Tutta un'altra storia
Si prende una notizia completamente falsa o contenente solo una parte di verità o addirittura una non notizia, si passa a un solerte "giornalista" che per guadagnarsi i suoi 10 euro di cottimo riesce a farla pubblicare su una gazzetta locale. La natura della non notizia o del falso può essere varia: in periodo natalizio va molto di moda il presepe, all'inizio dell'anno scolastico il crocefisso, in estate la scelta può essere più ampia, come dirò. Poi si scatenano i commentatori, gli eroici tastieristi, che sfogano, stando al sicuro, i propri peggiori istinti e diffamano, le suffragette del web che condividono (se sei d'accordo condividi! è la parola d'ordine mutuata da un esperto pubblicitario...).
Poi arriva la grande stampa, i soloni dell'informazione, i conduttori da talk-show e, appena il tempo di farsi confezionare la felpa adatta, anche il prode salvini (non è un errore di battitura!)
Conosco bene il meccanismo, per averlo osservato da vicino diverse volte.
La prima, nel lontano 1986, proprio a inizio carriera. Nell'alta padovana, un solerte postino (figura ricorrente in queste microstorie venete!), adepto della nascente Liga, passa al gazzettiere di turno e al suo onorevole di riferimento (allora unico onorevole) la ghiotta notizia: la professoressa d'italiano vieta di parlare dialetto in classe e anzi multa gli alunni che se ne fanno scappare qualche parola. Che una professoressa d'italiano pretenda che si parli in italiano sembrerebbe ovvio anche ai tonti, ma non a tutti evidentemente. C'era una mezza verità: la prof d'italiano, per fortuna padana purosangue, per convincere i riottosi alunni aveva istituito un discutibile giochetto: chi sbaglia paga pegno e poi si va tutti a prendere un gelato, liberi finalmente di goderselo in dialetto.
Apriti cielo: interrogazione e ispezione del solerte neo parlamentare, fotografi, giornalisti che mi aspettano sotto casa, la RAI di Roma che mi vuole ad un talk-show.
Dal punto di vista scolastico tutto rientrò assai presto: turandomi il naso e con un sorriso di circostanza, strinsi la mano al baffuto Achille e tutto finì lì. Tra l'altro la scuola di tutto poteva essere accusata, tranne che di discriminare la cultura locale: aveva infatti organizzato una mostra sulle tradizioni agricole e prodotto un giornalino, come andava di moda allora. Ma la notiziola di paese ebbe il merito (altri tempi!) di stimolare un ben approfondito dibattito tra giornalisti e studiosi sulla natura del dialetto e sull'opportunità o meno di praticarlo a scuola. Ne scrissero Montanelli, De Mauro, Scalfari e tante altre penne importanti. La notizia fu ripresa anche dai periodici e anche dalla stampa straniera, arrivando sino in Argentina. Alla scuola arrivò la solidarietà di lettori, italiani, da tutto il mondo.
Chissà come sarebbe andata adesso, ma è facile immaginarlo: i fascio-leghisti si sarebbero impadroniti della notizia e non l'avrebbero più mollata.
La seconda volta in cui mi è capitato di imbattermi nella gogna alimentata ad arte è arcinota ai lettori di questo blog e del Mattino di Padova. Una frase forte, estrapolata da un discorso più ampio, un secondo solerte postino, uno o due gazzettieri locali e il gioco é fatto ancora una volta. Chi vuole può ritrovarla in questo LINK
Rispetto al 1986, qui si trova un elemento nuovo: la capacità pervasiva della rete e il proliferare degli imbecilli del web.
Mi metto ora nei panni del collega Marco Parma di Rozzano, messo alla gogna con l'infamante accusa di avere vietato la festa di natale nella sua scuola.
Gli è dovuta tutta la solidarietà e un piccolo gesto concreto, nel mio piccolo. Pubblico quindi la sua lettera "di dimissioni", per contribuire a ristabilire al più presto la verità, in barba ai soloni dell'informazione, Serra in testa e al blog casaleggese, che, in nome del "teniamoci" cara la destra, si affretta a scaricare un uomo, che, unica colpa, ha quella di essersi candidato con il movimento cinque stelle. segue qui