mercoledì 26 dicembre 2018

Populismo o fascismo?







Nuovi ducetti crescono 








Il populismo è quella cosa con la quale o senza la quale la.... resta tale e quale.
(Definizione goliardica) 

Il populismo è l'anticamera del fascismo (definizione retrò)

Il populismo consiste nell'appellarsi al popolo per raggiungere obiettivi che non migliorano affatto la vita del popolo, ma che si rivelano esclusivo vantaggio (politico, elettorale, economico) di chi li persegue. (Definizione del populismo contemporaneo italiano).



Gli storici e i politologi ci spiegano che il termine populismo ha mille significati diversi, a seconda delle epoche e dei contesti. Anche la nostra Costituzione, per estensione si potrebbe definire populista (Art. 1- La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione).
Nell'accezione giornalistica corrente si dà del populista a quei leader che poco o nulla hanno del populismo socialisteggiante dell'ottocento o di un Maduro o di un Peron, ma che ugualmente tentano di accreditarsi come interpreti della volontà e delle aspirazioni del popolo. 
Si definiscono avvocato del popolo, si affacciano mussolinianamente ad un balcone, si vestono in divisa e dichiarano al mondo che il popolo è con loro. Quello dei "sessanta milioni di italiani sono con me"  si spinge un po' oltre e, nonostante la sua educazione da buona borghesia e da liceo classico, sbraca sovente e si atteggia a novello duce, che "se ne frega".
Piccoli ducetti crescono per solleticare le caratteristiche stratificatesi nei secoli nel perfetto italiano medio: l'eterna attesa che qualcuno da fuori gli risolva i problemi, il substrato reazionario da uomo d'ordine e di apparenza, da buon cattolico che in privato sa farsi gli affari propri, del cretino che ha fatto le scuole alte e magari ha rimediato una laurea, ma cretino resta perchè non va oltre la sua microspecializzazione. E sentirsi rappresentato ed interpretato da cretini di successo, piace all'italiano medio, al popolo forgiato dalle televisioni berlusconiane e  dall'insipienza della sinistra, poi "istruito" dalle magnifiche iperboli grilline del sacro blog ed ammesso democraticamente alla piazza mediatica, (vedi leoni da tastiera ) . 

Piace perchè non si sente più cretino dei leader, anzi si sente proprio come loro: approssimativo, bugiardo, voltagabbana, fedifrago, mammone, evasore, furbetto, ma gran lavoratore, amante della salsiccia e del tortellino, della divisa, che non potrà indossare perchè bocciato al concorso, di buon cuore purchè lontano dagli occhi, esperto di tutto, come si usava una volta al bar per le formazioni e le tattiche calcistiche e adesso per i vaccini e lo spread. (Questo lo dice lei!)  

Mi accorgo che più o meno nella ricostruzioni dei caratteri che in questo momento di pessimismo mi appaiono dominanti, ho ripercorso alcune delle caratteristiche del fascismo eterno, citate da U. Eco letto qualche anno fa. L'ho ripreso in mano e mi piace riprendere le parole conclusive di Eco :
"Sarebbe confortevole per noi se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: "Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!" Ahimè la vita non è così facile. L'ur-fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l'indice su ognuna delle sue nuove forme- ogni giorno in ogni parte del mondo. Do ancora la parola a Roosvelt (il discorso sul fascismo eterno fu pronunciato in inglese alla Columbia Univerity): " Oso dire che se la democrazia americana cessasse di progredire come una forza viva, cercando giorno e notte con mezzi pacifici, di migliorare le condizioni dei nostri cittadini, la forza del fascismo crescerà nel nostro paese" (4 novembre 1938)..      

L'idea di Eco di un fascismo strisciante e mimetizzato sotto svariate forme, le cui caratteristiche intrinseche richiamano però quelle del vero fascismo, ha avuto anche molte critiche tra cui quelle di Alberto De Bernardi nel suo nuovo saggio sul fascismo. 
De Bernardi su Radio Radicale

Recentemente Simonetta Fiori gli ha risposto su  Repubblica.

E’ legittimo evocare oggi il fantasma del fascismo? Di fronte al sovranismo xenofobo che occupa lo spazio politico italiano ha senso richiamare l’esperienza storica del regime mussoliniano? L’abuso della parola “fascismo” – con il risvolto grottesco dei fascistometri e dei giochi di società – sollecita la giusta reazione di molti studiosi che ci richiamano a una corretta interpretazione della storia. È evidente che al di là delle assonanze il paragone non regge: troppo distante il collasso dello Stato liberale negli anni Venti del XX secolo dalla crisi della democrazia nel XXI secolo riconducibile alla globalizzazione dell’economia e del mercato. L’allarme fascista suonato a vanvera – obiettano questi storici – finisce per annacquare la carica totalitaria del ventennio nero. E quando per ”fascista” si intende tutto ciò che è sgradevole, siamo completamente fuori dalla storia. Già nel 1946 George Orwell lamentava che «la parola fascismo ha perso significato, designando semplicemente qualcosa di indesiderabile». La citazione è contenuta in un intelligente saggio ora pubblicato da Donzelli, Fascismo e antifascismo, ad opera di Alberto De Bernardi, che ha presieduto fino al giugno scorso l’Istituto storico nazionale della Resistenza. De Bernardi appartiene al novero degli studiosi che respinge con fondati argomenti l’accostamento del fascismo storico all'attuale governo giallo-verde. Ma la sua critica si allarga anche all'uso metastorico del fascismo praticato da Umberto Eco nel suo Eternal Fascism – il discorso tenuto alla Columbia University nel 1995 – secondo il quale esistono degli archetipi come l’esaltazione del sangue e della  terra, il disprezzo per la cultura, il razzismo, la paura del diverso, l’antiparlamentarismo, l’irrazionalismo, l’antipacifismo, che come un fiume carsico circolano nei bassifondi della storia europea. A De Bernardi questa teoria dell'”Ur fascismo”, del “fascismo originario ed eterno”, appare di grande potenza simbolica tuttavia rischiosa, soprattutto nell'enfasi retorica e nei riflessi ideologici condizionati che possono derivarne («se ogni avversario di oggi è la reincarnazione di quello del passato, quale strategia si mette in atto per sconfiggerlo?»). Ma non rinuncia a farne oggetto di un’interpretazione storica: la percezione così diffusa del fascismo è comunque un fatto di cui lo studioso non può non tenere conto. E la sua spiegazione del perché questi fantasmi resistano tenacemente nell'immaginario di intellettuali, scrittori, giornalisti è affidata a un lungo periplo intorno al fascismo e all'antifascismo nella memoria pubblica italiana, con un approdo conclusivo: la difficoltà della storiografia e delle culture democratiche di fare i conti con la complessità dell’esperimento totalitario. Una difficoltà dispiegata in due direzioni diverse e opposte: sia nel protratto disconoscimento della modernità del regime mussoliniano sia nel suo annacquamento in banale governo autoritario. Quindi la colpa del passato che non passa, secondo De Bernardi, non è da attribuire solo a coloro che defascistizzano il fascismo, ma anche a chi agita la bandiera dell’eterna Resistenza, indicando piste false nel segno di un uso distorto della storia. L’auspicio finale è che la parola fascismo esca dal dibattito politico e che anche l’antifascismo si risolva pienamente in “una democrazia senza aggettivi” (in apertura De Bernardi definisce l’antifascismo un “di più etico-politico” di cui non hanno bisogno i paesi di più matura tradizione democratica come Germania, Francia o Stati Uniti). A parte la raffigurazione a tratti caricaturale dell’antifascismo e della sinistra intellettuale – non è solo quella che pascola tra i robivecchi ripetendo luoghi comuni sulla maledizione antropologica degli italiani: proprio nella storiografia italiana De Bernardi dovrebbe aver trovato più di una smentita – il nodo insoluto del saggio di De Bernardi risiede nella mancata risposta a una domanda. Oggi l’Italia rischia di battere un nuovo primato esprimendo nel ministro Salvini il leader europeo del populismo sovranista xenofobo che minaccia Bruxelles. Così come negli anni Venti del secolo precedente abbiamo inventato il fascismo esportandolo nel mondo. E negli anni Novanta abbiamo dato avvio al primo esperimento europeo di populismo telecratico con il volto sorridente di Berlusconi. Un fervore innovativo – nell'ambito della politologia – che pone una questione storiografica: esiste un filo rosso tra queste diverse esperienze politiche? Non esiste affatto, trattandosi di fenomeni storici incomparabili, ma allora come spiegare la nostra persistente inventiva nel segno della fragilità democratica? E siamo sicuri che il razzismo di oggi non abbia nulla a che fare con quello dei padri fascisti colonizzatori e con il nostro mancato esame di coscienza? In attesa che gli storici provino a darci una risposta convincente, ci teniamo stretto “il fascismo eterno” di Umberto Eco. Sarà pure rischioso navigare con le tavole metastoriche, ma è difficile non vedervi riflesso il buio di oggi.



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