No grazie!
Il tono sempre misurato, ma appassionato, solo a tratti leggermente più elevato quando pronunciava la frase ostinatamente ripetuta ai medici, ai giudici, ai politici durante 17 anni: no, grazie!
No grazie alle cure, le migliori cure mediche possibili, ma senza speranza, oltraggiose del corpo, della dignità e della volontà di Eluana.
Così si è presentato Beppino Englaro al folto pubblico dell'Auditorium dell'Assunta di Rubano.
Confesso che quando l'ho accolto in albergo ero percorso da un vago timore reverenziale; dopotutto Englaro è stato ed è un personaggio pubblico, un uomo dalle qualità e dalla tenacia indiscutibili, capace di tenere testa non solo ai colpi del destino, ma anche a una corporazione tempo fa inattaccabile nelle sue certezze, come quella medica, ad un corpo politico malandato, ma chiassoso e violento non solo verbalmente, ad una magistratura prima sorda e poi in lenta, lentissima evoluzione, ad una parte della chiesa, dimentica della più elementare carità cristiana. Mi sentivo appunto intimidito, ma l'imbarazzo è durato solo 30 secondi; subito dopo, la serenità, la confidenzialità, la pacatezza non artefatta di Beppino hanno messo fine ai miei timori; dopo un'ora eravamo passati al tu e alle confidenze personali.
Le sue qualità le ha mostrate come dicevo, anche durante l'affollatissimo dibattito, anche quando chi gli stava a fianco ha esternato, con molta civiltà ed eleganza qualche lieve dissenso, pur nella comprensione rispettosa delle sue posizioni e delle sue aspirazioni per il futuro. Ma le ha dimostrate soprattutto quando un provocatore di professione ha inveito apostrofando lui e tutti gli altri relatori, come falsi profeti, continuando ad urlare fuori dalla sala sino all'arrivo dei carabinieri.
"Ognuno ha il diritto di pensarla come vuole" è stato il suo commento, nell'affrontare l'ennesimo sciacallo.
Eppure quest'uomo, dall'apparenza mite e fragile, ha cambiato direzione alla storia, all'approccio della medicina e della società al problema del fine vita e del rifiuto dell'accanimento terapeutico.
E' solo grazie a lui, al suo instancabile altalenare tra tribunali, convegni, dibattiti televisivi e interviste, che oggi, finalmente, con una convergenza serena di più parti, sia della medicina che della chiesa, si può serenamente pensare ad un approccio diverso, condiviso con il paziente e con i suoi familiari.
Mirabilmente il prof. Benciolini, che non ha fatto mistero del proprio approccio di credente, ha chiarito come già adesso, attraverso i comitati etici, di cui egli presiede quello padovano, si possa accedere a scelte condivise e meditate. I comitati possono fornire un aiuto concreto nell'orientare medici, pazienti e familiari nella comprensione delle possibili evoluzioni cliniche e nelle più difficili scelte personali.
Certamente resta aperto il problema della decisione per chi non è più in grado di esprimere la propria volontà e le proprie inclinazioni etiche. E a questo proposito si apre il grande, irrisolto capitolo delle volontà anticipate sul fine vita e della pluriennale, ideologica, trasversale inerzia del parlamento.
Il consiglio finale di Beppino è stato quello di scrivere da subito le proprie volontà, in modo semplice e lineare e di fare autenticare il proprio scritto da un notaio. Per inciso, va detto che alcuni sindaci coraggiosi, come quello del comune di Marcon, nel veneziano, hanno instaurato informalmente un apposito registro comunale. Ma su questo torneremo successivamente.
Della serata di venerdì scorso non si può tacere l'appassionato apporto di Elisabetta Palermo, la giurista chiamata a fornire una sintesi giuridica dell'intera vicenda Englaro. Ha letto sentenze, pronunciamenti, commenti giuridici, scavando quasi nell'anima e nei tormenti di chi le stendeva, evidenziando la progressiva, seppure lenta evoluzione della giurisprudenza in questo campo. Alla giustizia, nella quale ha sempre creduto senza forzature e senza cercare facili scorciatoie come altre famiglie, Beppino ha rivolto come sempre il suo ringraziamento.
Il grande assente è adesso il parlamento.
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