I rifugiati,
un problema difficilmente sostenibile a lungo.
La scelta più autolesionista e dissennata per affrontare il problema della grande massa dei rifugiati politici è sicuramente quella di convogliarli nelle grandi città e, all'interno di queste, di concentrarli in mega struttura con centinaia di ospiti.
In questa situazione è matematicamente certa la presenza di una qualche percentuale di malfattori o di violenti, come è altamente frequente l'insorgere di conflitti interetnici, religiosi, caratteriali, culturali o semplicemente l'insorgere della naturale conflittualità connessa agli spazi ristretti e al dilatamento dei tempi.
Riguardo al problema dei tempi bisogna sapere che la maggior parte dei progetti di accoglienza e di mantenimento degli aspiranti rifugiati politici sono nati per reggere a brevi periodi, al massimo di due tre mesi, connessi con il reperimento dei vestiti, l'espletamento delle visite mediche residue e delle pratiche burocratiche per l'identificazione, il rilascio del permesso di soggiorno temporaneo e la presentazione alla commissione che deve valutare il singolo caso.
Le organizzazioni che si occupano di queste pratiche (Vedi: "i veri costi dell'accoglienza") ricevono 35 euro al giorno lorde per rifugiato e, in genere, svolgono il proprio lavoro dignitosamente in ogni parte d'Italia, ma...non sono nate per reggere all'urto di più di un anno di permanenza di giovani uomini e donne, che, pur essendo liberi di muoversi, sono come degli animali in gabbia, oppressi dall'incertezza per il futuro e dall'inattività.
I tempi si sono dilatati infatti, a causa dell'arrivo di un gran numero di rifugiati, anche se è vero che dei 140.000 arrivati in un anno, fonti del Viminale ne stimano la permanenza in Italia di soli 58.903. Tutti gli altri hanno preferito in qualche modo proseguire verso altri paesi e tra quelli rimasti, perchè privi di ulteriori risorse (i libici di solito rapinano i viaggiatori in transito di tutti i beni, vestiti inclusi) per il proseguimento del viaggio, pochi sono quelli che resteranno in Italia dopo l'esame della commissione. Troppi comunque 58.000 per smaltire le loro richieste in tempi ragionevoli, da parte delle striminzite commissioni. Per inciso attualmente, per tutto il nord-est ne esiste una sola.
Ma arrivati alla commissione, questo è solo l'inizio: il riconoscimento dello status di rifugiati pone infatti i beneficiari nella condizione di tutti gli altri cittadini, cioè li espone, senza più alcuna tutela, alla disoccupazione, all'impossibilità di automantenersi, alla potente attrazione dei racket della contraffazione o della questua quando non a quelli della vera e propria malavita.
Dove l'accoglienza viene fatta in piccole strutture di piccoli centri, la presenza diluita rende possibile il controllo sociale, la reciproca conoscenza con i residenti, l'ascolto delle storie umane, una qualche forma di inserimento se non di integrazione e una qualche se pur remota possibilità di approccio al lavoro.
In caso contrario, come al quartiere di Tor Sapienza a Roma, l'immigrato rischia e di fatto si trasforma nel più facile ed immediato capro espiatorio che da sfogo alle frustrazioni e alle insoddisfazioni di chi magari vive già in condizioni simili alla sua, si sente circondato dal degrado e dall'incuria e dimenticato dallo Stato: quelli almeno mangiano, quelli prendono 30 euro al giorno, quelli ci rubano il lavoro, quelli sono tutti violenti e delinquenti, danno fastidio alle donne, violentano le donne, sono musulmani aspiranti terroristi e così via delirando.
Inevitabile che a un certo punto arrivino gli sciacalli...
Come sostiene A. Block nella sua celebre opera murphologica: "Un buon capro espiatorio vale quasi quanto una soluzione..."
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