su una lavagna ancora bianca, procedendo ad un’interpretazione del nostro Regolamento (che, è bene ricordarlo, non prevede una norma ad hoc sulla decadenza) sapendo che per un motivo o per l’altro, nessuno dei precedenti può riferirsi ai termini della questione al nostro esame. Anzi, si procederà a dimostrare che proprio l'analisi dell'evoluzione della prassi e delle scelte regolamentari di Senato e Camera degli ultimi vent'anni presentano un progressivo restringimento delle fattispecie cui si applica il voto segreto e ci consegnano quindi un'indicazione precisa nei confronti del voto palese. Del resto, è proprio questa la ratio di avere un organo competente ad interpretare il regolamento: ogni disposizione normativa, anche la più chiara, deve essere interpretata. Oggi, nello specifico, la Giunta è chiamata a chiarire l'espressione "votazione sulle persone" ed a stabilire per il futuro se la delibera su una proposta di decadenza sia una votazione su una persona oppure sull'applicazione di una norma giuridica che disciplina la composizione dell'organo.
2. Passando ad un'analisi più precisa, in primo luogo, credo sia utile e opportuno muovere dal noto ed importante parere reso dalla Giunta per il Regolamento del Senato il 6 maggio 1993. Nella circostanza, l'organo in cui oggi sediamo si espresse nel senso che le deliberazioni rese ai sensi dell'art. 68, commi secondo e terzo, Cost. – autorizzazione a procedere e autorizzazione all'arresto, alle perquisizioni e agli altri provvedimenti restrittivi della libertà personale – dovessero essere svolte a scrutinio palese anziché segreto. La Giunta stabilì in modo indubitabile e perentorio che per “le deliberazioni sulle richieste di autorizzazione a procedere in giudizio, il voto è svolto, d'ufficio, a scrutinio palese. E ciò in quanto le deliberazioni stesse costituiscono espressione di una prerogativa dell’Organo parlamentare nell’ambito del rapporto con altri Organi dello Stato e dunque non rappresentano in senso proprio “votazioni riguardanti persone”. In altri termini, essa argomentò nel senso che tali votazioni non andassero ad incidere sullo status personale del parlamentare coinvolto nel caso di specie, bensì riguardassero una prerogativa dell'Assemblea nel suo complesso e, come tali, fossero quindi estranee al disposto di cui all'art. 113, comma terzo, del Regolamento. È significativo che, nella seduta del 13 maggio dello stesso anno, l'Assemblea di Palazzo Madama si esprimesse con voto palese – più in dettaglio, per alzata di mano – sulla richiesta di autorizzazione a procedere contro il Senatore Giulio Andreotti, richiesta che fu approvata con voto favorevole dello stesso senatore a vita. D'altro canto, la dottrina costituzionalistica e la giurisprudenza costituzionale hanno costantemente messo in evidenza che le immunità costituzionali non sono né diritti, né privilegi dei singoli, bensì delle prerogative che l'ordinamento predispone a tutela dell'indipendenza dell'organo costituzionale (e, quindi, dell'assemblea) nel suo complesso (mi limito a citare, tra le altre, la sentenza n. 249 del 2006, nella quale la Corte osserva che «le guarentigie previste dall’art. 68 Cost. sono poste a tutela delle istituzioni parlamentari nel loro complesso e non si risolvono in privilegi personali dei deputati e dei senatori»).