Il 3 settembre scorso è stata pubblicata la sentenza del Consiglio di Stato che mette fine alle incertezze sul caso Englaro, condannando definitivamente l'ex governatore della regione Lombardia, Formigoni, gaudente in privato, ma castigatissimo in pubblico.
In risposta alla sentenza, il ciellino su FB
sostiene che il Consiglio di Stato non può cambiare le leggi e che in Italia l'eutanasia non è legale. Finge di non sapere che il Consiglio di Stato lo ha condannato per un illecito amministrativo e per non avere applicato una sentenza della magistratura.
sostiene che il Consiglio di Stato non può cambiare le leggi e che in Italia l'eutanasia non è legale. Finge di non sapere che il Consiglio di Stato lo ha condannato per un illecito amministrativo e per non avere applicato una sentenza della magistratura.
La scivolata sull'eutanasia, inoltre, è pura, deliberata volgarità.
La sentenza, invece, costituisce una pietra miliare nella legislazione italiana. Infatti, sulla scorta delle posizioni della medicina ufficiale, sostiene che l'alimentazione e l'idratazione sono delle vere e proprie terapie e che quindi, come tali, possono essere legittimamente rifiutate dal paziente o come nel caso di Eluana Englaro, dal tutore.
E soprattutto, dichiara illegittimo il rifiuto della regione Lombardia a mettere a disposizione una struttura per il distacco del sondino naso-gastrico che alimentava e idratava artificialmente Eluana.
Ma le parole, più belle, che rimangono scritte sulla pietra nella giurisdizione italiana sono queste:
“Nessuna visione della malattia e della salute, nessuna concezione della sofferenza e, correlativamente, della cura, per quanto moralmente elevata o scientificamente accettata, può essere contrapposta o, addirittura, sovrapposta e comunque legittimamente opposta dallo Stato o dall'amministrazione sanitaria o da qualsivoglia altro soggetto pubblico o privato, in un ordinamento che ha nel principio personalistico il suo fondamento, alla cognizione che della propria sofferenza e, correlativamente, della propria cura ha il singolo malato.
(…) Non può dunque l’Amministrazione sanitaria sottrarsi al suo obbligo di curare il malato e di accettarne il ricovero, anche di quello che rifiuti un determinato trattamento sanitario nella consapevolezza della certa conseguente morte, adducendo una propria ed autoritativa visione della cura o della prestazione sanitaria che, in termini di necessaria beneficialità, contempli e consenta solo la prosecuzione della vita e non, invece, l’accettazione della morte da parte del consapevole paziente”.
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