Un cervello in fuga... |
L'emigrazione "estrattiva"
Riportiamo in questa serie di articoli una sintesi dell'intervento di Rodolfo Ricci (FIEI – Federazione Italiana Emigrazione Immigrazione) svolto al Seminario organizzato a Roma dalla Fondazione di Vittorio su “Migrazioni, crisi, lavoro" lo scorso 12 Aprile. Nella relazione si fa il punto sull’effettiva consistenza del nuovo flusso emigratorio dall’Italia che, stando ai dati forniti da istituti statistici europei, risulterebbe essere superiore fino ad oltre 4 volte ai dati Istat/Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero). Altrettanto sorprendente è che allo stesso tempo, il flusso emigratorio degli italiani verso l’estero risulterebbe ormai essere circa il doppio degli arrivi di immigrati economici e profughi insieme.
Segue da la nuova emigrazione italiana, 5
La NUOVA EMIGRAZIONE può essere
considerata come una della più significative manifestazioni della crisi attuale
del paese (e anche degli altri paesi del sud Europa). E allo stesso tempo una
delle manifestazioni più preoccupanti delle proiezione declinante dell’Italia
nello scenario internazionale. Ed è forse (una valutazione che lasciamo agli
storici) la conferma di una caratteristica strutturale dell’ incapacità di
valorizzazione del proprio capitale umano, del nostro paese.
Per i seguenti motivi:
a) medio-alta scolarizzazione
della nuova emigrazione (oltre il 60% risulta diplomato o laureato)
b) la nuova emigrazione si
sviluppa in uno scenario globale di flessione e di crisi economica e non di
sviluppo, come avvenuto nei periodi 1900-1915 o 1945-1970.
c) la nuova emigrazione si
sviluppa in uno scenario di flessione demografica del paese (accanto ad una
parallela flessione che riguarda anche gran parte dei paesi che costituiscono
meta di arrivo degli italiani) e non, come avvenuto dei periodi precedenti, di
crescita e surplus demografico.
L’impressione è che quindi ci si
trovi di fronte ad una nuova tipologia di migrazione che potrebbe essere
definita “estrattiva” o di drenaggio di risorse, analogamente a quanto si
definisce con questo termine, lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali
nei paesi periferici, ripreso negli ultimi decenni, da parte del grande
capitale multinazionale che trova la sua collocazione solo in alcuni paesi
guida, e in contrasto con ipotesi alternative di sviluppo che compendiano la
possibilità di una crescita sostenibile dal punto di vista sociale ed
ecologico. Cioè di un equilibrio tra risorse disponibili ed
paesi/aree/continenti. Ovviamente, questo è un discorso che riguarda sia la
nostra nuova emigrazione che l’immigrazione terzomondiale verso l’Italia e
l’Europa.
Il fatto che paesi come la
Germania stiano sviluppando un piano di acquisizione di risorse umane dal resto
del mondo per contenere la propria flessione demografica (- 10milioni previsti
per il 2050), così come altri paesi sviluppati o in via di sviluppo stanno
facendo o cercando di fare, configura il fenomeno della nuova emigrazione
italiana entro scenari anche teorici in parte diversi da quelli
su cui storicamente abbiamo ragionato: appare sempre più difficile
sostenere un’idea di emigrazione come risorsa che può alimentare (attraverso le
rimesse o la crescita di competenze di ritorno) i paesi erogatori e allo stesso
tempo ridurre le tensioni sociali ed economiche causate da una
sovrappopolazione rispetto alla capacità di assorbimento delle rispettive
economie di partenza dei flussi.
Sembrerebbe più adeguata una
lettura dei nuovi flussi, come flussi aspirati (o accaparrati) dai paesi più
forti, visto che il circuito di valorizzazione capitalistica li esige
parallelamente allo sviluppo tecnologico che sono in grado di attivare più e
meglio di noi. Vi sarebbe anche da riflettere sulla possibilità che lo sviluppo
tecnologico e l’automazione, necessitino, dal punto di vista della
valorizzazione capitalistica, non di una riduzione, ma di un aumento delle
risorse umane qualificate a disposizione. Per questo la nuova emigrazione è
caratterizzata da alti livelli di scolarizzazione e di competenze (come
peraltro definito in modo cristallino dalla Legge sull’immigrazione approvata
in Germania all’inizio del 2.000, che regola i flussi di ingresso in base alla
qualità della risorsa immigrazione). Cosa riconfermata in occasione
dell'”apertura” all’ingresso dei profughi siriani in quanto portatori di
livelli di scolarizzazione e di competenze abbastanza elevate.
Allo stesso tempo, si può dire,
per quanto ci riguarda, che nell’ambito di una crisi che ha distrutto oltre il
20% del potenziale industriale del Paese, ci troviamo di fronte ad uno scenario
analogo a quello di un dopoguerra, con esuberi di risorse umane rispetto al
potenziale industriale attivo, pur in presenza di un deficit demografico.
Dal punto di vista dei paesi
accettori, questo accaparramento, soddisfa non solo l’esigenza a breve termine
del sistema economico dei paesi di arrivo, ma risulta indispensabile, a lungo
termine, anche per contenere il proprio deficit demografico. In questo
senso, la mercificazione del lavoro, raggiunge i suoi più avanzati livelli e si
coniuga con la progettazione di società del futuro ad alta o meno alta
competenza diffusa.
Il che equivale a dire che il
posizionamento internazionale di paesi che fino ad ora erano relativamente
collocati su livelli simili, pur con differenziazioni importanti, può
bruscamente e definitivamente variare in direzione di una ricollocazione nei
livelli medio-bassi della divisione internazionale del lavoro (per l’Italia).
Nei paesi di partenza, se questo
trend si consolida, inevitabilmente, ci si troverà di fronte, a medio
termine, a ricadute negative: peggioramento dell’equilibrio demografico e
carenza di competenze di medio-alto livello per lo sviluppo.
La proiezione dello Svimez
(Qui la sintesi del rapporto SVIMEZ 2016) riguardo al meridione a metà secolo (con una riduzione di 4,5 milioni di
popolazione al 2050), in mancanza di politiche alternative, può riguardare
anche buona parte del resto del paese ed è, in modo inquietante, parallelo alla
previsione dei 10milioni di ingressi progettati dalla Germania nello stesso
periodo. Vi è da rilevare, a questo proposito, che gli ingressi in
Germania, negli ultimi anni, non provengono da paesi extraeuropei (Asia o
Africa), ma in parte preponderante dai paesi europei limitrofi (dell’est e del
sud Europa: Polonia, Romania, Bulgaria, Ungheria, Italia, Spagna Croazia e
Portogallo).
La nuova emigrazione, può
costituire, da questo punto di vista, un nuovo Eldorado per i paesi di arrivo e
un grande problema nazionale per quelli di partenza; non si tratta solo di una
questione di natura politica o morale, è piuttosto un’indicazione di
assoluta evidenza degli scenari attuali e di quelli che possono
presentarsi a medio-lungo termine. (Continua qui)
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