Nonno Palmiro
Come a tutti i nonni, anche a Palmiro piaceva raccontare ai nipoti la sua vita, le sue storie anzi la "sua" storia. Un'attitudine che, assieme al nome, aveva ereditato da suo nonno e questi, a sua volta, dal rispettivo nonno, che però si chiamava Antonio ed era un ragazzo del '99 (1899). Ma a me non interessa tornare così indietro: mi fermo al mio di nonno, anche lui un ragazzo del '99, ma di un secolo dopo.
"Prima di tutto ti devo spiegare perché io mi chiamo Palmiro e perchè tu ti chiami Bill"- così iniziò il racconto mio nonno il secondo ragazzo del '99. E da lì fu un fiume inarrestabile: il suo racconto, passeggiando sul margine delle rovine della stazione ferroviaria dopo l'ultima tremenda incursione dei droni della concorrenza, si arricchiva ogni giorno di una nuova puntata e di nuovi particolari. Alcuni li capivo subito, altri li sto meditando ancora adesso, per cercare di dare un senso al disastro che mi circonda. I racconti di nonno Palmiro, costellati anch'essi di morti, di sparizioni, di eventi irrazionali e di violenze, spaventose anche per i nostri occhi contemporanei abituati a tutto, mi apparivano tuttavia ambientati in una sorta di Eden, mai più riconquistato.
Nonno Palmiro si chiamava così, perchè quando stava per nascere suo nonno, il 14 luglio del 1948, il bisnonno non ebbe cuore di rispettare la tradizione familiare e chiamare il suo primo figlio come nonno Antonio: era il nome dell'attentatore di Togliatti, tale Antonio Pallante, uno che a quel tempo non valeva niente, ma che ai giorni nostri sarebbe diventato un'icona pop da un milione di like. Ma quelli erano i tempi in cui i like si conquistavano nelle piazze e Palmiro, il nome di Togliatti, parve la soluzione giusta al neopapà, anche se tiepido riformista socialdemocratico. Non avrebbe sopportato che il suo erede portasse il nome di un vigliacco esaltato, che col suo gesto aveva rischiato di mandare in fumo la democrazia appena riconquistata. E da allora la tradizione fu mantenuta ed arrivò sino a lui, secondo ragazzo del '99.
Ne raccontava di cose, nonno Palmiro, ma le storie più vive ed appassionanti erano quelle che a sua volta aveva sentito da Palmiro uno. Non aveva una grande dialettica il nonno; eccolo in una foto d'epoca che lo ritrae in una gita di classe (è l'ultimo a destra).
La sua generazione non era stata tanto abituata a leggere nè a parlare direttamente, sin quando, dagli avvenimenti stessi, non fu costretta a risvegliarsi e ad accorgersi dell'enorme truffa, della prigione intessuta con vischiosi fili di ragno che qualcuno gli andava costruendo intorno. Ma andiamo con ordine.
Nei racconti di nonno Palmiro avevano un grande spazio le vicende apprese da Palmiro uno; d'altra parte era stato l'unico modo per apprendere qualcosa del passato: per lui e i suoi coetanei sembravano esistere soltanto il presente, gli oggetti, la tecnologia dei devices digitali, tendenza inutilmente combattuta dagli ultimi Donchisciotte della scuola. La carta, che suo nonno amava tanto nostalgicamente, praticamente non esisteva più. Inutile veniva considerato concentrarsi su un ragionamento, su una sequenza di fatti da mettere in ordine e spiegare, confrontando varie fonti: roba da trogloditi, da pensionati in alternativa ai cantieri edili. L'unica verità sembrava sgorgare vincente dalla rete, una sorta di neonata Правда in formato digitale, sulla quale tutti si illudevano di essere pari. "Uno vale uno" diceva qualche furbacchione a quei tempi, pensando che fosse stata raggiunta la vera democrazia dell'informazione o addirittura la democrazia tout court. Se ne dovettero accorgere solo qualche anno dopo e ad un prezzo altissimo. Questo diceva nonno Palmiro. (segue qui)
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