Attività
sportiva
e disabilità
Un interessante articolo sullo sport per disabili, con preziose annotazioni psicologiche valide per tutti i bambini.
Le teorie sullo sviluppo infantile, in
particolare quelle di Bruner e di Piaget, affermano che la formazione della
conoscenza nel bambino avviene in due fasi successive: la prima, riguarda la
costruzione degli schemi percettivi e motori, la seconda consente di integrare
questi schemi e la formazione dei concetti.
Nella prima fase, definita
esplorativa, il bambino riconosce le caratteristiche fisiche degli oggetti
(formazione di categorie percettivo-visive), abilità che gli consente di
formulare ipotesi formali sugli oggetti stessi ( es: il bicchiere è
cilindrico).
In una fase successiva, gli schemi
percettivi saranno integrati con gli schemi di azione, consentendo al bambino
di acquisire i concetti, di individuare le caratteristiche funzionali degli
oggetti ed il nucleo funzionale di tutti gli oggetti appartenenti ad una
medesima categoria ( bicchiere e tazza: oggetti che servono per bere).
La possibilità di manipolare ed
esplorare gli oggetti per ottenere informazioni sull’ambiente circostante,
condiziona la formazione della conoscenza nei primi anni di vita del bambino,
ne consegue pertanto che le operazioni intellettuali originano da azioni reali
e che anche i processi inferenziali ( base della conoscenza astratta) sono legati
all’atto motorio.
Una tappa fondamentale dello sviluppo
psicologico è l’organizzazione della propria identità, strettamente connessa
alla possibilità di percepirsi separato dal corpo della madre. Frequenti
infatti sono le situazioni in cui i bambini disabili manifestano eccessiva
dipendenza ed intolleranza a qualunque forma di separazione dalla madre, con la
quale vive un rapporto di fusione-confusione senza avere coscienza dei propri
limiti.
Attraverso l’esperienza motoria,
inoltre, l’individuo costruisce la propria esperienza soggettiva, base per lo
sviluppo successivo della personalità che si struttura grazie anche alla
conquista della piena padronanza del corpo, della gestualità, delle proprie
azioni.
Per quanto riguarda l’ambiente
familiare della persona con disabilità, c’è da dire che spesso la famiglia
tende a mantenere l’individuo in uno stato di dipendenza, anche sostituendosi a
lui in alcune situazioni, scoraggiando in tal modo l’autonomia e quindi la
scoperta di altre potenzialità sia a livello fisico che psicologico.
L’avviamento all’attività motoria, per
questi bambini, pertanto, riveste un ruolo di primaria importanza anche per
quanto riguarda lo sviluppo psicologico e la progressiva conquista
dell’autonomia.
Innanzitutto la pratica sportiva
genera la necessità di allontanarsi fisicamente dal nucleo familiare, favorendo
la prima separazione fisica) dalla figura materna, in secondo luogo, in piscina
o in qualunque altro spazio deputato a questa attività, il bambino avrà
l’opportunità di relazionarsi anche con il mondo esterno ( istruttore , gruppo
di pari ), oltre che con il proprio mondo interno integrando le incapacità o le
goffaggini con la scoperta di nuove possibilità che contribuiscono
all’accettazione di sè anche come essere imperfetti.
Sicuramente l’evoluzione delle
capacità motorie è legato allo sviluppo dell’attività cerebrale, così come si
può osservare nei primi giochi dei bambini che si confrontano con il mondo
esterno facendolo oggetto della loro attività cognitiva.
Quando il bambino si trova fuori dai
contesti famigliari incontra coetanei che hanno la sua stessa energia e gli
stessi problemi, ed è con loro che inizia a vivere nuove esperienze e nuovi
legami affettivi. E’ il modo naturale per iniziare ad emanciparsi dai genitori
e per trovare nuove realtà al di fuori della sfera ristretta della famiglia. E’
con i coetanei, grazie al gioco, che il bambino può ricercare dinamiche
affettive analoghe a quelle familiari, ristrutturando gli stessi ruoli, oppure,
nella maggioranza dei casi, ricercarne differenziate fondando gli affetti su
basi diverse assumendo ruoli diversi da ciò che avviene in famiglia. Ad esempio
se in una famiglia esiste una supervalutazione di un eventuale fratello
maggiore, il bambino giocando, al di fuori del contesto famigliare, , con i
suoi coetanei si trova a vivere le stesse esperienze sia di successo che di
insuccesso riequilibrando così il suo senso di inferiorità.
Stare con i coetanei è anche un modo
per impossessarsi dei comportamenti degli adulti, per abituarsi al controllo
della realtà imparando a responsabilizzarsi e ad accettare quelle regole morali
e di comportamento che sono la base di una corretta socializzazione.
Il gioco è, quindi, un’attività
motoria importante e che serve ad assolvere molte funzioni:
- esplorazione
: il bambino osserva il suo ambiente e
ne fa conoscenza manipolando e toccando i vari oggetti;
- acquisizione di abilità fisiche
specifiche
: tramite i giochi di movimento e di
precisione;
- fortificazione dell’organismo
: anche in questo caso tramite i vari
giochi fisico-motori;
- aumento del senso di sicurezza e di
autostima
: attività ludico-motoria, giochi di
precisione e giochi sociali;
- socializzazione
: giochi di gruppo;
- appropriazione dei ruoli sociali e
sessuali degli adulti
: giochi simbolici e giochi sociali
dove si instaurano i vari ruoli differenziati tra maschi e femmine;
- acquisizione di abilità logiche
: giochi di costruzione, di fantasia e
di regole.
Analizzando questo piccolo elenco si
può notare che l’attività ludica, spesso bistrattata o relegata ad una visione
strettamente agonistica, è non solo corretta ma fondamentale.
In un processo formativo, quale quello
ideato nel progetto Giocosport, l’attività ludica riveste, per l’appunto, un
ruolo fondamentale.
Nei bambini più piccoli o nei soggetti
con ritardi più gravi ad esempio, si può pensare ad una serie di giochi volti a
sviluppare le capacità individuali e la socializzazione. Questa seconda parte
potrà essere affrontata organizzando giochi in coppia dove non si dovrà puntare
ad una cooperazione obbligata ma, organizzando situazioni sempre nuove, i
bambini si troveranno ad adottare azioni comuni.
Con l’aumentare dell’età crescerà il
bisogno di socializzazione tramite l’identificazione con i propri pari. In
questa fase i giochi saranno sempre più complessi e potranno coinvolgere la
totalità del gruppo. Inizieranno a fare la loro comparsa anche le
"regole" che verranno seguite e difficilmente cambiate.
Si creeranno delle squadre, si
inizierà ad evidenziare anche l’aspetto agonistico, che altro non è che una
forma più adulta e matura del gioco. Esempio di quanto esposto ora lo si può
trovare in quelle situazioni che si attuano in palestra, o all’aperto, dove si
formano squadre per confrontarsi, in gruppo, in giochi che al tempo stesso
sviluppano quelle capacità coordinative fondamentali nella crescita. Nel gioco
il bambino imita l’adulto, ma evitando al tempo stesso le responsabilità
dell’adulto: quando il bambino gioca i confini tra fantasia e realtà sono
aboliti, crea situazioni immaginarie che affronta e padroneggia, riuscendo in
tal modo a sopportare e superare l’ansia delle situazioni reali.
Compito dell’istruttore, in questo
caso, sarà quello di abituare l’allievo a vivere in modo tranquillo e non traumatico
questo nuovo salto di qualità, rendendo l’agonismo un qualcosa di interessante
che è ancora un gioco, ma un gioco diverso e potrà portare il ragazzo disabile
a vivere lo sport in maniera positiva, ricercando in questa attività una via
per la propria realizzazione.
L’attività sportiva, soprattutto se di
tipo agonistico, permette:
- di esprimere in forma ritualizzata
l’aggressività necessaria alla persona
disabile per affermare sè stessa in un ambiente competitivo, e quindi non
propriamente favorevole;
- il confronto con degli avversari,
sperimentando la possibilità di ingaggiare una lotta e quindi di rivaleggiare
per vincere, nel rispetto delle regole, senza che ne consegua una distruzione dell’altro
e quindi la violenza;
- di accettare la sconfitta, insegna a
gestire la rabbia derivante dalla frustazione e a non lasciarsene sopraffare;
la sconfitta non esiste senza vittoria, è l’altra faccia della medaglia, vista
in questa prospettiva essa diventerà uno stimolo per progredire, nello sport e
nella vita, con conseguente rafforzamento dell’autostima.
- di sviluppare l’autodisciplina, gli
esercizi, gli allenamenti, gli sforzi per apprendere e migliorare il gesto
tecnico, infatti, non sono fini a sè stessi ma in funzione di un obiettivo: la
riuscita in gara, sul campo di gioco e lo svolgimento di un compito scolastico
o di un’attività lavorativa, nella vita quotidiana.
La partecipazione simultanea delle
molteplici esperienze motorie e sensoriali , ma anche cognitive ed emozionali,
consentendo all’individuo la possibilità di scoprire o ritrovare
valori,motivazioni, scopi, mete.
Prof.
Francesco Perrotta
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