L'imbarbarimento della politica
«Va spezzato il circolo vizioso di una classe politica che per cavalcare l’onda attacca la politica, e smettere di giocare con parole come impeachment...». Stefano Rodotà non teme di disturbare il manovratore e da giurista lo dice con chiarezza: «Populista non è solo Grillo, è un clima, una sindrome, un linguaggio. A comiciare dai ricatti sulla legge elettorale del tipo prendere o lasciare».
A tanti anni dallo scontro Cossiga-Occhetto, Grillo torna a parlare di impeachment del Presidente della Repubblica. Una cosa enorme, ma lui ci crede. Analogie?
«Nessuna. L’impeachment scatta con l’attentato alla Costituzione o con l’alto tradimento. Oggi non ve ne è nemmeno l’ombra. Cossiga attaccava quotidianamente la Carta costituzionale, il Csm e singole persone. Voleva andare al Csm con i corazzieri, per scioglierlo, e solo perché Galloni aveva denunciato l’incompatibilità tra massoneria e magistratura. Altro che paragoni con Napolitano! Non c’è nulla di anomalo nell’incarico a Monti, dopo i precedenti di Ciampi e Dini. E non si può limitare l’autonomia di scelta del Presidente nel conferire l’incarico, altrimenti si cancella la sua funzione centrale nell’ordinamento repubblicano. Le critiche politiche sono legittime, il resto è populismo deteriore».
Sta vincendo nel senso comune la teatralizzazione demagogica, come diceva Gramsci?«C’è un degrado inaccettabile nel costume e nel linguaggio. Ma è il punto d’arrivo di un percorso avviato proprio dal picconatore Cossiga. Siamo abituati a derubricare certe sparate della Lega a folklore. E dopo il razzismo di Calderoli contro la Kyenge, Calderoli è ancora lì. Un fatto “normale”, perché è questo il clima imperante della comunicazione, favorito anche dai nuovi media. Teatro è la parola giusta. Non ci sono più limiti all’happening e tutto diviene legittimo, nelle parole e nei comportamenti. Ma il vero corto circuito è questo: è la classe politica che insulta la politica in nome dell’antipolitica. O aggredisce qualcun altro, come nel caso degli insulti ai giuristi...».
Si riferisce agli attacchi rivolti ai costituzionalisti che hanno criticato il nuovo maggioritario in votazione?
«Sì: un esempio di intolleranza trasversale, da destra a sinistra. E invece certe obiezioni, sollevate da Violante, Ainis, Carlassare e dal sottoscritto, restano ragionevoli e fondate, e ci vorrebbe rispetto e senso della misura in un momento delicato come questo, specie sul tema elettorale».
Non le piace il risultato dell’incontro al Nazareno?
«Quale risultato? La materia è ancora lì ed è incandescente. E anche la sentenza n. 1 del 2014 è ancora lì. Che accade se quel “risultato” torna davanti alla Corte Costituzionale che lo boccia in tutto o in parte? Attenzione, siamo in una repubblica parlamentare dove il voto è libero, eguale e segreto. E la regola di non disturbare il manovratore non vale».
In passato si è lamentato per il privilegiamento della grande Riforma, a scapito della legge elettorale. Oggi si parte da quest’ultima. Cos’è che non va?
«La legge elettorale è stata sollecitata più volte da Napolitano e imposta di fatto dalla Corte. Bene, ma la cosa richiede tempi e discussione adeguati. Al momento vedo molte criticità. Le soglie per accedere al premio, ad esempio. Che distorcono la rappresentatività specie nel caso dei piccoli partiti, che aiutano i grandi, ma non entrano in Parlamento. Una lesione dell’eguaglianza del voto. E poi questa legge fotografa lo status quo. Garantisce le soglie a Berlusconi, regala il salva-Lega a Salvini, la pluralità di canditature ad Alfano. Ma imprime una torsione ultramaggioritaria al sistema, vincolando rigidamente il ruolo di garanzia del Quirinale, con alterazione delle sue prerogative rispetto alla Carta costituzionale vigente».
Tutto questo però è stato il frutto di una diarchia, con Renzi e Berlusconi a dettare tempi e contenuti, o no?
«Certo, c’è stato un impulso di quel tipo. Ma non si può blindare tutto e andare per le spicce con l’intimazione “prendere quel che c’è, oppure salta tutto”. Quanto ai risvolti politici è innegabile che Berlusconi, dopo il Nazareno e alla vigilia della sua pena, potrà dire: ma come, sono il padre fondatore delle regole e mi si perseguita ancora? Inoltre non v’è dubbio che con questa legge elettorale il Cavaliere abbia ricompattato i suoi e potrà risucchiare Alfano. Ma, al di là di tutto, la domanda è un’altra: la legge è conforme alla sentenza della Consulta e alla democrazia rappresentativa? Occorre discuterne a fondo in Parlamento».
Torniamo a Grillo. Fattore tossico o è ancora una risorsa ai suoi occhi?
«Sono stati inutilizzabili sulla legge elettorale e su altro. E nondimeno sul decreto Imu-Bankitalia potevano vantare qualche buona ragione, al di là dei comportamenti. Non si può legiferare con leggi accozzaglia e per decreto, e occorreva fare come con il salva-Roma: ripensare e distinguere. Che fare con Grillo? Evitare di vittimizzarlo con una nuova conventio ad excludendum. In fondo sui clandestini è stato sconfitto dall’interno del suo mondo».
Nessun commento:
Posta un commento