martedì 20 gennaio 2015

La circolare Donazzan



L' errore metodologico,
che ho commesso anch'io










I segnali non verbali che riceviamo di solito dai nostri interlocutori sono mediati dal retroterra culturale; alcune caratteristiche vengono riconosciute come generalizzabili e sono tramandate dai detti popolari: "torinesi falsi e cortesi", genovesi avari, sardi testardi, ma leali, calabresi, testardi e basta; stereotipi, ma non solo.
Ancora più profondo il solco con culture non italiane anche se a noi vicine: avete mai provato a parlare male della REPUBBLICA ad un amico francese; non capirebbe così come non capisce l'accanimento di noi italiani contro noi stessi e le nostre istituzioni. 
Se poi ci si rivolge a culture lontane, il rischio è ancora più grave.
Devo ammettere che a me è successo, molto di recente, durante il mio corso d'italiano ai rifugiati maliani. Piccolo esempio su cui dovrebbero riflettere tutti coloro che avessero pensato di applicare in classe la direttiva Donazzan: se succede il disastro quando c'è la buona fede, come è capitato a me, figuriamoci quando ci sono intenti prevaricatori o provocatori. 
In breve, il mio gruppo di alunni è costituito da giovani uomini maliani, musulmani praticanti, proprio quelli che in un altro contesto si potrebbero definire uomini pii, ragazzi all'antica, legati alla famiglia e alle tradizioni. Per la verità alcuni di loro mi avevano già fatto un pò sorridere quando avevano saltato alcune lezioni, per recuperare qualche giorno di Ramadan perso a causa di una malattia. Ma, mi sono detto, capiranno da soli come funziona qua, quando inizieranno a lavorare.
I fatti di Parigi evidentemente li hanno conosciuti subito, praticamente prima di me, perchè stanno sempre attaccati ai loro aggeggi supertecnologici (mi hanno spiegato che per parlare con le famiglie, che sono in Africa, è più semplice usare il voipe o qualche altra diavoleria del genere, piuttosto del telefono).
Allora, conoscendo la loro natura sanamente religiosa e pacifica (spessissimo mi raccontano di festeggiare insieme ai cristiani tutte le feste possibili degli uni e degli altri)  ho la "geniale" idea di presentarmi con il testo di un articolo di giornale che esalta l'eroismo di Lassana Bithili, il maliano, commesso del mercato Kocher, considerato un eroe per aver salvato una decina di clienti dalla furia omicida dei terroristi.
Il mio calcolo era semplice, ma purtroppo si è rivelato semplicistico: analizziamo un testo di italiano, c'è una motivazione forte (la cronaca) e c'è l'identificazione con il musulmano buono.
Niente di tutto questo; alla sola vista del titolo dell'articolo, parte il primo  esagitato, a cui la paranoia non aveva fatto capire nulla: "Il est francais, pas malien!!", grida pensando che volessi parlare di Coulibali, il maliano "cattivo".
Chiarisco l'equivoco, ma il clima non migliora affatto: "mais il n'y a pas de cours aujourd'hui?".
Non c'è stato verso, ansia, anzi agitazione palpabile: il discorso per loro era impossibile da affrontare! Inevitabilmente si sono sentiti sotto esame o sottoposti a un test per verificare se loro sono i "buoni" oppure  i "cattivi". Non possono concepire metodi diversi da quelli polizieschi e spionistici che sono abituati a subire nel proprio paese. 
Ho ripreso quindi la lezione sui pronomi personali, cosa che ha calmato le acque.
Sindrome da culturalizzazione, si chiama, gentile assessore Donazzan: un materiale da maneggiare con cura, per non vederselo esplodere tra le mani.
Con i ragazzi immigrati di seconda generazione il problema è ancora più grave, perchè loro si sentono lacerati tra il rispetto della cultura dei padri, che non devono vivere come una reliquia, e i nuovi codici di comportamento e di comunicazione appresi  qui in Italia, che aprono loro tutto un nuovo mondo di relazioni,  di amicizie, in una parola, il mondo futuro.
Figuriamoci: li facciamo riflettere sul fatto che i loro padri e fratelli maggiori potrebbero essere dei terroristi, mentre loro che si adeguano al 100% sono buoni?


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