Visita pastorale a Vicenza |
Il coraggio di dirlo e poi ...di farlo (1)
Periodicamente capita che un vescovo, nel compiere la visita pastorale alle chiese della sua diocesi, chieda di poter visitare anche le scuole non cattoliche. Di solito non è il vescovo in persona che avanza la richiesta, ma il parroco o un genitore zelante. E qui partono i guai per gli incolpevoli dirigenti, per gli insegnanti e il consiglio d'istituto nel suo insieme. Il perchè è presto detto: qualunque cosa si faccia si sbaglia. Se la richiesta viene gentilmente declinata, con gli argomenti logici e giuridici che esamineremo più avanti, ci sarà sicuramente qualche "defensor fidei", con o senza felpa, che farà partire la consueta campagna mediatica. Se la visita viene accordata, si viene meno ad uno dei cardini della laicità e indipendenza della scuola e non è escluso che qualcuno, giustamente, si risenta: quasi mai la critica parte dai genitori "stranieri". Le nostre scuole, infatti, sono frequentate anche da molti alunni che, indipendentemente dal luogo di nascita, non hanno avuto accesso all'insegnamento religioso per scelta della famiglia. Molti insegnanti, infine, anche se cattolici praticanti, percepiscono come cogente la laicità della scuola pubblica.
La normativa, la consuetudine e le leggi.
Per i vescovi, le visite pastorali sono regolate dalle istruzioni degli Apostolorum successores che fanno un elenco degli atti che il vescovo deve compiere durante la visita pastorale:
- la celebrazione dell'Eucaristia con il popolo;
- il conferimento delle cresime;
- l'incontro con il parroco e gli altri ecclesiastici della parrocchia;
- la riunione con il consiglio pastorale o con i parrocchiani impegnati nella parrocchia;
- l'incontro con il consiglio economico;
- l'incontro con i ragazzi del catechismo;
- la visita alle scuole cattoliche;
- la visita ai malati;
- l'esame dei luoghi sacri e ornamenti liturgici, libri parrocchiali e altri beni parrocchiali.
Per la scuola statale le norme sono dettate dagli arti. 3, 7 e 8 della Costituzione e dalla revisione dei patti lateranensi, del 1984, dove all'art.9.2 si legge:
La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado. Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento. All'atto dell'iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto, su richiesta dell'autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione.
Esiste poi la norma del DPR 416/74 che all’articolo 6 stabilisce che:
«Il consiglio di circolo o di istituto […] ha potere deliberante […] su criterî per la programmazione e l’attuazione delle attività parascolastiche, interscolastiche, extrascolastiche, con particolare riguardo ai corsi di recupero e di sostegno, alle libere attività complementari, alle visite guidate e ai viaggi di istruzione […] e sulla partecipazione del circolo o dell’istituto ad attività culturali, sportive e ricreative di particolare interesse educativo».
Le modifiche concordatarie del 1984, benché non intervenissero direttamente sulla materia, furono comunque la base di partenza per la stipula di una serie di Intese con le confessioni cristiane di minoranza (Tavola valdese nel 1984, Chiese avventiste nel 1988, Assemblee di Dio nel 1989), nonché con l’Unione delle Comunità ebraiche italiane (nel 1989). Queste intese, approvate con legge dal Parlamento, prevedono espressamente che le eventuali cerimonie religiose non debbano avvenire durante l’orario scolastico.
In seguito, il d.lgs. 297/1994 (Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione), recependo anche la normativa sottoscritta nelle Intese con le confessioni di minoranza, all’articolo 311 vietò espressamente, nelle classi nelle quali sono presenti alunni che abbiano dichiarato di non avvalersi di insegnamenti religiosi, di svolgere pratiche religiose in occasione dell’insegnamento di altre materie o secondo orari che abbiano comunque effetti discriminanti.
Una parola definitiva in merito la pronunciò la sentenza 250/93 del TAR dell’Emilia Romagna (poi confermata dalla sentenza 489/95 del TAR del Veneto e da altre ancora). Questa sentenza sancì l’illegittimità delle delibere di Consigli di circolo che disponevano lo svolgimento di pratiche religiose in orario scolastico, ravvisando che la celebrazione di liturgie o di riti religiosi rappresenta un’attività del tutto estranea alla scuola e alle sue attività istituzionali.
D'altra parte una recente sentenza del Consiglio di Stato, nel 2010, ha stabilito che «la visita pastorale non può essere definita attività di culto, né diretta alla cura delle anime secondo la definizione contenuta nell’art. 16 legge n. 222 del 1985, ma assume piuttosto il valore di testimonianza culturale».
E' acclarato quindi che
- non possono svolgersi atti di culto all'interno della scuola;
- che la visita pastorale non può definirsi atto di culto.
Detto questo, nella realtà odierna, i problemi restano tutti. Vedremo nei prossimi giorni una possibile soluzione.
Segue qui
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