Siracusa, Palermo, Stoccolma.....
Un filo invisibile e antico spesso lega tradizioni lontanissime nello spazio e nel tempo. Una di queste è la ricorrenza di Santa Lucia, che è ricordata in modo molto sentito in parti del mondo molto lontane e diverse.
La leggenda di santa Lucia risale all'anno 281 e parte da Siracusa, dove la futura santa fu educata alla fede cristiana. Dopo avere avuto la visione di sant'Agata, la ragazza non volle più saperne del fidanzato e della sua dote, che distribuì ai poveri. In seguito alla denuncia del fidanzato abbandonato fu sottoposta al martirio e decapitata (nulla di nuovo sotto il sole..) dai miliziani, allora di Diocleziano.
Con l'affermarsi e il diffondersi del cristianesimo dopo Diocleziano, si diffuse anche il culto della giovane di Siracusa, a partire dalla sua prima tomba posta nelle catacombe della sua città.
Nel 6° secolo vi erano già chiese, oratori, monasteri a lei dedicati anche a Roma e Ravenna, poi il suo culto raggiunse ogni paese d'Europa.
Il corpo della santa rimase nelle catacombe di Siracusa fino al 1039, quando venne trasferito a Costantinopoli per proteggerlo dai Saraceni. Durante la crociata del 1204 i Veneziani lo trasportarono nel monastero di San Giorgio a Venezia e nominarono Santa Lucia co-patrona della città, costruendo per lei una grande chiesa, demolita nel 1863, per far posto alla stazione ferroviaria. Adesso il corpo, che si dice sia ancora incorrotto, si trova nelle vicinanze, nella chiesa dei Santi Geremia e Lucia.
Le reliquie si trovano in molte città d’Italia, fra cui Siracusa, e dell'Europa del nord, fra cui Metz, in Lorena.
Due piccole reliquie, donate dal Patriarca di Venezia, si trovano dal 2002 nella chiesa di Santa Lucia, eretta presso il Centro Ragazzi Ciechi “Kekeli Neva” di Togoville in Togo.
Palermo si introduce nella tradizione attraverso una leggenda medievale che prende le mosse da un periodo di carestia e di fame, dal quale i palermitani vengono salvati con l'arrivo di un bastimento carico di grano dopo aver invocato la santa.
Per la fretta e per la fame, non utilizzano il grano per fare la farina e quindi il pane, ma lo mangiano bollito semplicemente con un filo d'olio.
La leggenda di santa Lucia risale all'anno 281 e parte da Siracusa, dove la futura santa fu educata alla fede cristiana. Dopo avere avuto la visione di sant'Agata, la ragazza non volle più saperne del fidanzato e della sua dote, che distribuì ai poveri. In seguito alla denuncia del fidanzato abbandonato fu sottoposta al martirio e decapitata (nulla di nuovo sotto il sole..) dai miliziani, allora di Diocleziano.
Con l'affermarsi e il diffondersi del cristianesimo dopo Diocleziano, si diffuse anche il culto della giovane di Siracusa, a partire dalla sua prima tomba posta nelle catacombe della sua città.
Nel 6° secolo vi erano già chiese, oratori, monasteri a lei dedicati anche a Roma e Ravenna, poi il suo culto raggiunse ogni paese d'Europa.
Il corpo della santa rimase nelle catacombe di Siracusa fino al 1039, quando venne trasferito a Costantinopoli per proteggerlo dai Saraceni. Durante la crociata del 1204 i Veneziani lo trasportarono nel monastero di San Giorgio a Venezia e nominarono Santa Lucia co-patrona della città, costruendo per lei una grande chiesa, demolita nel 1863, per far posto alla stazione ferroviaria. Adesso il corpo, che si dice sia ancora incorrotto, si trova nelle vicinanze, nella chiesa dei Santi Geremia e Lucia.
Le reliquie si trovano in molte città d’Italia, fra cui Siracusa, e dell'Europa del nord, fra cui Metz, in Lorena.
Due piccole reliquie, donate dal Patriarca di Venezia, si trovano dal 2002 nella chiesa di Santa Lucia, eretta presso il Centro Ragazzi Ciechi “Kekeli Neva” di Togoville in Togo.
Palermo si introduce nella tradizione attraverso una leggenda medievale che prende le mosse da un periodo di carestia e di fame, dal quale i palermitani vengono salvati con l'arrivo di un bastimento carico di grano dopo aver invocato la santa.
Per la fretta e per la fame, non utilizzano il grano per fare la farina e quindi il pane, ma lo mangiano bollito semplicemente con un filo d'olio.
Ma a Palermo, ovviamente, il ricordo dello scampato pericolo non può essere che di tipo culinario: in questa giornata, infatti, i palermitani si tengono lontani dalla pasta e dal pane, rispettando questo precetto con una perseveranza davvero ammirevole, al punto che i forni rimangono pressoché tutti chiusi. Ma la rigidità dell'astensione dai farinacei, esibita in questa occasione ha un rovescio della medaglia: il palermitano contemporaneo medio non è per sua natura portato alla sofferenza e alla mortificazione della carne, così gli alimenti base (pane e pasta) vengono ampiamente surrogati da un florilegio di ghiottonerie, di cui si riempiono le tavole: Arancine, panelle e "cuccìa".**
E la Svezia?
Qui la tradizione, parallela a quella cristiana, è però di origine vichinga e ricorda il solstizio d'inverno, cioè l'inizio del ritorno della luce dopo i lunghi mesi di oscurità. Nel medioevo iniziò l'usanza di vestire una fanciulla di bianco e col capo cinto da una corona di luci, con il compito di svegliare i dormienti nella notte.
Negli anni la tradizione di santa Lucia è diventata una festa nazionale molto sentita. Migliaia di bambine svedesi vengono vestite con una tunica bianca, coroncine luminose e con in mano una candela. Ogni anno viene inoltre indetto un concorso per eleggere la più bella “Lucia di Svezia”, che ha il compito di raccogliere doni da devolvere ai bisognosi.
**Il nome “cuccia” deriva da una deformazione della parola “cocciu” cioè chicco, o dal verbo “cucciari”, vale a dire mangiare un chicco alla volta.
La sua preparazione è quasi un rito nelle famiglie palermitane: un'antica consuetudine che proviene dal mondo contadino.
In periodo di mietitura, i chicchi di grano raccolti venivano lessati e mangiati sul posto nei momenti di pausa.
La pietanza è sicuramente molto antica e tramandata dai conquistatori arabi. Anche adesso a Tunisi o al Cairo è ancora possibile assaggiare il Kech o Kesh, consistente in grano bollito addolcito da latte di pecora o di cammello associato a vaniglia e cannella.
Per cucinare la cuccia, bisogna ammorbidire il frumento per tre giorni in acqua fredda. La sera prima della festa, si cuoce il frumento a cuocere, coperto d’acqua e con un pizzico appena di sale. Dopo averlo scolato bene va addolcito con crema di ricotta, scaglie di cioccolata e frutta candita a pezzetti, con una scorza d’arancia o con una “mouse” di cioccolata oppure con una crema di latte.
La sua preparazione è quasi un rito nelle famiglie palermitane: un'antica consuetudine che proviene dal mondo contadino.
In periodo di mietitura, i chicchi di grano raccolti venivano lessati e mangiati sul posto nei momenti di pausa.
La pietanza è sicuramente molto antica e tramandata dai conquistatori arabi. Anche adesso a Tunisi o al Cairo è ancora possibile assaggiare il Kech o Kesh, consistente in grano bollito addolcito da latte di pecora o di cammello associato a vaniglia e cannella.
Per cucinare la cuccia, bisogna ammorbidire il frumento per tre giorni in acqua fredda. La sera prima della festa, si cuoce il frumento a cuocere, coperto d’acqua e con un pizzico appena di sale. Dopo averlo scolato bene va addolcito con crema di ricotta, scaglie di cioccolata e frutta candita a pezzetti, con una scorza d’arancia o con una “mouse” di cioccolata oppure con una crema di latte.
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