Il tanko alla conquista di Venezia! |
Consiglio del 25 luglio,
odg. 2Veneto indipendente, mozione in discussione al consiglio comunale del 25 luglio.
Il parere del comitato di giuristi nominato da Zaia
Nella notte tra l'8 e il 9 maggio del 1997, piazza san Marco fu invasa dai serenissimi che così volevano ricordare il bicentenario della caduta della Repubblica Serenissima per mano di Napoleone. Anacronistici e velleitari contestatori dello stato italiano e dell'idea bossiana di padania, finirono in carcere per molti anni, perché il "tanko" era fasullo, ma le armi e la resistenza ai reparti speciali del tutto realistica.
A distanza di 16 anni, un'ulteriore gesto di propaganda, questa volta in chiave pacifica e moderna, ma con tutta evidenza anticostituzionale (come sostengono anche i giuristi interpellati dal presidente Zaia) si impone all'attenzione dell'opinione pubblica e purtroppo anche delle assemblee elettive sotto ricatto dei cosiddetti "indipendentisti" che portano voti.
Il 25 luglio, quindi, anche il consiglio comunale di Mestrino sarà costretto a discutere di un ordine del giorno che appoggia la cervellotica richiesta.
E' legittimo chiedersi se questa inutile discussione costituisca o meno un costo per l'amministrazione locale?
Sia chiaro, nulla da dire contro lo strumento del referendum, purchè sia applicato a cose serie e non costituisca una pura leva di propaganda, a spese della collettività. Non a caso gli stessi giuristi del presidente Zaia paventano un'incriminazione per danno erariale.
Ma forse è il caso di sentirli direttamente, i giuristi.
COMMISSIONE GIURISTI SU RISOLUZIONE N. 44/2012
Verbale riassuntivo dell’attività svolta dalla Commissione giuristi
costituita in esecuzione della Risoluzione n. 44/2012 del Consiglio regionale
del Veneto e stato dell’arte al 16 luglio 2013.
Risoluzione n. 44/2012
Nella 139° Seduta pubblica di mercoledì 28 novembre 2012, il Consiglio
regionale del Veneto, con Deliberazione n. 145 ha approvato la Risoluzione n.
44 con la quale impegna il Presidente del Consiglio regionale del Veneto ed il
Presidente della Giunta regionale del Veneto ad attivarsi, con ogni risorsa a
disposizione del Consiglio regionale e della Giunta regionale, per avviare
urgentemente con tutte le Istituzioni dell’Unione europea e delle Nazioni Unite
le relazioni istituzionali che garantiscano l’indizione di una consultazione
referendaria al fine di accertare la volontà del Popolo Veneto in ordine alla
propria autodeterminazione, avvalendosi a tale scopo del parere consultivo di
un’apposita Commissione di giuristi senza alcun onere a carico della Regione,
impegnando altresì il Presidente del Consiglio regionale del Veneto ed il
Presidente della Giunta regionale del Veneto a tutelare, in ogni sede
competente, nazionale ed internazionale, il diritto del Popolo Veneto
all’autodeterminazione.
Costituzione Commissione giuristi
In esecuzione della citata Risoluzione n. 44, è stata costituita la
Commissione di giuristi composta dall’Avv. Prof. Mario Bertolissi, del foro di
Padova, professore ordinario di diritto costituzionale presso l’Università
degli Studi di Padova; dall’Avv. Prof. Luigi Benvenuti, del foro di Venezia,
professore ordinario di diritto amministrativo presso l’Università Ca’ Foscari
di Venezia; dall’Avv. Luca Azzano Cantarutti, del foro di Rovigo, esperto della
materia; dall’Avv. Prof. Andrea Favaro, docente incaricato presso la facoltà di
diritto canonico “San Pio X” dello Studium Generale Marcianum di Venezia;
dall’Avv. Maria Patrizia Petralia, dirigente della Direzione regionale Affari
Legislativi e dall’Avv. Alessandro Rota, dirigente responsabile della
Segreteria della Prima Commissione del Consiglio regionale.
Precedenti riunioni Commissione giuristi
Nella riunione di insediamento del 19 marzo 2013, nella Sala Giunta di
Palazzo Balbi, alla presenza del Presidente della Giunta regionale, dott. Luca
Zaia, è stato precisato il mandato affidato alla Commissione giuristi, ovvero
quello di formulare agli organi regionali un parere consultivo sull’indizione
della consultazione referendaria mirata ad accertare la volontà del “Popolo
Veneto” in ordine alla propria autodeterminazione.
A tal fine sono stati individuati due ambiti di approfondimento
dell’analisi giuridica. Un primo ambito diretto ad analizzare l’ammissibilità
dell’indizione della consultazione referendaria cori riferimento
all’ordinamento giuridico interno, l’altro diretto ad accertare se, nell’ambito
del diritto internazionale, esistono strumenti giuridici che possano
legittimare, comunque, il “Popolo Veneto’ ad esprimersi, previa consultazione
referendaria, in merito alla propria autodeterminazione.
Nella seconda riunione del 7 maggio 2013, la Commissione ha condiviso
l’esito della ricerca bibliografica e giurisprudenziale condotta, in autonomia
dai singoli componenti, individuando un corposo indice di lavori predisposti da
autorevole dottrina in merito all’ammissibilità o meno di una consultazione
referendaria diretta ad accertare la volontà di un “Popolo” in merito alla
propria autonomia nei confronti di un altro Stato di cui si trovi, per motivi
storici, a far parte.
In particolare, per quanto riguarda il diritto interno, ampio spazio è
stato dato all’analisi della Costituzione italiana del 1948 e delle norme che
sanciscono l’indivisibilità della Repubblica (in particolare, art. 5), nonché
della giurisprudenza costituzionale che ha avuto modo di esprimersi in merito
alla possibilità di indire referendum della popolazione finalizzati ad ottenere
maggiore autonomia a favore delle Regioni (in particolare Sentenza 24 novembre
1992, n. 470; Sentenza 14 novembre 2000, n. 496, entrambe riferite al Veneto).
Per quanto attiene al diritto internazionale, oltre all’analisi degli studi
effettuati dalla dottrina sul principio di “autodeterminazione dei popoli” e di
“integrità territoriale” e all’esame delle norme di diritto internazionale e
pattizio, prima fra tutte la Carta delle Nazioni Unite, è stata oggetto di
particolare analisi il parere (advisory opinion), reso dalla Corte
Internazionale di Giustizia, sulla dichiarazione unilaterale di indipendenza
fatta dalle istituzioni provvisorie di autogoverno del Kosovo nei confronti
della Serbia, e il parere reso dalla Corte suprema canadese in ordine al
diritto di secessione unilaterale del Québec dal resto del Canada, nonché il
recente parere (maggio 2013)
dell’Università di Innsbruck (“Das Selbstbestimmungsrecht der Völker und
seine praktische Anwendung – unter besonderer Berücksichtigung Südtirols”” a
firma del Prof. Peter Hilpold (Ordinario di Diritto internazionale, diritto
europeo e diritto pubblico comparato) relativo a temi simili, che afferma come
non sia possibile dal punto di vista del diritto internazionale affermare
l’illiceità della condotta posta in essere da parte di un popolo per vedere
riconosciuto il proprio diritto alla autodeterminazione.
Nella riunione del 27 giugno 2013, i componenti della Commissione giuristi,
con ampio dibattito si sono confrontati in merito all’esito delle diverse
analisi effettuate sulla documentazione messa a disposizione, ed hanno ritenuto
di dover svolgere ulteriori approfondimenti al fine di tentare di raggiungere
una sintesi finale condivisa che tenga conto di tutte le opinioni espresse dai
componenti.
Dal dibattito e dalla documentazione in merito al quesito posto dal
Consiglio regionale, sono emersi i seguenti indirizzi:
lì avv. Azzano Cantarutti – Preso atto che l’art. 5 della Costituzione
dichiara la Repubblica una e indivisibile, ne contesta la concreta applicazione
da parte delle Istituzioni italiane, ricordando la problematica relativa alla
firma del trattato di Osimo con il quale sono state cedute parti del territorio
nazionale (“Territorio a sovranità italiana provvisoriamente amministrato dalla
Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia” – Zona B – Istria) alla
Federazione Jugoslava. Richiama l’art. 10 della Costituzione, ricordando che
l’ordinamento nazionale si conforma alle norme del diritto internazionale
generalmente riconosciute; “si conforma” significa che le recepisce tout court.
Pur dando atto della Sentenza n. 48/1979 della Consulta (secondo cui il
recepimento delle norme del diritto intemazionale presuppone l’assenza di
contrasto con i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale)
ritiene non condivisibile una interpretazione che, richiamandosi alla citata
pronuncia, ritenga inammissibile il referendum. Rispetto alla citata sentenza
(assai datata nel tempo), l’evoluzione attuale del diritto internazionale e la
sua concreta applicazione da parte delle Istituzioni internazionali consentono
l’applicazione del diritto “transnazionale”. Esiste oggi una gerarchia tra le
norme del vigente diritto internazionale: al primo posto sono le norme e i
principi sui diritti umani, in quanto norme dì jus cogens o di
super-costituzione. I diritti degli stati sono subordinati a questi principi
fondamentali; laddove esista contrasto tra diritti umani internazionalmente
riconosciuti e diritti degli stati, i primi devono prevalere.
Quanto all’ipotesi di applicazione dell’art. 126 della Costituzione, con
conseguente scioglimento del Consiglio regionale e rimozione del Presidente
della Giunta, evidenzia come l’approvazione di una legge regionale che indice
il referendum consultivo può, al più, essere impugnata dinanzi alla Corte
Costituzionale, come avvenuto con il giudizio conclusosi con la citata Sentenza
496/2000.
Nel caso di controversie giurisdizionali con il Governo italiano, evidenzia
la possibilità di ricorrere alla Corte Internazionale di Giustizia (che già si
è espressa in casi simili) per sostenere la legittimità del referendum.
Ritiene pertanto che il Consiglio regionale possa seguire il seguente iter:
o approvazione di legge regionale di indizione del referendum consultivo
con quesito dal tenore pari: “Vuoi tu che il popolo Veneto eserciti la propria
sovranità nelle relazioni con gli altri Stati?”;
o (eventuale) vaglio della citata legge proposto dinanzi alla Corte
Costituzionale; o quanto al rischio del danno erariale, non si ritiene presente
atteso che in il referendum si terrebbe dopo un eventuale vaglio di legittimità
della Consulta e degli Organi internazionali (Corte Internazionale di
Giustizia) ma, comunque, potrebbe essere escluso dall’indizione del Referendum
consultivo in occasione di una prossima scadenza elettorale;
o qualora l’esito del referendum consultivo fosse a
favore della autodeterminazione del popolo Veneto, l’Organo eletto (Consiglio
regionale) dichiari l’indipendenza e prenda i contatti, in quanto
rappresentante del nuovo soggetto politico, con gli organismi internazionali
(ONU, EU, etc.) per il debito riconoscimento. Al di fuori del contenuto
giuridico, al fine di riconoscere un maggiore coinvolgimento della società (che
sempre è libera di auto-organizzarsi come ritiene), potrebbe essere utile
fornire la possibilità alla stessa di organizzarsi in vista della celebrazione
del referendum tramite anche donazioni modali o forme di volontariato ai seggi.
2) aw. prof. Benvenuti – L’ordinamento internazionale prevede il diritto
all’autodeterminazione esterna dei popoli, non come regola bensì come eccezione
alla regola della stabilità delle frontiere e, in ultima analisi, della
Comunità Internazionale.
Ciò è evidenziato anche dalla prassi più recente (ad esempio la pronuncia
della Corte Suprema del Canada nel caso del Quebec).
Il diritto di autodeterminazione esterna è previsto in caso limitati e
precisi (anche qui il riferimento e’ ad esempio all’Assemblea ONU 1960
sull’indipendenza dei popoli coloniali e al 1970 sulle relazioni amichevoli
degli Stati. Anche nel caso Timor Orientale del 1995 ci sono precise
limitazioni).
Perché ci sia un’autodeterminazione esterna, ci vuole inoltre l’esistenza
di un popolo. Sebbene gli strumenti internazionali (risoluzioni e trattati) che
si occupano di autodeterminazione non definiscono la nozione di popolo, questa
è intesa dalla pratica internazionale come “gruppo nazionale coeso”, il che non
è per il popolo veneto.
Solo con attenzione ai diritti umani torna in primo piano la nozione di
popolo.
Infine, nella concreta fattispecie oggetto del quesito, difetta l’ulteriore
requisito dei dati temporali,
quali precisamente richiesti dalla prassi del diritto internazionale .
Per altro verso, quanto al versante interno, si ritiene sicuramente non
percorribile la strada normativa per l’indizione di un referendum regionale
consultivo (vedi Sentenze C.C. 470/92 e 496/2000, oltre che lo Statuto della
Regione Veneto). A ciò osta il limite insuperabile di cui all’art. 5 della
Costituzione.
Posizione del Consiglio regionale per via meramente amministrativa (nel
caso di specie, mero atto amministrativo? atto di indirizzo?).
Anche qui, come nell’ipotesi precedente, va messo in conto la possibile o
addirittura probabile impugnazione dello Stato avanti la Corte Costituzionale.
Potrebbero inoltre determinarsi altre negative conseguenze ai sensi
dell’art. 126 della Costituzione. L’unica strada percorribile potrebbe essere
tutt’al più quella tracciata dal comma 3 dell’art. 116 della Costituzione, che
andrebbe eventualmente concordata nel rispetto del principio di leale
collaborazione tra Stato e Regione.
Al proposito si concorda con la tesi della possibile ricerca di un percorso
costituzionalmente orientato per la negoziazione di maggiori spazi di
autonomia.
3) avv.
prof. Bertolissi – Partendo da un’indagine preliminare ampia ed approfondita
circa l’applicabilità alle problematiche in discussione del principio di
autodeterminazione dei popoli come elaborato nel diritto internazionale e
dall’analisi della situazione di diritto pubblico interno, con particolare
riferimento alle vicende relative alle Sentenze della Corte Costituzionale n.
470/1992 e n. 496/2000, conclude sul possibile non-da farsi e da farsi.
Quanto al non-da farsi suggerisce di non procedere attraverso referendum
consultivo perché nel caso esso venga deliberato attraverso una legge regionale
questa sarebbe esposta a una molto probabile dichiarazione di illegittimità
costituzionale con possibile evenienza di dichiarazione di danno erariale da
parte del giudice contabile; ed ove si procedesse con deliberazione
amministrativa l’effetto sarebbe non dissimile in quanto il Governo potrebbe
agire attraverso la via del ricorso giurisdizionale amministrativo oppure per
conflitto di attribuzione davanti la Corte Costituzionale. Quanto al da farsi
il suggerimento al Consiglio regionale è di approvare un ordine del giorno o
analogo provvedimento di auspicio/incoraggiamento ai cittadini che vorranno
progettare un sondaggio di opinione (o altra attività consultiva similare)
attraverso il quale la cittadinanza (il popolo veneto) possa manifestare
liberamente il proprio pensiero ai sensi dell’art. 21 della Costituzione in
ordine alle problematiche autonomistiche di cui si tratta.
In tal modo si potrà fare una reale verifica della consistenza
dell’aspirazione del popolo veneto all’ indipendenza o semplicemente ad una
maggiore autonomia in seno all’ordinamento nazionale.
4) avv.
Prof. Favaro – Dopo una approfondita analisi del diritto interno e
internazionale, rileva per punti che:
- per il diritto interno,
il referendum consultivo è un istituto previsto e disciplinato anche dal
vigente Statuto della Regione Veneto (art. 27);
- la Corte Costituzionale,
con le Sentenze non più recenti n. 470/92 e n. 496/00 aveva ritenuto contrario
alla Costituzione sottoporre a referendum modifiche costituzionali volte ad
ottenere maggiore autonomia a favore delle regioni;
- secondo gli arresti
citati e reiteratamente criticati dalla dottrina per i loro evidenti limiti
motivazionali, si dovrebbe andrebbe a collidere con i principi di sovranità,
unità e indivisibilità sanciti nell’art. 5 della Costituzione;
- l’esperienza giuridica
repubblicana insegna che anche quando il Parlamento Italiano ha ratificato la
cessione di intere parti del territorio nazionale a stati esteri, non è stato
ritenuto violato l’art. 5 della Costituzione (cfr. Trattato di Osimo del 1975);
l’eventuale referendum non avrebbe ad oggetto modifiche della Costituzione
vigente limitandosi alla verifica di una volontà popolare democratica in merito
al generale principio di autodeterminazione;
- d’altra parte, libertà di
espressione dei membri di un ordinamento democratico costituisce il fondamento
stesso della democrazia;
- non si rinvengono limiti
contenutistici a tale libertà di espressione del pensiero da parte del
cittadino, come lo stesso ordinamento italiano assicura con il novellato art.
283 c.p. che legittima la condotta di chi, con atto non violento “commette un
fatto diretto e idoneo a mutare la Costituzione dello Stato o la forma di
Governo”’ ovvero con il novellato l’art. 241 c.p., il quale prevede che
chiunque possa compiere legittimamente atti non violenti diretti ed idonei a
sottoporre il territorio dello Stato alla sovranità di uno Stato straniero o a
menomare l’unità e l’indipendenza dello Stato;
- non si vede perchè tale
libertà di espressione garantita anche per questi temi specifici per il singolo
cittadino non possa essere per un insieme di cittadini;
- rimangono, quindi, leciti
(e legittimi) tutti gli atti contro l’integrità, l’indipendenza e l’unità dello
Stato che siano compiuti senza violenza, condotte che sono state quindi, per
volontà del legislatore italiano, decriminalizzate e volte al riconoscimento
concreto della piena libertà di espressione dei cittadini;
- passando al diritto
internazionale, lo Statuto delle Nazioni Unite pone la garanzia
dell’autodeterminazione dei popoli come uno dei suoi “fini e principi” (art.
1), e varie convenzioni internazionali hanno riconosciuto nel tempo il diritto
all’autodeterminazione dei popoli;
- la volontà popolare che
riconosce il principio di autodeterminazione, secondo il diritto internazionale
può estrinsecarsi in forma libera, purché essa sia atta a garantire che detta
volontà sia espressa in maniera democratica, libera e definita nei contenuti;
- tale rilievo è stato
confermato anche nel recente parere della Corte Internazionale di Giustizia nel
22 luglio 2010 relativo alla conformità al diritto internazionale della
dichiarazione di indipendenza del Kosovo (che a sua volta si fonda su pronunce
risalenti come la Sentenza “Lotus” [1927], la Sentenza “Nicaragua” [1986] e il
Parere sulla “Liceità della minaccia o dell’uso di armi nucleari” [1996]);
- la Corte Internazionale
ha quindi affermato che in termini generali, e non solo per taluni casi
storico-geografici, le dichiarazioni di indipendenza, al pari dei complessivi
fenomeni di nascita o scomparsa degli stati, non sono proibite dell’ordinamento
internazionale;
- una dichiarazione di
indipendenza (come pure gli atti prodromici alla medesima) può essere
senz’altro considerata “in accordance” col diritto internazionale anche perchè,
come pure nel caso del Veneto, non è in contrasto con il principio
dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica che è applicabile
solamente nelle relazioni internazionali tra gli stati (e non può vincolare i
soggetti non statuali);
- lo stesso principio è
stato riconosciuto anche da una Corte Suprema nazionale, quella Canadese nel
caso del Quebec la quale ha affermato nel 1998: “The continued existence and
operation of the Canadian constitutional order could not he indifferent to a
clear expression of a clear majority of Quebecers that they no longer wish to
remain in Canada. The other
provinces and the federai government would have no basis to deny the righi of
the government of Quebec to pur sue secession. should a clear majority of the
people of Quebec choose that goal so long as in doing so, Quebec respects the
rights of others” (par. 151);
- in tema di
autodeterminazione, una certa importanza, specie per il passato, è stata
ricoperta dal soggetto che richiede/pretende di autodeterminarsi;
- porre l’accento sul
popolo implica una sua definizione, ma per il diritto internazionale non vi è
una definizione di concetto di popolo e la prassi ha evidenziato che “popolo” è
quell’insieme di soggetti che si ritiene tale ed è in grado di affermarlo in un
contesto di relazioni con altri soggetti istituzionali;
- nell’odierna prassi del
diritto internazionale, peraltro, non è stato nemmeno richiesto il requisito di
“popolo” nel riconoscimento di soggetti che hanno preteso l’indipendenza;
- difatti, circa il 60%
degli Stati attualmente esistenti nel continente europeo ha conquistato
l’indipendenza nel corso del Novecento e del primo decennio del XXI secolo;
- la conquista
dell’indipendenza nella formazione di nuovi attori statali è risultata essere
la regola poiché, nel contesto europeo, la separazione fra Stati non è un atto
straordinario, ma costituisce il normale strumento di ottenimento
dell’indipendenza e della libertà politica nei tempi recenti (a far data
recente almeno dalla separazione delle Norvegia dalla Svezia del 1905);
- su 25 Stati europei
formatisi nel Novecento, 21 (84%) sono nati da una secessione;
- in tale contesto
giuridico-politico, gli anni Novanta del Novecento hanno peraltro imposto una
revisione circa i criteri di riconoscimento stabiliti sulla base del principio
di autodeterminazione;
- come già dedotto supra la
stessa nozione di “popolo” non è stata necessaria per ottenere l’indipendenza
di nuove formazioni statali e, difatti, hanno ottenuto l’indipendenza e il
riconoscimento internazionale Paesi totalmente privi di omogeneità etnica
interna e distinta (cfr. territori ex-Jugoslavia, Cecoslovacchia);
- la stragrande maggioranza
di queste formazioni statali ha ottenuto l’indipendenza in forma pacifica;
delle 21 secessioni del Novecento solo 3 (14%) hanno avuto connotazioni
violente
e in ogni caso, qualunque reazione violenta da parte degli Stati unitari è
una violazione della Risoluzione 2625 (XXV) ONU; – di recente (maggio 2013) è
stato prodotto un parere dell’Università di Innsbruck (“Das
Selbstbestimmungsrecht der Völker und seine praktische Anwendung — unter
besonderer Berücksichtigung Südtirols’” a firma del Prof. Peter Hilpold
(Ordinario di Diritto internazionale, diritto europeo e diritto pubblico
comparato) relativo a temi vicini, che ha confermato come non sia possibile dal
punto di vista del diritto internazionale affermare l’illiceità della condotta
posta in essere da parte di un popolo per vedere riconosciuto il proprio
diritto alla autodeterminazione. Da un punto di vista dell’iter da seguire per
adempiere alla Risoluzione n. 44 approvata dal Consiglio regionale possono
essere seguiti i seguenti passi:
1. approvazione di legge regionale di indizione del referendum consultivo con
quesito dal tenore pari: ” Vuoi tu che il popolo Veneto eserciti la propria
autodeterminazione nelle relazioni con gli altri Stati?”;
2. (eventuale) vaglio della citata legge proposto dinanzi alla Corte
Costituzionale;
3. indizione del Referendum consultivo in occasione di una prossima scadenze
elettorale (cfr. Europee 2014) al fine di limitare la (eventuale) responsabilità
per danno erariale, che vedrebbe mancare dei suoi presupposti qualora fosse
concessa la possibilità alla popolazione di partecipare alle spese necessarie
tramite donazioni e/o forme di volontariato;
4. qualora l’esito del referendum consultivo fosse a favore della
autodeterminazione del popolo Veneto, l’Organo eletto (Consiglio regionale)
provveda a sottoscrivere una “dichiarazione di indipendenza” che costituisce
l’atto di rottura vero e proprio secondo quanto riconosciuto nel parere della
Corte Internazionale di Giustizia sul caso Kosovo e che deve richiamare al suo
interno il risultato del referendum (che costituisce il suo fondamento
democratico);
5. in seguito l’Organo eletto (che eviterà di qualificarsi “Consiglio
regionale” e preferirà riconoscersi quale “Organo rappresentativo del popolo
Veneto” dando riscontro così del volere di costituirsi quale nuovo soggetto sul
piano internazionale) procede a prendere i contatti, in quanto rappresentante
del nuovo soggetto politico, con gli organismi internazionali (ONU, EU, etc.)
per il debito riconoscimento;
6. in tale contesto l’Organo eletto è chiamato quindi a emanare le norme
transitorie (anche per i rapporti con l’Italia).
5) aw.ti Petralia e Rota – Dopo un’attenta analisi alla luce del diritto
costituzionale interno e della giurisprudenza della Corte Costituzionale
(Sentenze n. 470/1992 e 496/2000) e dello Statuto del Veneto, concludono per
l’impossibilità di indire un legittimo referendum consultivo
sull’autodeterminazione del popolo veneto, ponendosi in contrasto con l’art. 5
della Costituzione e potendo determinare le conseguenze negative
dell’applicazione dell’art. 126 della Costituzione, con conseguente
scioglimento del Consiglio regionale e rimozione del Presidente della Giunta,
per atti contrari alla Costituzione.
Nella prospettiva del diritto internazionale l’avv. Rota effettua
un’analisi verificando se le fonti di diritto internazionale ed europeo
obbligano il legislatore statale e regionale a prendere in considerazione
l’eventualità di sentire le popolazioni interessate ad un evento di
autodeterminazione. Da tali premesse, in condivisione con l’avv. Petralia,
conclude ritenendo che il principio internazionale di autodeterminazione
esterna è sempre bilanciato con il principio di integrità territoriale – di cui
anche, sotto il profilo interno, all’art. 5 della nostra Costituzione – e che
non sono rinvenibili elementi per dedurre l’esistenza di un diritto
(internazionale) alla secessione. Conseguentemente, viene scartata l’ipotesi
che tale principio possa essere legittimamente invocato per avallare
aspirazioni secessionistiche di Regioni o di altre circoscrizioni territoriali.
La proposta finale, indirizzata alla conciliazione del principio di
autodeterminazione della sovranità popolare e della democrazia partecipativa,
trae spunto dalla recente prassi internazionalistica e dalla decisione fatta
propria dalla Corte Suprema canadese, che la recepisce: tale giudice evidenzia
infatti come la comunità internazionale possa più facilmente legittimare una scelta
indipendentista quando le parti conducano una negoziazione conforme ai principi
costituzionali e senza irragionevoli intransigenze. Si richiede cioè che il
processo di negoziazione venga condotto dalla maggioranza politica governativa
e dalla maggioranza politica della Regione secessionista. In altri termini solo
il consenso fra le parti coinvolte rappresenta un metodo democratico e
legittimo di autodeterminazione che poi il diritto internazionale possa
riconoscere. In tal senso si sono svolte infatti le vicende del Quebec e
dell’autonomia scozzese. La conclusione è a favore di un percorso
costituzionalmente orientato volto alla negoziazione di maggiori spazi di
autonomia della Regione del Veneto nel quadro dell’attuale sistema
costituzionale (art. 116); il negoziato potrebbe partire dalla determinazione
del contenuto di un referendum diretto all’ottenimento di più autonomia, ai
sensi dell’art. 116 della Costituzione, ma anche da una rilettura in chiave
autonomista degli artt. 117 e 119. In definitiva, il regionalismo differenziato
appare essere l’unico istituto che, in perfetta coerenza con la Costituzione
italiana, possa portare alla realizzazione di una maggiore e legittima
autonomia del Veneto.
Riunione del 16 luglio 2013 della Commissione giuristi
A seguito della riunione del 27 giugno u.s. i Commissari si sono riservati
gli ultimi approfondimenti per concordare la sintesi finale della relazione.
Allo stato attuale alcuni Commissari hanno segnalato che, per giungere a
tale sintesi, vi sono ancora alcuni aspetti da definire, perlopiù inerenti le
motivazioni, strettamente giuridiche, delle diverse letture fatte dai singoli
componenti in merito al quesito posto dal Consiglio regionale. In relazione
all’opportunità, in vista degli imminenti lavori consiliari inerenti il tema,
di fornire al Consiglio almeno un primo step delle analisi effettuate, il
Presidente Zaia, per il tramite del Segretario di Giunta regionale, chiede ai
Commissari di fornire ai Consiglieri la presente sintesi delle varie riunioni,
nonché copia dei lavori consegnati dai singoli Commissari. Questo nell’intesa
che la Commissione proseguirà nei propri approfondimenti. I presenti assentono.
Venezia 16 luglio 2013
Verbalizzante Il Segretario della Giunta regionale
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