martedì 17 maggio 2016

La revisione costituzionale, 3




Le revisioni degli altri. 








Entrata in vigore nel 1789, la Costituzione Americana ha subito in più di 200 anni soltanto 27 emendamenti. Ogni anno ne vengono proposti un centinaio, ma il congresso li boccia praticamente tutti. 

In  Francia, dal 1958, cioè dalla nascita della Quinta repubblica gollista, sono state fatte soltanto 24 revisioni costituzionali, di importanza differente: tutte, tranne una, approvate dal Congrès (assemblea nazionale e Senato in seduta congiunta). Un tentativo di revisione della costituzione (per altro su questioni minori: il trasferimento di alcuni poteri alle regioni e la trasformazione del Senato, che in Francia non ha mai avuto grande rilievo istituzionale, in sede di rappresentanza di organizzazioni professionali e sindacali regionali) fu fatale al maresciallo De Gaulle, il quale, come promesso nell'indire il referendum, si dimise dopo aver perso la consultazione. Un illustre precedente per il nostro premier! 
La costituzione spagnola del 1978, sinora è stata emendata solo due volte: nel 1992, in tema di diritti elettorali degli stranieri e nel 2011, con l'introduzione del principio della stabilità di bilancio nella Costituzione stessa. Entrambe le modifiche furono approvate dalle due camere in meno di 15 giorni! Quindi si può essere veloci, più veloci che in Italia sicuramente, anche con due camere..

Ma tornando alle cose italiane, il disegno di legge Boschi/Renzi di revisione della Costituzione italiana ne modifica o ne abroga in un colpo solo ben 47 articoli. Tecnicamente si tratta di una "revisione costituzionale", di fatto di una mutazione molto profonda e per certi versi contraddittoria e discutibilissima dal punto di vista della tenuta democratica del paese.  La fretta, non dettata da nessuna urgenza politica, sociale ed economica manda all'aria l'assetto complessivo dello Stato italiano, sbilanciando i poteri a favore dell'esecutivo e limando ogni possibile contrappeso. 
Tutto quello che è a fondamento della moderne democrazie a partire da Montesquieu, cioè la separazione dei poteri,  viene stravolto e pericolosamente accentrato nel controllo di un uomo solo.  Infatti qualsiasi nuovo premier (e sottolineo qualsiasi, che si chiami Renzi, Salvini, Di Maio o figlio di n.n.) otterrebbe un cumulo di poteri immediatamente spendibili, quanto di più lontano dalla più  lenta, ma più garantista dialettica democratica. Il premier si troverebbe a presiedere l'esecutivo, ma nello stesso tempo controllerebbe il potere legislativo (parlamento) attraverso il sistema dei nominati e dello spropositato premio di maggioranza che potrà essere assegnato anche ad un partito del 20% o poco più (Italicum). Ma non è finita: attraverso il parlamento il premier controllerebbe la nomina del presidente della Repubblica, della Corte costituzionale, mentre importanti cariche di garanzia, negli organismi di sorveglianza, di controllo e nelle authority, sono già nelle sue disponibilità. Neanche il presidente degli Stati Uniti, con buona pace di  Trump, si troverebbe a godere di un potere così ampio. 

Fonte: atti della Camera dei Deputati




  

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