lunedì 25 dicembre 2017

Il ragazzo del 99- 3




Le parrucche che cambiarono il mondo 



Segue da: L'anno che cambiò il mondo


I suoi primi diciotto anni, cioè all'incirca sino al 2017, mi raccontava nonno Palmiro che passarono, se non  felici, almeno tranquilli, sommersi da un'abbondanza di cibo e soprattutto di oggetti, che oggi nel 2084, non possiamo neanche immaginare. A quei tempi avevano i telefoni che erano anche computer, apparecchi fotografici, archivi. Noi adesso per scrivere ci rivolgiamo allo scrittore di quartiere; anche questo raccontino, si capisce da qualche salto, da qualche vuoto, lo sto dettando a lui, un informatico ormai disoccupato, che ha messo in salvo un computer e una stampante.
Ieri mi ha raccontato di aver trovato la foto di un suo bisnonno, ragioniere disoccupato, che dopo la seconda delle quattro guerre mondiali, aveva aperto un banchetto con una scritta simile alla sua "qui si fanno lettere". 
Tornando a nonno Palmiro, mi raccontava della sua stanca inquietudine: aveva tutto, ma senza più desideri, aveva un presente tranquillo ma non riusciva ad immaginare un futuro. Certo la sorella più grande, dopo i primi anni di università era andata via e non era più tornata, ma lei era di un'altra pasta, curiosa, attiva, con tante amicizie, al contrario di lui che si era trovato totalmente intrappolato da quelle cose che chiamavano social ma chiudevano ad ogni rapporto personale.   A quel tempo, la sorella, zia Leonilde era ricercatrice ad Edimburgo, ma ad un tratto iniziarono ad arrivare notizie meno confortanti, il paese che l'aveva ospitata non era più sicura di volerla: prima gli inglesi, dicevano; all'inizio nessuno ci credeva, ma poi iniziarono a partire i primi medici italiani e i primi infermieri indiani e la gente se ne accorse bene.. 
Dai cugini volati in America non gli arrivavano notizie migliori: un miliardario con la parrucca inverosimile (il nonno mi raccontava che l'avevano votato i minatori, pazzesco!) aveva iniziato a mandare via gli arabi, poi i messicani, prima o poi sarebbe passato agli italiani, notoriamente tutti comunisti.
Poi successe quello che successe e adesso mi trovo qua con in mano un libretto che parla di un secolo fa, "1984". E' un po' bruciacchiato ma qualcosa si legge ancora: "Le masse non si ribellano mai in maniera spontanea e non si ribellano perchè sono oppresse. In realtà sinché non si consente loro di fare confronti, non acquisiscono neanche coscienza di essere oppresse..."     



Cosa successe tra il 1999 e il 2084 ogni lettore lo può immaginare, ricostruire, inventare, secondo le sue personali inclinazioni e conoscenze e se me lo vorrà comunicare ne sarò felice. Qualche domanda a cui rispondere:
Quattro guerre mondiali?
Perchè il protagonista "futuro" si chiama Bill e non Palmiro?
Perchè "i droni della concorrenza"?
I due personaggi nella foto hanno veramente avuto una parte nello sviluppo della vicenda?


domenica 24 dicembre 2017

Nazismo e fascismo, la nuova resistenza


"Scovati con forza dalle loro buche"






Questa la didascalia della foto di copertina  inviata da  Jürgen Stroop ad Himmler assieme al rapporto, di 70 pagine con 49 immagini, che annunciava: "Il ghetto di Varsavia non esiste più". Pochi conoscono però la fotografia che segue, facente parte anch'essa del dossier di Stroop. Come non ammirare la fierezza dei ribelli che si lasciano fotografare ma mostrano il pugno chiuso e uno sguardo di sfida!

La fierezza dei ribelli del ghetto di Varsavia


I carnefici fotografano le loro vittime, nessuna empatia, solo una fredda documentazione di chi ritiene di aver compito una valorosa impresa militare contro donne e bambini inermi. 
Ma involontariamente il fotografo nazista offre la strada per recuperare la memoria in senso politico: studio, ricerca, comprensione, ascolto dei testimoni e delle vittime inermi sì, ma non solo. Viviamo in giorni in cui le verità non contano quasi più nulla: ci viene detto che il fascismo è cosa lontana, che non esiste più, che è possibile utilizzare l'immagine di Anna Frank per un "innocente" gioco  tra tifosi, che  destra e  sinistra sono termini ottocenteschi (anche se chi lo dice, appartiene quasi sempre a una  destra viscerale, dura a scomparire). 
Il fascismo rialza la cresta, protetto dall'ignavia e dal silenzio di chi non ha coraggio e non solo ha dimenticato, ma oggi si fa complice. Non basta più commuoversi alle parole dei sopravvissuti e gioire dei tempi mutati, che ingenuamente si valuta che non possano più tornare. 
Non è così: i fantasmi del passato vivono tra di noi e ultimamente si sono materializzati con azioni violente e codarde nello stesso tempo. 
Bisogna SAPERE che anche nella Germania degli anni trenta all'inizio si verificavano solo alcune azioni isolate di pochi esaltati..
Il sonno della ragione è facile ad esser innescato e in genere si appiglia ad un capro espiatorio mutevole nel tempo: ieri gli ebrei, poi i comunisti, poi gli stranieri, oggi i profughi.
Ascoltare i testimoni, attraverso le conferenze che organizza la mia associazione, non è una semplice operazione di rievocazione storica: deve essere il viatico* per una nuova resistenza.

*L'insieme delle cose necessarie per chi si mette in viaggio..

Post scriptum 1. 
Le vicende del ghetto di Varsavia sono state narrate al cinema innumerevoli volte. Imperdibile l'ultima uscita: "La signora dello zoo di Varsavia". Dopo il fotogramma riprodotto sotto, c'è una scena che, anche se si tratta di finzione cinematografica, per me sarà impossibile dimenticare: l'uomo che rischiando la vita aveva salvato centinaia di ebrei del ghetto si trova dinnanzi una fila di bambinetti che alzano le braccia fiduciosi per essere sollevati e caricati sul carro che dopo qualche secondo si chiuderà inesorabilmente alle loro spalle.






Post scriptum 2.
Jürgen Stroop aveva fatto solo le scuole elementari ed era un impiegato del catasto. A monito di chi esalta l'ignoranza come fattore rigeneratore.

Post scriptum 3. 
Il migliore articolo sulla vicenda del ritorno del re spadetta, che contribuì a mandare ad Auschwitz migliaia di italiani, lo ha scritto Lercio, ipotizzando la soluzione per la sepoltura definitiva: L'Italia in miniatura di Rimini...

sabato 16 dicembre 2017

Il ragazzo del '99 - 2




L'anno che cambiò il mondo








Segue da: Nonno Palmiro



Nonno Palmiro in realtà non aveva una grande opinione del suo, di nonno. A me raccontava i grandi discorsi che gli faceva quand'era piccolo, con gli occhi quasi lucidi rievocando le sue   mitiche imprese giovanili: l'occupazione delle scuole (roba da delinquenti!), i cortei con decine di  migliaia  di persone 


(ma come si ritrovavano assieme senza FB, Twitter, Whatsapp, Instagram e Flipagram, Snapchat, senza gli Streaks e Discovery, senza Skype e Face Time, senza Messenger, Groupme, Musical.ly, PicPlayPost?). E poi  le ragazze con la minigonna,   le libertà civili, la liberazione della donna, i diritti dei neri (l'origine di tutti i nostri problemi),


la voglia di discutere,  la"contestazione" di tutto e di tutti,  ma soprattutto l'illusione di poter cambiare il mondo. Quella miscela di eroismo dialettico, di ingenuità, di ormoni e di voglia di vivere, diffuso ai suoi tempi, ma già difficilissimo da comprendere per mio nonno anche da ragazzo. Eppure, mi diceva Palmiro, quella stagione dell'oro doveva essere esistita veramente, perché suo nonno, anche se lui lo considerava un po' svanito, non aveva la tendenza a raccontare favole. Anzi, raccontava anche di guerre terribili ma lontane e di bombe vicino casa, sui
treni, nelle piazze, la morte eroica dei magistrati, la corruzione, le clientele.. Sì, ma  nonostante tutto lui, figlio di operai, era riuscito a diventare uno scienziato. Proprio ingenuo e sprovveduto non doveva essere e con qualcosa di tecnologico doveva pur avere avuto contatti. Ma di quello che raccontava, si chiedeva mio nonno Palmiro? nessuna traccia..neppure nei libri di scuola. Come avevano fatto suo nonno e quelli come lui a disperdere tutto, i sogni, le speranze e anche quel poco di realtà che dicevano di avere costruito? come avevano fatto a lasciare in eredità a lui, ragazzo del '99, un mondo  freddo, asettico anche se meravigliosamente ipertecnologico, ma senza un futuro immaginabile, senza la carica umana di cui lui si vantava e che lo aveva fatto andare avanti nella vita. Già! avanti: da figlio di operai a professore universitario! e lui, Palmiro del ventunesimo secolo? percorso inverso.. Su questo mio nonno riusciva anche a piangerci su  e non per la nostalgia, ma per il dolore e la rabbia. 
(Segue in Le parrucche che cambiarono il mondo)

domenica 10 dicembre 2017

Il ragazzo del '99, 1



Nonno Palmiro 







Come a tutti i nonni, anche a Palmiro piaceva raccontare ai nipoti la sua vita, le sue storie anzi la "sua" storia. Un'attitudine che, assieme al nome, aveva ereditato da suo nonno e questi, a sua volta, dal rispettivo nonno, che però si chiamava Antonio ed era un ragazzo del '99 (1899). Ma a me non interessa tornare così indietro: mi fermo al mio di nonno, anche lui un ragazzo del '99, ma di un secolo dopo.

"Prima di tutto ti devo spiegare perché io mi chiamo Palmiro e perchè tu ti chiami Bill"- così iniziò il racconto mio nonno il secondo ragazzo del '99. E da lì fu un fiume inarrestabile: il suo racconto, passeggiando sul margine delle rovine della stazione ferroviaria dopo l'ultima tremenda incursione dei droni della concorrenza, si arricchiva ogni giorno di una nuova puntata e di nuovi particolari. Alcuni li capivo subito, altri li sto meditando ancora adesso, per cercare di dare un senso al disastro che mi circonda. I racconti di nonno Palmiro, costellati anch'essi di morti, di sparizioni, di eventi irrazionali e  di violenze, spaventose anche per i nostri occhi contemporanei abituati a tutto, mi apparivano tuttavia ambientati in una sorta di Eden, mai più riconquistato. 

Nonno Palmiro si chiamava così, perchè quando stava per nascere suo nonno, il 14 luglio del 1948, il bisnonno non ebbe cuore di rispettare la tradizione familiare e chiamare il suo primo figlio come nonno Antonio: era il nome dell'attentatore di Togliatti, tale Antonio Pallante, uno che  a quel tempo non valeva niente, ma che ai giorni nostri sarebbe diventato un'icona pop da un milione di like.  Ma quelli erano i tempi in cui i like si conquistavano nelle piazze e Palmiro, il nome di Togliatti, parve la soluzione giusta al neopapà, anche se tiepido riformista socialdemocratico. Non avrebbe sopportato che il suo erede portasse il nome di un vigliacco esaltato, che col suo gesto aveva rischiato di mandare in fumo la democrazia appena riconquistata.  E da allora la tradizione fu mantenuta ed arrivò sino a lui, secondo ragazzo del '99. 

Ne raccontava di cose, nonno Palmiro, ma le storie  più vive ed appassionanti erano quelle che a sua volta aveva sentito da Palmiro uno. Non aveva una grande dialettica il nonno; eccolo in una foto d'epoca che lo ritrae in una gita di classe (è l'ultimo a destra).
La sua generazione non era stata tanto abituata a leggere nè a parlare direttamente, sin quando,  dagli avvenimenti stessi, non fu costretta a risvegliarsi e ad accorgersi dell'enorme truffa, della prigione intessuta con vischiosi fili di ragno che qualcuno gli andava costruendo intorno. Ma andiamo con ordine.   
Nei racconti di nonno Palmiro avevano un grande spazio le vicende apprese da Palmiro uno; d'altra parte era stato l'unico modo per apprendere qualcosa del passato: per lui e i suoi coetanei sembravano esistere soltanto il presente, gli oggetti, la tecnologia dei devices digitali, tendenza inutilmente combattuta dagli ultimi Donchisciotte della scuola.  La carta, che suo nonno amava tanto nostalgicamente, praticamente non esisteva più. Inutile veniva considerato concentrarsi su un ragionamento, su una sequenza di fatti da mettere in ordine e spiegare, confrontando varie fonti: roba da trogloditi, da pensionati in alternativa ai cantieri edili. L'unica verità sembrava sgorgare vincente dalla rete, una sorta di neonata  Правда in formato digitale, sulla quale tutti si illudevano di essere pari. "Uno vale uno" diceva qualche furbacchione a quei tempi, pensando  che fosse stata raggiunta la vera democrazia dell'informazione o addirittura la democrazia tout court. Se ne dovettero accorgere solo qualche anno dopo e ad un prezzo altissimo. Questo diceva nonno Palmiro. (segue qui)

domenica 19 novembre 2017

Controcorrente: una follia collettiva




L'uscita da scuola






Non è necessario essere un fine giurista per comprendere che la questione posta dalla cosiddetta "sentenza" della Corte di Cassazione n. 21593 del 2017 è una fake new.

Intanto non si tratta di una sentenza, ma di un'ordinanza che non entra nel merito del fatto luttuoso (la morte di uno studente investito fuori dalla scuola)  ma si occupa di una questione banalmente patrimoniale e cioè l'inammissibilità del ricorso del Ministero  avverso la condanna al risarcimento del danno cagionato dall'evento. In sede penale, infatti, il giudizio si era concluso – come avviene spesso in Italia – con l’assoluzione dell’insegnante dell’ultima ora e del dirigente scolastico per l’estinzione del reato a seguito dell’intervenuta prescrizione, pur avendo individuato un profilo di colpevolezza degli imputati. 

Incidentalmente una delle motivazioni dell'inammissibilità  del ricorso è la correttezza delle motivazioni dei giudici di secondo grado sulle circostanze dell'incidente:  erroneamente il Ministero aveva insistito sul fatto  che l'incidente mortale fosse avvenuto fuori dalla scuola dove la scuola non ha più l'obbligo di vigilanza. I giudici di merito, invece, avevano emesso la condanna sulla base del regolamento d'Istituto che, nel caso specifico, prevedeva la sorveglianza da parte della scuola sino all'affidamento al personale in servizio negli scuolabus.
Ecco lo stralcio dal testo originale:



Dunque nulla è stato innovato dall'ordinanza della Cassazione, né potrebbe essere altrimenti, in quanto in Italia le sentenze si basano sulle leggi esistenti e non viceversa. Se  prima dell'ordinanza si poteva lasciare uscire i ragazzi da soli, si può anche adesso, viceversa se non si può adesso..non si sarebbe potuto neanche prima.. 

Ma mentre la condizione di analfabeta funzionale è tollerabile sul web dove qualsiasi cretino, stando alla definizione di U. Eco, ha la parola, è certamente  inammissibile in un dirigente scolastico e tanto meno in un ministro responsabile dell'istruzione. 
Che il ministro pensi a fare il ministro e non ad andare a prendere i nipotini a scuola..e a citare "leggi" che non ci sono o a ipotizzare soluzioni da inserire surrettiziamante nella legge Finanziaria.

Sul versante dirigenti forse non si tratta di analfabetismo, ma solo di paranoia o di mancanza di logica o di incapacità di assumersi quelle  responsabilità connesse alla funzione, guardando ad un'ottica leggermente più ampia della propria sicurezza personale (per altro tutelabile con un'accurata analisi della situazione reale e..di una buona assicurazione).
Mi sono chiesto cosa avrei fatto io, se un tale cancan fosse sorto ai miei tempi. Sicuramente avrei applicato, con la doverosa prudenza (cioè dopo un'analisi realistica della situazione concreta dei luoghi) il principio della "disobbedienza civile", lasciando tutto come prima. 

Lo stesso principio l'ho applicato ai tempi del "portfolio" di morattiana memoria; qualcuno se ne ricorda ancora? certamente no, perché era un'idea peregrina, uno spreco di tempo e di carta che si poteva ben prevedere non sarebbe servito a nulla. 

Nel caso dell'uscita da scuola dei baffuti adolescenti accompagnati, un comportamento alternativo, ma da ascrivere comunque al filone della disobbedienza civile, avrebbe potuto essere quello di far scoppiare le contraddizioni. Seguitemi. Se si ritiene che un minore di 14 anni sia abbandonato se non passato come un pacco da un sorvegliante all'altro (a tutto discapito dello sviluppo della sua autostima e della sua capacità di autoregolazione), perché accettare, all'inizio delle lezioni, minori che arrivano da soli, senza genitori, né nonne ministre, avallando la scorrettezza del comportamento parentale in odore di abbandono? Quindi sarebbe stato logico pretendere una dichiarazione di assunzione di responsabilità da parte dei genitori o, poiché i soloni della legislazione scolastica ci dicono che nessuna liberatoria ha valore effettivo, pretendere che i pargoletti giungessero a scuola di fatto accompagnati, minacciando la denuncia per abbandono di incapace (ovviamente in una comunicazione ironica).  Ci sarebbe stato da divertirsi.

Intanto mi sorge ancora un dubbio: i dirigenti delle scuole superiori verificano che gli studenti del primo anno minori di 14 anni siano prelevati? e quelli delle medie accettano che il ripetente di terza vada via da solo? e se sì, non si pongono il problema dell'evidente, diseducativa e discriminante disparità di trattamento?   

E per concludere, versante genitori: silenzio assordante e acquiescenza supina, ma se il pargoletto viene guardato storto da un insegnante, sono dolori, per quest'ultimo..


sabato 21 ottobre 2017

Controcorrente: Il referendum del 22 ottobre, 4




Tutti al mare!






Segue da: L'asino di Buridano 



Con questa esortazione Bettino Craxi scavò la sua fossa in occasione del referendum di Segni del 1991. Per chi non lo ricordasse, era allora in gioco l'abolizione delle preferenze dal sistema elettorale. Il popolo accorse in massa e decretò l'abolizione delle preferenze, giudicate origine di malaffare e di lotte fratricide. Come andò a finire nel giro di un paio d'anni è cosa nota. Craxi cadde sommerso dagli scandali e con lui la prima repubblica: dopo il Mattarellum, venne il Porcellum del leghista Calderoli, epilogo tragicomico di questa parabola democratica, poi fu la volta dell'Italicum, che finì come finì, e adesso tocca al Rosatellum, della serie "quando la farsa si tramuta in tragedia".
Quanti di quelli che allora votarono contro le preferenze, adesso si indignano perchè sono sparite dal rosatellum e da ogni altra proposta sinora in campo? Chi è senza peccato scagli la prima pietra, per usare a tutti i costi una frase fatta.
Altri più o meno nobili "tutti al mare" si sono susseguiti nella recente storia della morente seconda Repubblica: l'ultimo, indegno,  per le trivelle.
Il 22 ottobre, con un referendum simulacro,  senza tessera elettorale, ma con un improvvido quorum, siamo alla farsa. La posta in gioco  è senz'altro minore, rispetto a quelli istituzionali o meglio nazionali perchè anche questo, a suo modo lo è. 
Siamo alla serie: "vuoi bene di più a mamma o a papà?" oppure "vuoi il gelato piccolo o quello grande?".

Arrivato a questo punto non so più se questo articolo possa essere classificato nella sezione "controcorrente". Sì, perchè io non andrò (a votare), ma mi troverò questa volta assieme alla maggioranza...
Poco male: devo pur vincerla qualche votazione, ogni tanto!
L'arcipadano prima della conversione "nazionale"

Acquisteresti un'auto da questi uomini?

Così, tanto per precisare..

I risparmiosi lombardi, contenti loro..



La posizione del PD




lunedì 16 ottobre 2017

Controcorrente: il referendum del 22 ottobre, 3



L'asino di Buridano








Segue da Il trivio irrisolto


Nel novembre del 2012 inizia il balletto istituzionale autonomia-indipendenza: il Consiglio Regionale Veneto approva la "Risoluzione 44”, un odg che impegna il Presidente del Consiglio regionale e il Presidente  della Giunta  “ad attivarsi, per avviare urgentemente con tutte le Istituzioni dell'Unione Europea e delle Nazioni Unite le relazioni istituzionali che garantiscano l'indizione di una consultazione referendaria al fine di accertare la volontà del Popolo Veneto in ordine alla propria  autodeterminazione”. Bum!

Per due anni non se ne sente più parlare sinchè sotto la spinta del primo referendum fasullo (quello dei Serenissimi che dichiarano 2.360.235 votanti, pari al 73% degli aventi diritto al voto con 2.102.969 di sì, l'89 percento del totale, record da far invidia a Zivkov) il 19 giugno 2014,  il  Consiglio Regionale approva la Legge n. 15 “Referendum consultivo sull'autonomia del Veneto”.

All’art. 1 si legge "autorizza il Presidente della Giunta ad instaurare con il Governo un  negoziato volto a definire il contenuto di un referendum consultivo finalizzato a conoscere la volontà degli elettori del Veneto circa il conseguimento di ulteriori forme di autonomia della
Regione del Veneto” e all'art. 2 si ingiunge che “Qualora il negoziato non giunga a buon fine …, il Presidente della Giunta regionale è autorizzato ad indire un referendum consultivo per conoscere la volontà degli elettori del Veneto in ordine ai seguenti quesiti:
1) “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”;
2) “Vuoi che una percentuale non inferiore all'ottanta per cento dei tributi pagati annualmente dai cittadini veneti all'amministrazione centrale venga utilizzata nel territorio
regionale in termini di beni e servizi?”;
3) “Vuoi che la Regione mantenga almeno l’ottanta per cento dei tributi riscossi nel territorio regionale?”;
4) “Vuoi che il gettito derivante dalle fonti di finanziamento della Regione non sia soggetto a vincoli di destinazione?”;
5) “Vuoi che la Regione del Veneto diventi una regione a statuto speciale?”.
Una legge inutile e palesemente incostituzionale, in quanto tutti sanno che dal punto 2 in poi nulla possono dire le regioni: pura propaganda a spese dei contribuenti che pagano lo stipendio a questi cosiddetti consiglieri.


Ma non basta:  nello stesso giorno il Consiglio, colto da una irrefrenabile frenesia legislativa, approva anche la Legge n. 16,  “Indizione del referendum consultivo sull'indipendenza del Veneto”.
Qui all’art.1 si legge: "Il Presidente della Giunta regionale del Veneto indice un referendum consultivo per conoscere la volontà degli elettori del Veneto sul seguente quesito: “Vuoi che il Veneto diventi una Repubblica indipendente e
sovrana? Si o No?”.
Povero asino di Buridano, stretto incerto tra  due greppie o tra due baratri!
Il 29 giugno 2015 la Corte Costituzionale dichiara  ovviamente:
1. L' illegittimità costituzionale della legge n.16 e quindi del referendum sulla indipendenza in quanto proponente un quesito contrario al principio costituzionale dell'unità della Repubblica Italiana.
2. L' illegittimità costituzionale di una parte della legge n.15 per gli stessi motivi con cui viene bocciata la legge n.16 e, per quanto riguarda i quesiti fiscali, perché in contrasto con lo stesso Statuto del Veneto che (art.27, comma 3) che  non ammette referendum in materia tributaria. Che geni i legislatori regionali!
3. Dichiara l'ammissibilità del solo art.2, comma 1, 
numero 1 della legge 15. Su questa parte della legge il referendum può quindi svolgersi ed è quello che si voterà il 22 ottobre. 



Resta la strada della negoziazione, che per altro era stata già percorsa dal bieco  Galan già nel 2006, con l'approvazione della delibera di Giunta avente come titolo:   “Avvio del percorso per il riconoscimento di ulteriori forme e condizioni di autonomia alla Regione del Veneto, ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione”.

Si specifica che “le competenze che possono costituire oggetto di richiesta di attribuzione di ulteriori poteri alla Regione andranno individuate sia tra le materie di potestà legislativa esclusiva dello Stato, sia tra le materie di potestà concorrente della Regione. Tale individuazione non potrà che partire da quei settori, di maggiore impatto sui cittadini e sulle imprese, in cui la Regione del Veneto da sempre sente l'esigenza di esercitare una maggiore
autonomia”.


Nel 2007 la Regione procede in questo percorso con successivi provvedimenti della Giunta (DGR n.88 del 17 luglio 2007)  e del Consiglio (DCR n.98 del 18 dicembre 2007) che, raccolte le opinioni delle autonomie locali e di altre associazioni, individuano le materie in cui
chiedere competenze rafforzate, affidando al Presidente della Regione il mandato di aprire il negoziato con il Governo. Sin qui un minimo di coerenza e di competenza istituzionale. 
Il 18 gennaio 2008 il Presidente Galan scrive al Presidente del Consiglio Prodi per conoscere la data di avvio della negoziazione. 
Il governo cade però poche settimane dopo e la documentazione con la richiesta viene inviata al Presidente Berlusconi e al Ministro Bossi.
Il governo Berlusconi rinvia l’apertura del confronto al dopo approvazione della legge sul federalismo fiscale, fatto che avviene il 5 maggio 2009 con la Legge n. 42 “Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione" a cui seguiranno, fino al 2013, numerosi provvedimenti di legge applicativi (Decreti legislativi).
Il percorso però si ferma qui e la richiesta di un tavolo di confronto Governo-Regione rimane lettera morta. 

E' bene conoscere questo dettaglio "storico" per chiudere preventivamente la bocca a coloro che imputano lo stallo delle relazioni regione/Stato alla contrapposizione politica tra centro e periferia.

Ma torniamo all'asino di Buridano.

Un anno dopo la sentenza della Corte Costituzionale – il 15 marzo 2016 - la Giunta Regionale approva  il decreto n.315 “per attivare il negoziato con il Governo al fine del referendum regionale per il riconoscimento di ulteriori forme di autonomia…”.
L’obiettivo primario della legge è quello negoziare con il Governo il quesito del referendum consultivo previsto dalla legge regionale 15/2014.
Accanto a questa richiesta primaria si aggiunge un allegato dove vengono elencate le materie nelle quali si chiede maggiore autonomia.
L’elenco comprende due materie di competenza esclusiva statale: le norme generali sull'istruzione  (!!) e la tutela  dell’ambiente e dei beni culturali e nove materie (tutte) a competenza concorrente: tutela della salute, istruzione, ricerca scientifica, governo del territorio, valorizzazione dei beni culturali e ambientali, promozione attività culturali, rapporti internazionali e con la UE, protezione civile, coordinamento finanza pubblica.


Due giorni dopo, il 17 marzo 2016, il Presidente Zaia richiede formalmente al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro per gli Affari regionali l’avvio del negoziato sui contenuti del referendum.  Ecco la lettera: 




Due mesi dopo, il 16 maggio 2016, il Ministro per gli Affari regionali, Enrico Costa, mette per iscritto la disponibilità del governo ad avviare la procedura negoziale sull'autonomia. Ecco la risposta: 



Quanto al referendum consultivo per il quale Zaia aveva chiesto una trattativa sui contenuti, come si legge nella lettera il ministro ricorda che la Corte Costituzionale ha rilevato, sempre nella sentenza 118/2015 che esso “si colloca in una fase anteriore ed esterna al procedimento relativo all’art.116 e qualora avvenisse non è derogatorio ad alcuno degli adempimenti costituzionali necessari, ivi
compresa la consultazione degli enti locali”. In sostanza il Ministro chiarisce che il referendum consultivo non ha alcuna rilevanza nel percorso che porta alla maggiore autonomia. Il Ministro Costa torna a scrivere al Presidente Zaia il 17 febbraio del 2017 confermando la disponibilità del Governo ad avviare il negoziato e aggiungendo che, nel frattempo, le proposte pervenute dalla Regione Veneto (contenute nella DGR n.315) sono state trasmesse alle singole  amministrazioni interessate e i cui rappresentanti si sono riuniti individuando le modalità per sviluppare il rapporto con la Regione. 
Ecco la seconda lettera del ministro Costa:


Riassumendo: da una parte la Regione Veneto insiste per trattare con il Governo sui contenuti del referendum consultivo, dall’altra il Governo si dice pronto a negoziare questa richiesta di autonomia indipendentemente dal referendum, rimarcando però che i contenuti del quesito sono già stati indicati dalla Corte Costituzionale nella sentenza 118/2015 (e di conseguenza non possono essere oggetto di trattativa).

La risposta alla lettera del Ministro è affidata ad un comunicato stampa (CS n.674 del 16/05/2016) nel quale il Presidente Zaia contesta l’indisponibilità del Governo a trattare sui contenuti del referendum e dichiara quindi che l’unica strada rimasta, come prescritto dalla legge 15/2014, è quella di indire il referendum con il quesito indicato dalla Corte Costituzionale.

La Giunta Regionale a febbraio 2017 approva la legge n.7 che modifica in due punti l’art. 3 della legge n.15/201411.
Le modifiche riguardano:
1. Il giorno delle elezioni, previsto nella prima legge in concomitanza con la prima scadenza elettorale regionale, nazionale o europea, c.d. election day e che viene invece fissato per il 22 ottobre 2017;
2. L' organizzazione di una apposita campagna informativa;
3. Il finanziamento della campagna con una somma pari a 12 milioni di euro (precedentemente la norma finanziaria prevedeva oneri per 3,95 milioni di euro).

Ad aprile 2017 il Presidente Zaia, con il decreto n. 50, indice il “referendum consultivo sull’autonomia del Veneto”12.
Nel decreto il Presidente riconosce che il governo ha dato sì disponibilità ad avviare la procedura negoziale e di carattere concertativo di cui all’art. 116 della Costituzione, ma non quella di concordare il contenuto consultivo del referendum consultivo “a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale (che) con la sentenza n. 118/2015, ha superato il vaglio di costituzionalità il quesito individuato dall’articolo 2, comma2, numero 1 della legge regionale 19 giugno 2015 n.15”.
Pertanto, in ossequio al disposto della stessa legge  regionale, procede alla indizione del referendum consultivo “nei termini consentiti dalla Corte Costituzionale nella sentenza citata…”.
I costi per lo svolgimento del referendum consultivo sono indicati dall’art. 4 della legge regionale n.15/2015 “in complessivi euro 3.950.000” e dall’art. 4 della legge  regionale n.7/2017 “in euro 12.000.000”.

Cioè un totale di 16 milioni di euro.. sufficienti per costruire almeno 8 scuole di medie dimensioni o per aumentare le corse di autobus e di treni per i pendolari, per ridare fiato ad una sanità d'eccellenza tutta sulle spalle degli operatori,  o per qualsiasi altro progetto che la virtuosa regione Veneto avesse voluto implementare. 

Non vanno dimenticati, infine, i costi indiretti. Si calcola che un'ora di lezione nelle scuole di ogni ordine e grado costi circa 60 euro; per far svolgere i referendum le classi interessate alla chiusura delle scuole sono circa 3900, calcolate per difetto; ogni classe perde 10 ore di lezione, per un costo indiretto di 600 euro causato dal servizio non erogato, ma ugualmente oneroso. Il totale è di 2.600.000 euro! 
Segue in: Tutti al mare! 

Fonte delle immagini e dei riferimenti normativi: Dossier referendum, CISL


domenica 15 ottobre 2017

Controcorrente: Il referendum del 22 ottobre, 2



Secessione, federalismo e autonomia regionale: il trivio irrisolto.






Segue da I veneti parlano e pensano veneto

"Al  centro del mondo- si dice a Rialto- ghe semo noialtri: i venessiani de Venessia. Al de là del ponte de la Libertà, che porta in teraferma, ghe xè i campagnoli, che i dise de esser
venessiani e de parlar venessian, ma no i xè venessiani: i xè campagnoli. Al de là dei campagnoli ghe xè i foresti: coma­schi, bergamaschi, canadesi, parigini, polacchi, in­glesi, valdostani... Tuti foresti. Al de là dell’Adriati­co, sotto Trieste, ghe xè i sciavi: gli slavi. E i xinga­ni: gli zingari. Sotto el Po ghe xè i napo’etani. Più sotto ancora dei napo’etani ghe xè i mori: neri, arabi, meticci... Tutti mori".
Poichè la puntata di ieri ha dato origine alla quarantennale querelle dialetto/lingua, è meglio precisare che cosa si intenda per lingua:
"Una lingua è, nel significato più corrente, uno strumento di comunicazione, un sistema di segni vocali comuni ai membri di una medesima comunità. Il concetto di 'lingua' potrebbe quasi definirsi assiomatico, giacché per ogni essere umano è intuitivo che esista almeno un sistema di elementi significativi di cui far uso nella comunicazione servendosi della voce." (Accademia della Crusca)
Sull'affermazione del dialetto fiorentino su quello veneziano nella nascita della lingua nazionale in questo link vengono spiegate le ragioni anche per chi ha fretta.
Resta il fatto che si parla di dialetto veneziano e non di dialetto veneto, che come tutti sanno è di difficile definizione e delimitazione geografica.

Ma torniamo alle cose serie, si fa per dire..
Nel 1979 nasce la Liga Veneta di Franco Rocchetta e Marilena Marin,  movimento indipendentista e fautore della lingua veneta, che nel 1989 confluisce nella Lega Nord per l'Indipendenza della Padania.
Si arriva così al 15 settembre 1996, quando a Venezia, Umberto Bossi proclama l'indipendenza della Padania, "da
raggiungere entro un anno". Vi risparmio la cronaca delle boiate pazzesche delle camicie verdi, delle ronde padane e del tricolore nel cesso, ma quello era il clima e non va dimenticato. Adesso il vuoto viene colmato dalle ronde securitarie di forza nuova: al peggio non c'è mai fine!

L'afflato indipendentista si rivela ben presto per quello che è: una fantasia pseudopolitica, destinata a  scendere a più miti consigli,  ripiegando su un terreno meno astratto e più  congeniale ad un certo carattere padano (o umano?): i schei da sottrarre a roma ladrona; proprio negli stessi anni in cui gli ex duri e puri a Roma rubavano a man bassa,
Resistono comunque gruppi minoritari di velleitari fanatici che in qualche modo riescono a condizionare le politiche della lega che nel frattempo governa il Veneto da più di venti anni; più per demerito degli altri, che per merito suo aggiungerei. Sono gli anni del  “tanko” in Piazza San Marco del 1997 e del plebiscito farsa celebrato rigorosamente online sull’indipendenza del 21 marzo 2014. Ma sono anche gli anni delle secessioni interne allo stesso Veneto: dai movimenti per il passaggio di alcuni Comuni di confine al vicino  Friuli, a quello per l’autonomia speciale della Provincia di Belluno.
Questo clima che si autoalimenta e che viene abilmente alimentato dai capipopolo giunge però a condizionare nel concreto  le iniziative sul piano legislativo- istituzionale che riguardano lo status della Regione Veneto.
E così parte un percorso attorcigliato, contraddittorio e anacronistico che  si sviluppa, nel corso degli anni, su tre filoni:
1. L’indipendenza con la secessione dallo Stato Italiano e la proclamazione dello Stato Veneto.
2. Il riconoscimento di uno Statuto Speciale, avendo come riferimento ora il Friuli Venezia Giulia, ora la Provincia autonoma di Trento.
3. La richiesta di maggiore autonomia, utilizzando il tracciato costituzionale.

Nella prossima puntata: Le mosse dell'asino di Buridano






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