M5S, né fascisti né nuova sinistra
Fonte Micromega, di Matteo Pucciarelli e Giacomo Russo Spena
"Livorno la rossa" è caduta, ma da quanto tempo non era più rossa? "Livorno la rossa", certo, facile slogan per chi non sa bene che Livorno, prima che rossa, è anarchica. Nello spirito, nel carattere, nel gusto dell'ironia e del paradosso. «Se vuoi fare come ti pare vai a Livorno», è il detto toscano. E così "Livorno la rossa" ma ribelle ha voltato le spalle al "Partito".
Cinque anni fa gli Amici di Beppe Grillo (si chiamavano così) ottennero un grande risultato per quei tempi, con Marco Cannito candidato sindaco: 9 per cento, una coalizione con i verdi e i trozkisti di Sinistra Critica. È lì, in un retroterra culturale ecologista e di sinistra, un po' garibaldino e un po' settario, che il nucleo originario del M5S ha preso forma. E poi si è aggiunto di tutto: giovanissimi, disoccupati, extracomunitari, laureati: come appunto l'ingegnere aerospaziale Filippo Nogarin, livornese di Castiglioncello e ambientalista, un passato nei Verdi e autodefinitosi "culturalmente di sinistra".
Democrazia diretta, battaglia contro il progetto del rigassificatore a pochi chilometri dalla riva, stop alle nomine politiche e allo strapotere del "Partito", il partito che come una mamma ingombrante tutto sa, tutto dispone, tutto amministra. È solo che la crisi a Livorno in questi anni ha picchiato duro, quella del porto è ormai trentennale. La tradizione rossa fatta di passione viscerale si era trasformata in tradizione e basta, in quieto vivere, in accordi e accordicchi, spesso nell'arroganza e nella prepotenza di chi si sente invincibile.
La domanda è: che correlazione c'è tra Livorno e l'Italia, sempre che ci sia? Più indizi forse fanno una prova. Dalla Grecia potremmo prendere in prestito le parole dei dirigenti di Syriza (il partito di sinistra radicale giunto primo alle ultime elezioni europee): «La politica è spesso la fortuna di trovarsi al posto giusto nel momento giusto. In Italia la sinistra non è stata capace di canalizzare una protesta contro l’austerità, che le sarebbe stato naturale interpretare, perché ha peccato di coerenza. È stata considerata responsabile del problema, non alternativa al problema. Il M5s raccoglie i frutti del malcontento politico e beneficia degli effetti della crisi rappresentando una forza antisistema e antibipolarismo». In effetti lo storico duopolio italiano, prima Dc-Pci poi centrosinistra-centrodestra, è stato scardinato. Non dal Terzo Polo montiano e casiniano, rivelatosi essere un bluff della politica, ma da quel M5s che - dati alla mano - sta stabilmente sopra Forza Italia ma ben lontano dal Pd renziano.
I proprietari del marchio, i diarchi Casaleggio & Grillo, non hanno peccato di coerenza: dalle prime comparizioni elettorali hanno equiparato – in era di fervore anti berlusconismo – Pd e Pdl, denunciando gli elementi comuni tra i due soggetti.
Hanno attaccato la Casta con tutti i suoi costi e i privilegi, la partitocrazia in toto e un sistema di potere clientelare, delle lobby, corrotto e corruttibile. Un catalizzatore per gli scontenti e gli incazzati piegati dalla crisi economica e istituzionale: i voti sono piovuti da destra come da sinistra, come testimoniavano alcuni sondaggi dopo le elezioni dello scorso anno. I grillini, anche su questo, in realtà sono netti e chiari dal primo momento: «Il M5s è postideologico, per noi contano i fatti e non siamo né di destra né di sinistra». «Siamo una forza populista», ha aggiunto ultimamente Beppe Grillo, protagonista di una campagna elettorale decisamente sopra i toni, in cui ha affermato tutto e il contrario di tutto. Quindi catalogare il movimento da un lato o dall’altro ha poco senso. Non è corretta la lettura, ad esempio, di chi vede nel M5S la "nuova sinistra" perché una buona parte del proprio programma elettorale ha quell’orientamento politico: temi ambientali, tutela beni comuni, difesa della Costituzione, reddito di cittadinanza, pacifismo e così via. Stride perché non considera la gestione padronale del movimento e i contenuti fortemente destrorsi sull’immigrazione, sulla sicurezza o il forte euroscetticismo declinato in chiave nazionalista. Tanto da aprire un dibattito all’interno del M5s sull’idea di alleanza con il leader inglese, xenofobo e liberista, Nigel Farage. In una recente intervista Roberto Fiore, storico leader di Forza Nuova, ha spiegato come alcune battaglie storiche del suo partito siano portate avanti ora da Lega Nord, Fratelli d’Italia e M5S e quindi «una grande vittoria per noi». La stessa Syriza lo scorso anno è venuta in Italia per confrontarsi col movimento. L’incontro come è nato, è finito. «Le differenze sono culturali naturalmente, al M5s manca il conflitto di classe e non combattono il neoliberismo», ragionano i dirigenti greci, i quali non condividono la visione della società come una lotta tra Casta e cittadini, e non tra classi sociali: tra chi detiene la ricchezza contro chi si sta impoverendo.
Ma se è una forza post-ideologica («per noi contano i fatti») e non di sinistra, stridono anche le teorie grillofobiche che vedono nel movimento un pericolo per la democrazia. “Fascisti” tout court per molti, in un gioco di semplificazione che non aiuta nessuno ad analizzare a fondo il fenomeno. E dove in realtà non si evidenzia il lavoro di “sentinella” in Parlamento contro le politiche dell’austerità volute prima dalla larghe intese e ora dal nuovo premier Renzi che tra riforma dell’art 81 della Costituzione, il Job Act sul lavoro e arresti bipartisan ha bisogno di una dura opposizione. Cosa che il M5S sta dimostrando di voler fare.
Tornando a Livorno, quindi: la città è andata a destra? Con la consueta irriverenza il direttore del Vernacoliere Mario Cardinali al Corsera rispondeva, parlando del Pd: «E il via libera agli ipermercati, coop rosse e adesso pure quelle bianche? E l’inutile nuovo ospedale che non vuole nessuno? E il degrado dei monumenti? Affari, soldi, business, poteri forti, arroganza. Un grande inciucio. I livornesi hanno detto vaffanculo, o meglio “ilbudellodituma”». Sulla stessa lunghezza d’onda Lenny Bottai, noto pugile ed ex capo ultras delle Bal (Brigate Autonome Livornesi), che intervistato su Pagina 99 si domandava: «Perché avrei dovuto dare la preferenza al Pd che proponeva come assessore allo sport Maurizia Cacciatori (ex-candidata Pdl a Massa) mentre invitava i livornesi a difendersi dalla deriva destrorsa del M5S quando poi tutte le cose più di destra negli ultimi 20 anni di politica le ha fatte proprio il Pd che è diventato la nuova Dc? Se c'è una cosa che mi ha fatto schifo – continuava – è vedere riesumare termini come ‘compagni’ e ‘antifascismo’ per vincere un ballottaggio che aveva solo interessi economici e di potere, e in molti ci sono cascati. Poi al ballottaggio non si vota ‘per’ ma ‘contro’, ed era anche una questione di salute. Livorno ha un'altissima incidenza di tumori. Dopo il fallimento del rigassificatore Olt, questi (Pd) avevano promesso discariche e un altro inceneritore. Serviva un segnale chiaro. Le città non si governano con le Lobby, figuriamoci Livorno».
Come a dire: quando la sinistra smette di fare la sinistra, il popolo di riferimento della sinistra ti abbandona. Se da essere un partito popolare ti trasformi in un ufficio di collocamento di dirigenti di partecipate sempre pronto a sedare ogni pensiero critico e ogni lotta allora dopo non puoi cascare dalle nuvole. Il sito di controinformazione livornese Senza Soste è stato ancora più chiaro: «Molte persone che vivono fuori Livorno sono stordite da questo risultato e da posizioni come le nostre. Chi vive qui sa benissimo che la sinistra organizzata elettoralmente (eccetto Rifondazione), quella organizzata dal basso e quella diffusa nel sostegno a tante lotte sul territorio, hanno votato in massa per i 5 Stelle, o meglio contro il Pd. Molti tappandosi il naso ma per il bene della città, altri in modo naturale visto che nella sede del Movimento 5 Stelle di Livorno sono appese le bandiere "No Tav", "No Rigassificatore" e "Referendum Acqua Pubblica", le stesse che molti hanno in casa. Col Pd invece cosa c'era da condividere? Nulla, se non la vuota retorica di chi spesso parla facendo credere ai propri elettori che esiste sempre il Pci. Anzi, probabilmente molti possono condividerci le decine di denunce e i processi dei prossimi mesi per molte battaglie recenti e passate».
E adesso? Uno dei guitti livornesi più conosciuti e ascoltati in città, l'attore Pardo Fornaciari, un passato in Democrazia Proletaria, sentenzia: «Nogarin reggerà la città forte di un consenso che si aggirerà a malapena al di sotto del 30 per cento dei cittadini. Poco, pochissimo. Una forza politica piccolo borghese in tali condizioni è destinata fatalmente ad essere condizionata dalla classe sociale organizzata che si dimostrerà più forte. O il capitale che muove traffici, o quello che costruisce, o la forza organizzata dei produttori, i lavoratori dipendenti. Che per ora non c'è».
A Civitavecchia stesso film. Col sindaco uscente Pietro Tidei che in questi anni aveva stretto legami con poteri forti e lobby, invischiato poi in storie di familismo da basso impero. Quindi la rottura del centrosinistra con Sel e Pd ai ferri corti ed elezioni anticipate. Sel al voto con un suo candidato, autonomo e non in alleanza, che otteneva quasi l’11 per cento. Al ballottaggio M5S e il Pd di Tidei. A caldo, il 26 maggio, Enrico Luciani, ex consigliere regionale e uomo forte di Sel a Civitavecchia (di cui è stato anche vice sindaco) dichiarava: «Il rapporto ormai è deteriorato: è stato lui a lavorare per demolire la maggioranza non rispettando il programma. Noi lo abbiamo mandato a casa e alle elezioni europee ha preso una sonora botta. Al secondo turno deve continuare il processo per mandare a casa Tidei, non daremo mai il nostro sostegno all'ex sindaco». E infatti sotto banco Sel ha sostenuto – rompendo il sodalizio col centrosinistra presente quasi ovunque – il candidato del M5S. Come gran parte degli elettori della lista di sinistra livornese hanno sostenuto Nogarin al ballottaggio.
Uscendo dalla logica di affibbiare un orientamento politico al M5S, bisognerebbe riflettere sul perché ormai sempre più persone di sinistra si sono rifugiate nella casa grillina. Il giornalista Alessandro Gilioli scriveva giustamente: «La domanda non è se il Movimento 5 Stelle “sia o no di sinistra”, ma semmai se una parte degli elettori di sinistra o potenzialmente tali – specie quelli più giovani – continua a pensare di ottenere o meno una rappresentanza elettorale più vicina ai suoi ideali o ai suoi interessi quando vota M5S». Questo anche a causa di una deficienza della sinistra tradizionale che dal 2006 in poi ha collezionato batoste e scelte strategiche fallimentari. Persino dopo aver superato per soli 8mila voti la soglia di sbarramento con L'Altra Europa, si finisce per far emergere il proprio tafazzismo. Deludendo, ancora una volta, il suo elettorato. I recenti sondaggi Swg sull’analisi del voto pentastellato attestano come rispetto all’ultimo anno sia diminuita la percentuale di elettori di destra e aumentata quella di sinistra.
Va di moda tirare per la giacca Enrico Berlinguer, a trent’anni dalla sua morte. Se il Pd renziano ha tagliato le proprie radici ed è lontano culturalmente da quel Pci, anche il parallelismo col M5S è fuorviante. Nell’idea di società che si ha in mente. Nella prospettiva di reale alternativa da mettere in campo. Oltre agli strilli e i proclami. Berlinguer era un ideologico, era di sinistra, era un comunista. E lo spazio politico per modernizzare con coerenza quei valori è enorme. Volendolo fare, ovviamente
Democrazia diretta, battaglia contro il progetto del rigassificatore a pochi chilometri dalla riva, stop alle nomine politiche e allo strapotere del "Partito", il partito che come una mamma ingombrante tutto sa, tutto dispone, tutto amministra. È solo che la crisi a Livorno in questi anni ha picchiato duro, quella del porto è ormai trentennale. La tradizione rossa fatta di passione viscerale si era trasformata in tradizione e basta, in quieto vivere, in accordi e accordicchi, spesso nell'arroganza e nella prepotenza di chi si sente invincibile.
La domanda è: che correlazione c'è tra Livorno e l'Italia, sempre che ci sia? Più indizi forse fanno una prova. Dalla Grecia potremmo prendere in prestito le parole dei dirigenti di Syriza (il partito di sinistra radicale giunto primo alle ultime elezioni europee): «La politica è spesso la fortuna di trovarsi al posto giusto nel momento giusto. In Italia la sinistra non è stata capace di canalizzare una protesta contro l’austerità, che le sarebbe stato naturale interpretare, perché ha peccato di coerenza. È stata considerata responsabile del problema, non alternativa al problema. Il M5s raccoglie i frutti del malcontento politico e beneficia degli effetti della crisi rappresentando una forza antisistema e antibipolarismo». In effetti lo storico duopolio italiano, prima Dc-Pci poi centrosinistra-centrodestra, è stato scardinato. Non dal Terzo Polo montiano e casiniano, rivelatosi essere un bluff della politica, ma da quel M5s che - dati alla mano - sta stabilmente sopra Forza Italia ma ben lontano dal Pd renziano.
I proprietari del marchio, i diarchi Casaleggio & Grillo, non hanno peccato di coerenza: dalle prime comparizioni elettorali hanno equiparato – in era di fervore anti berlusconismo – Pd e Pdl, denunciando gli elementi comuni tra i due soggetti.
Hanno attaccato la Casta con tutti i suoi costi e i privilegi, la partitocrazia in toto e un sistema di potere clientelare, delle lobby, corrotto e corruttibile. Un catalizzatore per gli scontenti e gli incazzati piegati dalla crisi economica e istituzionale: i voti sono piovuti da destra come da sinistra, come testimoniavano alcuni sondaggi dopo le elezioni dello scorso anno. I grillini, anche su questo, in realtà sono netti e chiari dal primo momento: «Il M5s è postideologico, per noi contano i fatti e non siamo né di destra né di sinistra». «Siamo una forza populista», ha aggiunto ultimamente Beppe Grillo, protagonista di una campagna elettorale decisamente sopra i toni, in cui ha affermato tutto e il contrario di tutto. Quindi catalogare il movimento da un lato o dall’altro ha poco senso. Non è corretta la lettura, ad esempio, di chi vede nel M5S la "nuova sinistra" perché una buona parte del proprio programma elettorale ha quell’orientamento politico: temi ambientali, tutela beni comuni, difesa della Costituzione, reddito di cittadinanza, pacifismo e così via. Stride perché non considera la gestione padronale del movimento e i contenuti fortemente destrorsi sull’immigrazione, sulla sicurezza o il forte euroscetticismo declinato in chiave nazionalista. Tanto da aprire un dibattito all’interno del M5s sull’idea di alleanza con il leader inglese, xenofobo e liberista, Nigel Farage. In una recente intervista Roberto Fiore, storico leader di Forza Nuova, ha spiegato come alcune battaglie storiche del suo partito siano portate avanti ora da Lega Nord, Fratelli d’Italia e M5S e quindi «una grande vittoria per noi». La stessa Syriza lo scorso anno è venuta in Italia per confrontarsi col movimento. L’incontro come è nato, è finito. «Le differenze sono culturali naturalmente, al M5s manca il conflitto di classe e non combattono il neoliberismo», ragionano i dirigenti greci, i quali non condividono la visione della società come una lotta tra Casta e cittadini, e non tra classi sociali: tra chi detiene la ricchezza contro chi si sta impoverendo.
Ma se è una forza post-ideologica («per noi contano i fatti») e non di sinistra, stridono anche le teorie grillofobiche che vedono nel movimento un pericolo per la democrazia. “Fascisti” tout court per molti, in un gioco di semplificazione che non aiuta nessuno ad analizzare a fondo il fenomeno. E dove in realtà non si evidenzia il lavoro di “sentinella” in Parlamento contro le politiche dell’austerità volute prima dalla larghe intese e ora dal nuovo premier Renzi che tra riforma dell’art 81 della Costituzione, il Job Act sul lavoro e arresti bipartisan ha bisogno di una dura opposizione. Cosa che il M5S sta dimostrando di voler fare.
Tornando a Livorno, quindi: la città è andata a destra? Con la consueta irriverenza il direttore del Vernacoliere Mario Cardinali al Corsera rispondeva, parlando del Pd: «E il via libera agli ipermercati, coop rosse e adesso pure quelle bianche? E l’inutile nuovo ospedale che non vuole nessuno? E il degrado dei monumenti? Affari, soldi, business, poteri forti, arroganza. Un grande inciucio. I livornesi hanno detto vaffanculo, o meglio “ilbudellodituma”». Sulla stessa lunghezza d’onda Lenny Bottai, noto pugile ed ex capo ultras delle Bal (Brigate Autonome Livornesi), che intervistato su Pagina 99 si domandava: «Perché avrei dovuto dare la preferenza al Pd che proponeva come assessore allo sport Maurizia Cacciatori (ex-candidata Pdl a Massa) mentre invitava i livornesi a difendersi dalla deriva destrorsa del M5S quando poi tutte le cose più di destra negli ultimi 20 anni di politica le ha fatte proprio il Pd che è diventato la nuova Dc? Se c'è una cosa che mi ha fatto schifo – continuava – è vedere riesumare termini come ‘compagni’ e ‘antifascismo’ per vincere un ballottaggio che aveva solo interessi economici e di potere, e in molti ci sono cascati. Poi al ballottaggio non si vota ‘per’ ma ‘contro’, ed era anche una questione di salute. Livorno ha un'altissima incidenza di tumori. Dopo il fallimento del rigassificatore Olt, questi (Pd) avevano promesso discariche e un altro inceneritore. Serviva un segnale chiaro. Le città non si governano con le Lobby, figuriamoci Livorno».
Come a dire: quando la sinistra smette di fare la sinistra, il popolo di riferimento della sinistra ti abbandona. Se da essere un partito popolare ti trasformi in un ufficio di collocamento di dirigenti di partecipate sempre pronto a sedare ogni pensiero critico e ogni lotta allora dopo non puoi cascare dalle nuvole. Il sito di controinformazione livornese Senza Soste è stato ancora più chiaro: «Molte persone che vivono fuori Livorno sono stordite da questo risultato e da posizioni come le nostre. Chi vive qui sa benissimo che la sinistra organizzata elettoralmente (eccetto Rifondazione), quella organizzata dal basso e quella diffusa nel sostegno a tante lotte sul territorio, hanno votato in massa per i 5 Stelle, o meglio contro il Pd. Molti tappandosi il naso ma per il bene della città, altri in modo naturale visto che nella sede del Movimento 5 Stelle di Livorno sono appese le bandiere "No Tav", "No Rigassificatore" e "Referendum Acqua Pubblica", le stesse che molti hanno in casa. Col Pd invece cosa c'era da condividere? Nulla, se non la vuota retorica di chi spesso parla facendo credere ai propri elettori che esiste sempre il Pci. Anzi, probabilmente molti possono condividerci le decine di denunce e i processi dei prossimi mesi per molte battaglie recenti e passate».
E adesso? Uno dei guitti livornesi più conosciuti e ascoltati in città, l'attore Pardo Fornaciari, un passato in Democrazia Proletaria, sentenzia: «Nogarin reggerà la città forte di un consenso che si aggirerà a malapena al di sotto del 30 per cento dei cittadini. Poco, pochissimo. Una forza politica piccolo borghese in tali condizioni è destinata fatalmente ad essere condizionata dalla classe sociale organizzata che si dimostrerà più forte. O il capitale che muove traffici, o quello che costruisce, o la forza organizzata dei produttori, i lavoratori dipendenti. Che per ora non c'è».
A Civitavecchia stesso film. Col sindaco uscente Pietro Tidei che in questi anni aveva stretto legami con poteri forti e lobby, invischiato poi in storie di familismo da basso impero. Quindi la rottura del centrosinistra con Sel e Pd ai ferri corti ed elezioni anticipate. Sel al voto con un suo candidato, autonomo e non in alleanza, che otteneva quasi l’11 per cento. Al ballottaggio M5S e il Pd di Tidei. A caldo, il 26 maggio, Enrico Luciani, ex consigliere regionale e uomo forte di Sel a Civitavecchia (di cui è stato anche vice sindaco) dichiarava: «Il rapporto ormai è deteriorato: è stato lui a lavorare per demolire la maggioranza non rispettando il programma. Noi lo abbiamo mandato a casa e alle elezioni europee ha preso una sonora botta. Al secondo turno deve continuare il processo per mandare a casa Tidei, non daremo mai il nostro sostegno all'ex sindaco». E infatti sotto banco Sel ha sostenuto – rompendo il sodalizio col centrosinistra presente quasi ovunque – il candidato del M5S. Come gran parte degli elettori della lista di sinistra livornese hanno sostenuto Nogarin al ballottaggio.
Uscendo dalla logica di affibbiare un orientamento politico al M5S, bisognerebbe riflettere sul perché ormai sempre più persone di sinistra si sono rifugiate nella casa grillina. Il giornalista Alessandro Gilioli scriveva giustamente: «La domanda non è se il Movimento 5 Stelle “sia o no di sinistra”, ma semmai se una parte degli elettori di sinistra o potenzialmente tali – specie quelli più giovani – continua a pensare di ottenere o meno una rappresentanza elettorale più vicina ai suoi ideali o ai suoi interessi quando vota M5S». Questo anche a causa di una deficienza della sinistra tradizionale che dal 2006 in poi ha collezionato batoste e scelte strategiche fallimentari. Persino dopo aver superato per soli 8mila voti la soglia di sbarramento con L'Altra Europa, si finisce per far emergere il proprio tafazzismo. Deludendo, ancora una volta, il suo elettorato. I recenti sondaggi Swg sull’analisi del voto pentastellato attestano come rispetto all’ultimo anno sia diminuita la percentuale di elettori di destra e aumentata quella di sinistra.
Va di moda tirare per la giacca Enrico Berlinguer, a trent’anni dalla sua morte. Se il Pd renziano ha tagliato le proprie radici ed è lontano culturalmente da quel Pci, anche il parallelismo col M5S è fuorviante. Nell’idea di società che si ha in mente. Nella prospettiva di reale alternativa da mettere in campo. Oltre agli strilli e i proclami. Berlinguer era un ideologico, era di sinistra, era un comunista. E lo spazio politico per modernizzare con coerenza quei valori è enorme. Volendolo fare, ovviamente
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