Nella prima cartina a sinistra (1945), in verde i territori occupati dalla popolazione palestinese di religione musulmana, in bianco quelli occupati dalla popolazione palestinese di religione ebraica.
Con la nascita forzata dello stato di Israele e l'immigrazione da tutto il mondo le proporzioni si invertono violentemente.
A volte mi chiedo cosa farei se fossi nato da quelle parti ma mi chiedo anche cosa farei se fossi un ebreo europeo, sopravvissuto al nazismo o figlio di un sopravvissuto, emigrato in Israele per sfuggire all'incubo della persecuzione o al razzismo strisciante che qua e là riaffiora nella civilissima e asettica Europa.
Nel primo caso saprei per certo, per averlo visto con miei occhi o attraverso i racconti dei genitori che gli inglesi hanno fatto delle porcherie immonde e che gli sconosciuti alieni che hanno occupato le mie case e la mia terra adesso fanno esattamente quello che è stato fatto a loro settanta anni fa; ma neanche dalla mia parte c'è da stare sereni: settanta anni fa il mio paese era più laico di adesso, mentre quelli che dovrebbero essere i nostri difensori spesso si nascondono tra di noi per evitare le bombe israeliane o forse per provocarle e avere una ragione di sopravvivenza: ogni morto nostro è un incentivo a continuare, è una giustificazione della loro esistenza..
Nel secondo caso, attirato qui dalla sicurezza, dalla libertà, dalla possibilità di ricominciare come in una nuova frontiera, mi vedrei progressivamente circondato da fanatici che non sembrano avere nessuna differenza con quelli dell'altra parte; la libertà c'è ma ci sono anche i razzi e le bombe negli autobus, che nessuno riesce a fermare e ogni tanto mi chiederei: ma cosa ci faccio qui? pensavo fosse la terra promessa, ma mi ritrovo estraneo, strumento inconsapevole di oppressione o vittima anche qui..
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