A come analfabeta; B come banco; C come collegio docenti, consiglio d'istituto, continuità; D come dirigente; E come etica, empatia, esami; F come finanziamenti; G come Genitori; H come handicap; I come insegnante, le tre I; L come LIM;
M come media; N come numero; O come opportunità; P come professore, P come preside; Q come qualità; R come ripetente, Riforma; S come semi; T come terremoto; U come unico; V come valigia; Z come zaino, zerbino.
Nel settembre del 2011, il quotidiano Avvenire pubblicò uno scritto di Alessandro D'Avenia, dal titolo il primo giorno che vorrei
Oggi, il seguito da parte di una docente, impegnata e profonda.
E dopo il primo, che giorno vorresti?
Cosa ti aspetti da me? Cosa insegui?
Pensi davvero che i miei anni possano darti tanto quanto ho vissuto più di te? Non chiedermi troppo, no, non farlo, ricordati che sono 'solo' un adulto ormai. Noi adulti siamo quasi tutti uguali, un pò stanchi e un pò appassiti dietro le nostre comode certezze.
Il sole sorge ogni mattina, la campanella suona sempre allo stesso orario, qualcosa per cena si rimedia sempre... Le certezze ci rassicurano, ma ci hanno spenti; sono lontani i giorni in cui leggevamo estasiati i versi de "i fiori del male".
Ma tu béati figlio mio dell'indeterminatezza del tuo futuro, fanne motore di esperienze infinite. Smetti di aspettare me, vienimi incontro, staccami la penna dalle mani, toglimi questo strumento passivo dalle dita e solleva i miei palmi aperti verso l'aria che viaggia attorno a noi.
Sei tu che puoi dare tanto a me, ricordati che la tua forza, la tua energia, il fervore dei tuoi occhi possono risvegliare e illuminare i miei, così statici, così inespressivi, qualche volta rassegnati.
Sei tu, figlio inconsapevole della tua curiosità sapiente, che puoi rinvigorire la mia sapienza libresca e ridarle anima, sei tu, col potere delle linfa che scorre veloce dentro di te, che puoi scuotere il mio battito monotono. Non chiedermi troppo, dammi piuttosto.
Guardami intensamente negli occhi e risvegliami, trasmettimi il tuo calore, il tuo vivere enigmatico, la tua passione, e rigenera la mia. Riportami sui quei sentieri dello stupore e della perplessità dove troppi anni fa ho lasciato le mie orme.
Ricordami che sono qui per te e anche per me, che posso insegnarti a inseguire i sogni con vigilanza e lucidità. Ricordami che Galileo morì stanco, umiliato e cieco, ma scrutò i cieli e sognò i pianeti finché poté. Ricordami che Darwin diceva che l'evoluzione è un magnifico intreccio di caso e necessità, non esistono frecce lineari, niente è prestabilito nella vita, se non la forza della sorpresa.
Quando studieremo Einstein e la relatività che pose fine al tempo assoluto, ricordami quando lui stesso, il grande Einstein, ad un certo punto, spaventato dalla perdita di millenarie rassicuranti certezze, provò a distruggere una parte delle sue scoperte. Erano troppo rivoluzionarie! E ricordami di non uccidere l'innocenza del fanciullino che vive in me, di non umiliare il mio inconscio collettivo, di non aver paura di alzare gli occhi al blu della notte...
"...il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me!" Kant aveva ragione. L' Altro, l' Universo che ho di fronte, TU figlio mio...sei il fine verso cui io tendo, mai un mezzo verso qualcosa d'altro. La mia morale sta nel rispetto incondizionato che ho per te, e tu, coi tuoi occhi, me lo ricordi.
Dio non è morto come diceva Nietzsche, migliaia di catastrofi non l'hanno ucciso, il 2012 non è stato l'ultimo come professavano i Maya, il mio sguardo non sarà inutile, se tu non lo perderai di vista.
Portami via da questa torre d'avorio troppo pulita, troppo lucida e troppo morta dove mi sono richiuso, restituiscimi alla terra, ai percorsi, al fango e alla pioggia.
Ricordami che sono vivo oltre le convenzioni, che posso sognare oltre il mio mondo monocromatico, ricordami, figlio, fonte di inesplorate possibilità, che io e te siamo fatti della stessa materia e che- lontano da ogni retorica- ogni seme che pianteremo, lo vedremo crescere insieme.
Dopo il primo, in tutti gli altri giorni che ci aspettano, ricordami questo e molto di più, figlio mio.
Per gentile concessione di Katya Merola
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