Di Flavio Rizzo, scrittore e film-maker, da NY. Articolo originariamente comparso su Huffington Post USA
Mi sveglio con una email di Gabriele, un mio caro amico, mi scrive da Roma. Senza giri di parole mi chiede: se negli Stati Uniti, un senatore avesse definito un ministro nero un orango, quanti millisecondi sarebbero passati per venire buttato fuori dall'universo politico?
Quello a cui si riferisce è l'ultima disgrazia dell'Italia: il Senatore italiano Calderoli, con noncuranza osserva che il primo ministro italiano nero, Cécile Kyenge, somiglia ad un orango. Dovrei aggiungere che il senatore Calderoli è anche il vice presidente del Senato italiano. Sì, lo è.
Uno dei più pericolosi commenti di cui abbiamo dovuto sopportare la lettura dopo l'osservazione aberrante di Calderoli, è stato che l'Italia non è un paese razzista, ma solo "tollerante del razzismo." Come se ci fosse una differenza.
È il momento di dirlo con coraggio, senza scorciatoie: l'Italia è un paese in gran parte razzista, un tipo parassitario di razzismo che pervade molti aspetti della società italiana. In Italia i concetti di colonialismo, post-colonialismo e neocolonialismo sono in gran parte ignorati così come il passato coloniale dell'Italia stessa.
Il fare cultura in Italia è guidato quasi esclusivamente dal punto di vista eurocentrico. La connessione tra l'identità personale e quella culturale nei paesi post-coloniali non viene mai fatta, per non parlare delle questioni della doppia identità o delle percezioni occidentali che escludono gli opposti.
L'altro rimane altro, la sua ricchezza di complessità è letteralmente non vista e costantemente svalutata. Quindi la domanda è semplice: come possiamo avviare una conversazione quando non vi è alcuna consapevolezza culturale a cui aggrapparsi? Come affrontare il complesso problema del razzismo sulla base di questo vuoto culturale inquietante?
Una gran parte degli italiani accetta sistematicamente l'omofobia, il razzismo e il comportamento donnaiolo come parte di una sorta di debolezza nazionale, un difetto interiorizzato, una malattia che non si può eliminare. Ed è così che il paese è spazzato via dall'accettazione dell'inaccettabile, congelato in una "globalizzazione dell'indifferenza" come Papa Francesco ha sottolineato durante la sua recente visita all'isola di Lampedusa - Ground zero italiano per migranti e richiedenti asilo. L'Italia ha perso la sua bussola, alla deriva nella notte più buia mette le mani avanti per vedere se c'è qualcosa a cui aggrapparsi. E non c'è.
Un intero paese è immobilizzato da vuoti culturali e ristagna nel suo basso desiderio di cercare di sapere e cambiare. Può l'Italia contemporanea capire la seguente riflessione della scrittrice Chimamanda Ngozi Adichie in Metà di un sole giallo? "Io sono nigeriana perché un uomo bianco ha creato la Nigeria e mi ha dato quell'identità. Sono nera perché l'uomo bianco ha costruito il nero per essere il più diverso possibile dal suo bianco. Ma ero Igbo prima che l'uomo bianco venisse".
O come il fondatore della rivista Warscapes Bhakti Shringarpure sottolinea "Per quanto riguarda il motivo per il quale ci troviamo al punto in cui dobbiamo capire le "altre persone e culture", una semplice storia del colonialismo sarebbe sufficiente. Perché sono qui a scrivervi in un inglese fluente, ma non so tenere una semplice conversazione in Marathi con mia nonna? Quali sono le dinamiche politiche di questo? Perché appartengo a questo posto tanto quanto a quell'altro, dopo la fine del colonialismo inglese?"
L'Italia sta diventando un paese stordito da uno stato passivo della mente, un approccio monolitico alle questioni di razza che impedisce ogni possibilità di crescita transculturale. Dal consiglio comunale della città di Lucca che ha vietato il cibo etnico "al fine di salvaguardare la tradizione culinaria e la genuinità della struttura, architettura, cultura e storia," passando per gli scontri del 2010 tra immigrati africani e residenti a Rosarno, in Calabria, tutti chiari segni di un radicato malessere razziale.
Chi sa da dove viene la Ministra Kyenge? Chi conosce l'orrendo passato coloniale della Repubblica Democratica del Congo? L'Italia affonda nell'ignoranza e nel processo la classe dirigente non si rende conto della misura in cui il danno è quasi irreparabile, è la vera anima del paese che viene compromessa.
Non ci sono ponti verso l'esterno, il sistema sta cannibalizzando le sue migliori risorse umane, il livello è sempre abbassato e raramente alzato. Qualsiasi discorso sulla diversità è così debole che è doloroso esserne parte. La diversità, nella migliore delle ipotesi, è sempre altrove, lontano, un concetto astratto, ma non è mai all'interno di se stessi.
Questa è una differenza fondamentale e semplicemente non è parte della conversazione. Se la diversità si trovasse all'interno di se stessi, si produrrebbe un meraviglioso effetto domino: l'amore, la cura e il rispetto verrebbero a essere al centro di qualsiasi tipo d'intesa. Possiamo solo sperare che gli italiani inizieranno a fare proprio l'urlo di Frantz Fanon in Pelle nera, maschere bianche "Oh corpo mio, fa di me sempre un uomo che si pone domande."
Quindi caro Gabriele, per rispondere alla tua domanda: sì hai assolutamente ragione, questo deve essere il momento della massima indignazione senza compromessi.
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