Il corso di Italiano per rifugiati
Il corso di italiano organizzato da Scuola e Vita in collaborazione con la cooperativa il Sestante che cura un progetto di accoglienza per gli aspiranti rifugiati giunti a Padova dalla Sicilia, conta da qualche giorno 25 studenti. Oltre agli 8 nigeriani e ai 3 pachistani ospitati alla struttura Leopardi e ai 4 ghanesi, si sono aggiunti da due giorni ben 10 maliani (provenienti dal Mali)
Nigeriani e ghanesi sono cattolici, tutti gli altri musulmani; alcuni hanno studiato in qualche modo nel loro paese, altri sono quasi o totalmente analfabeti; i nigeriani parlano, o meglio credono di parlare in inglese e cosi i ghanesi, i maliani parlano un francese di base, i pachistani solo arabo. Per il momento l’unica lingua con la quale possono comunicare tutti tra di loro è l’arabo, che i maliani e i pachistani conoscevano già, mentre nigeriani e ghanesi l’hanno imparato durante la loro lunga permanenza in Libia.
L’unica cosa stimolante di questi corsi, al di là della tristezza dei visi, dell’angoscia e dell’impazienza che caratterizza gli studenti, soprattutto in questi ultimi giorni e poi vedremo perché, è il tentativo di portarli a comunicare tra loro in italiano, fare del tanto bistrattato italiano la loro lingua veicolare.
Popolazioni molto diverse tra loro per educazione, religione, temperamento, caratteristiche somatiche, lingua (i nigeriani di diverse regioni possono comunicare solo nel loro pseudo inglese, essendo portatori di decine di lingue tribali diverse), ma c’è qualcosa che li accomuna tutti: a qualunque religione appartengano fuggono tutti da tre nemici comuni, l’integralismo islamico, la povertà e la mancanza di libertà.
Questo mi hanno più volte dichiarato, in una babele di lingue, ma con gli occhi lucidi di chi riviveva tragedie, lutti, uccisioni, violenze. Un ragazzo nigeriano, particolarmente intelligente e ombroso, dopo aver fatto la firma di presenza alle lezioni, invariabilmente la cancella ricoprendola meticolosamente di tratti di penna, perché?
Da una settimana sono arrivati i maliani, puntuali e composti in aula, ma impudentemente in pigiama e ciabatte, ancora alle nove! Sorpreso per questa inopportuna mancanza di rispetto, alla seconda lezione ho chiesto loro il perché. “Sono gli unici vestiti che abbiamo, ce li hanno dati a Pozzallo prima di metterci sull’aereo, alla partenza dalla Libia, armi alla mano, ci hanno spogliato di tutto, denaro, telefoni e vestiti compresi!”
Questa è la realtà! Sentirselo raccontare in diretta posso assicurare che è molto diverso che ascoltarlo dalle cronache giornalistiche. Se poi il racconto viene da bocche appartenenti a volti buoni, mansueti, stanchi e smarriti è molto più toccante.
Ma al di là dei buoni sentimenti, questi piccoli episodi e queste realtà inducono ad una riflessione molto seria sul terribile carico che l’Italia si sta assumendo, abbandonata dal resto dell’Europa.
Dimenticavo alcuni particolari. Oltre al dettaglio macroscopico del salvataggio in mare di 100.000 esseri umani (il dato è di ieri), l’Italia si fa carico anche di un costo di 30 euro al giorno a testa (che coprono solo in parte i costi di mantenimento e delle cure mediche; il resto viene dato dal volontariato e dalla Chiesa).
Il permesso di soggiorno temporaneo, che viene rilasciato dopo due, tre settimane dall'arrivo in Italia, non permette di lavorare per i primi sei mesi!
Ma questo sarebbe niente se l’intera operazione, sino al riconoscimento dello status di rifugiati, non durasse almeno più di un anno! Inutile aggiungere che la maggioranza di loro non vogliono assolutamente restare in Italia e sono diretti altrove. Sino alla settimana scorsa potevano fuggire, prima di essere identificati in questura; da qualche giorno questo non è più possibile perché vengono fotografati e vengono loro raccolte le impronte delle dieci dita, già al loro arrivo.
Questo è il motivo della rabbia e delle lacrime di questi giorni. Gestirlo in strutture che accolgono centinaia di disperati, come si è fatto per anni a Lampedusa e come qualche sconsiderato sta proponendo per il Veneto, senza l’ausilio di operatori esperti e di una corte di volontari è semplicemente folle.
Approfondimenti:
Rivedere il trattato di Dublino
La convenzione di Dublino
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