Se amate l’arte dovete odiare la guerra, perché l’arte è la prima vittima della guerra.
Un detto che ha visto molteplici realizzazioni che ne comprovano la verità, nel passato recente europeo e ai nostri giorni nel medio oriente e in Africa, colpiti dalla tragedia fondamentalista.
Gli iconoclasti dell’IS sgozzano gli uomini, ma anche le statue, i simboli della civiltà e dell’arte antica, ma in Mali hanno fatto anche di peggio: hanno stroncato la più grande festa musicale del mondo, Le festival au désert.
Si trattava di una manifestazione nata spontaneamente sulle orme della tradizione Touareg, un popolo nomade che ogni anno si riuniva per scambiare merci, per ritrovare gli amici e soprattutto per fare musica.
Dal 2001 si teneva nelle vicinanze di Timbuctù e aveva assunto una veste stabile e internazionale, arrivando ad ospitare, accanto ai gruppi africani, artisti di tutto il mondo, come Bono e Robert Plant.
Nel 2013 il festival è stato annullato e anche la sua edizione in tono minore spostatasi più a sud, nella capitale Bamako, è stata ritenuta pericolosa. Adesso il Mali è presidiato al sud da una forza militare mista francese e africana, ma la ferita alla musica e alla convivenza è stata è ancora aperta. I maliani vivono per la musica, che per loro è come l’aria che respirano. I miei alunni maliani di italiano quando non parlano tra di loro sono sempre attaccati all'auricolare: non è un lusso, è la sopravvivenza...
Immagini dell'ultimo Festival au désert
Stare al mondo senza musica è come vivere in una prigione:
Il blues in versione africana
Songhoy blues.
Dopo essere fuggiti da Gao, quando la città è caduta in mano agli integralisti, che hanno vietato qualsiasi tipo di musica, quattro fans di Jimi Hendrix hanno fondato la Songhoy blues per reagire all'oscurantismo. Recentemente hanno prodotto un album (music in exile), dai colori vivi, dai ritmi ternari più caldi della sabbia del deserto. Il brano che segue, Al Hassidi Terei, ne è parte.
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