domenica 30 ottobre 2016

Concerti d'Ottobre a Rubano

Dal Dixieland al jazz raffinato e colto di Ermanno M. Signorelli
E, come intermezzo, il salotto dell'800 italiano.


Fonte: associazionestoriaevita.blogspot.com



Quando si organizzano attività culturali o musicali di un certo livello il successo quantitativo tra gli spettatori è una conquista  sempre aleatoria. Così è successo che le prime due manifestazioni della rassegna dei Concerti d'Ottobre, abbiano avuto un successo enorme nel gradimento del pubblico, che però ha partecipato in misura minore del previsto. Un motivo in più non per desistere, ma per insistere: organizzare eventi culturali e in particolare concerti di musica "colta" non è infatti come organizzare feste della birra, sagre, mercatini o improbabili rievocazioni in costume. L'andamento è sempre altalenante, poiché la cultura e ancor di più la musica non sono una priorità per il grande pubblico. Così accanto a serate con le sale stracolme abbiamo avuto anche serate con poche decine di spettatori. Intanto vale la pena di andare avanti per chi viene e ritorna a casa divertito ed arricchito. Ma vale la pena anche perché... qualcuno deve pur farlo, se non si vuole perdere quel barlume di civiltà e di cultura che ancora ci rimane. Per altro chi è venuto, la maggior parte delle volte, ha potuto testimoniare a chi non ha fatto il piccolo sforzo di uscire da casa l'entità della perdita subita.
Un ringraziamento particolare, infine, va al pubblico sin qui intervenuto, caloroso, attento e competente. Ritengo un successo, quindi, anche una telefonata di una spettatrice, che ha espresso una garbata critica riguardo all'amplificazione e ai conseguenti problemi sonori del primo concerto.
  

Il ciclo dei concerti d'Ottobre si concluderà venerdì 4 novembre, con il jazz raffinato, intimistico e colto del trio Signorelli, Barbieri, Lion.

Rubano, Auditorium dell'Assunta - Via Palù 2

La Mestrino Dixieland Jass Band

Il basso Maurizio Franceschetti, che riempie i cuori e la scena


Il maestro Rossetto, impeccabile accompagnatore e interprete



Marco Martinello, tutt'uno con il suo inseparabile violino


In primo piano Omar Francescato, con la fisarmonica che ha i ruoli di un'intera orchestra

La formazione al completo: da sx Rossetto, Franceschetti,  Martinello, Francescato 

domenica 23 ottobre 2016

Instant book sul referendum, 2




Aggiornare la Costituzione







Guido Crainz, Carlo Fusaro - Aggiornare la Costituzione. Storia e ragioni di una riforma
Ed. Donzelli, € 16 (in rete, € 12,80)


La definizione di instant book per questo agile testo, scritto a quattro mani da uno storico e da un docente di diritto pubblico, è forse un po' riduttiva. Sicuramente la genesi è contingente: una richiesta editoriale  per rispondere sul mercato ad una esigenza di informazione e di ricostruzione storica, con l'urgenza del referendum che si avvicina. 
Il risultato è però notevole, in quanto, anche se gli autori, pur non svelandosi, sono schierati per il SI, ricorrono nel loro ragionamento ad evidenze storiche e giuridiche, rifuggendo dagli slogan. 
Pur nella sua brevità, il libretto offre, nella prima parte dovuta a Crainz, una ricostruzione storica del clima politico e del dibattito costituzionale del 1948. Si scopre, o si riscopre, che gli schieramenti allora erano ben diversi da adesso sia riguardo ai principi generali, che riguardo alle forme istituzionali. E si scopre che anche all'interno del medesimo schieramento politico l'orientamento muta col mutare degli eventi. La DC di de Gasperi che aveva strenuamente voluto pesi e contrappesi istituzionali (come la Suprema Corte e le regioni) ne rallenterà la realizzazione per decenni dopo la vittoria elettorale del 148 e la conquista dell'egemonia. 
E si scopre (o si riscopre) anche che il PCI di Togliatti di fatto considerava il bicameralismo un inutile orpello atto a rallentare la realizzazione della volontà popolare.
Ma farà bene a tutti leggere che allora "si ricercavano i punti di contatto per rifondare la Nazione" (La Pira) e "si costruiva la comunità, ponendo la democrazia come sostanza del nuovo stato" (Dossetti).   
Nella seconda parte del libro si entra nel merito dell'articolato. Il testo si conclude, quasi a specchio con il testo presentato qualche giorno fa (Loro diranno, noi diciamo ) proponendo un capitolo, intitolato appunto: "le critiche dei fautori del No e le risposte dei fautori del SI".
Da leggere, comunque, per rafforzare le proprie idee o per metterle in crisi; comunque per affrontare il quesito referendario al di là degli slogan. 

mercoledì 19 ottobre 2016

Instant book sul referendum,1



Loro diranno, noi diciamo







G. Zagrebelsky con f. Pallante - Loro diranno, noi diciamo - Vademecum sulle riforme istituzionali . ed Laterza. € 10 (in rete €8,50)


Che al prossimo referendum costituzionale gli elettori nel loro complesso vadano a votare con cognizione di causa, entrando nel merito e soppesando attentamente le conseguenze di una scelta o dell'altra è speranza vana.
E ciò per diversi ordini di motivi. 
Innanzitutto la complessità della materia. Sono stati infatti cambiati, in tutto o in parte, 47 articoli della seconda parte della Costituzione (mi ostino a scrivere il termine con la maisuscola..). In alcuni di essi le modifiche sono semplici, facilmente comprensibili come la cancellazione del CNEL,  il secondo argomento in ordine di importanza tra gli slogan del risparmio. (Storia, funzioni e costi del CNEL in questo link).
In altri articoli, però le modifiche sono molto più complesse e cariche di conseguenze; si pensi ad esempio all'art. 70, riguardante le funzioni del Senato.
Ma oltre alle difficoltà di lettura e di comprensione della complessa materia giocano altri fattori esterni, come la personalizzazione renziana del significato del voto, che immediatamente crea le tifoserie favorevoli o contrarie. 
Il referendum viene da molti visto come scorciatoia per la cacciata di Renzi o per il redde rationem all'interno del PD. 
A poco possono servire i dibattiti televisivi. Se si pensa ad esempio al confronto Renzi vs Zagrebelsky, tra gli spettatori ognuno è rimasto della propria opinione: chi si lascia stupire dalla dialettica renziana e dagli slogan da una parte, chi tenta un ragionamento nel merito ed è sinceramente preoccupato delle conseguenze, dall'altra, Renzi o non Renzi.
Chi volesse aprire uno sguardo più approfondito proprio sui rischi del cambiamento per il cambiamento troverà nel testo presentato oggi ampia materia di riflessione e un serio contraddittorio alla propaganda che vuole nella riforma un semplice snellimento di procedure o un'occasione di risparmio (e chi non le vuole!).
Ma soprattutto, attraverso l'analisi della concomitante legge elettorale (Italicum) e del suo iter parlamentare troverà materia di riflessione contro la vulgata che vuole far passare l'idea che si sta cambiando solo il sistema di funzionamento dello Stato e non, pur se in modo indiretto, i principi fondamentali riportati nella prima parte. E' proprio questo, invece, il focus del libro: la Costituzione non è intoccabile, a parte i principi fondamentali che regolano la convivenza civile, ma le modifiche apportate alla seconda parte depotenziano fortemente il valore della prima parte, poichè sottraggono sovranità al popolo. Mettono, infatti, la Repubblica nelle mani di una oligarchia, inamovibile, con buona pace di Scalfari,  e non controbilanciata adeguatamente dagli altri poteri dello Stato, senza alcuna possibilità da parte degli esclusi di reggere il salutare conflitto per la democrazia. (vedi qui)
Scrive Zagrebelsky: 
"dov'è svanita oggi la sovranità, che l'art. 1 della Costituzione pone al popolo e che l'art.11 autorizza a limitare, precisandone però le condizioni?" 
"E' superfluo ripetere che per molteplici ragioni il popolo sovrano è stato spodestato..."  
E più avanti: "ora la riforma non è altro che la codificazione di questa perdita di sovranità". 
 "La Costituzione è espressione della sovranità, se manca la sovranità non c'è Costituzione". 
Chi vuole salvarsi dalla spirale dell'emotività e degli slogan non deve fare altro che leggere questo agile libro o altri, anche a favore della riforma, che presenteremo nei prossimi giorni. Ma soprattutto andare ai dibattiti in contraddittorio con le persone fisiche, gli esperti presenti sul posto, a cui sottoporre domande e dubbi. Sempre che questi dibattiti sia consentito organizzarli.. 


lunedì 17 ottobre 2016

Alle origini del jazz


Di qua e di là dell'Oceano.
Dal ragtime, il dixieland e il blues americani dei primi decenni del secolo scorso allo swing italiano del primo dopo guerra






"Quando non sai cos'è, allora è jazz!" venne detto a Max Tooney, nella famosa scena de "La leggenda del pianista sull'oceano". Espressione attuale anche adesso quando sotto il termine di jazz si nascondono esperienze, risonanze, echi, tradizioni, modi di suonare, espressività e progetti tra i più disparati.  
Nel concerto di venerdì 21 ottobre a Rubano la band di Mestrino  fissa un determinato periodo della storia in continua evoluzione del jazz e propone un insolito confronto tra la musica che si suonava nei primi decenni del secolo scorso in America, come venivano detti allora gli Stati Uniti, e la musica italiana nel periodo tra le due Guerre Mondiali.
In "America" questa nuova, stranissima musica prende le mosse dal grande sconvolgimento sociale causato dalla Guerra di Secessione e dalla liberazione del popolo nero dalla schiavitù. Da questo sconvolgimento nasce il genere musicale detto “New Orleans”, praticato da musicisti neri o creoli. Questa grande città, alla fine dell’800 al centro di una tumultuosa espansione economica, offre ai neri, musicisti d'istinto,  un'ottima occasione per ottenere ingaggi in festeggiamenti, funerali, marce, intrattenimento in bordelli, saloon, sale da ballo e durante gli otto giorni del carnevale, lì conosciuto come Mardi gras
Con il termine “Dixieland”, invece, si suole definire il particolare modo di suonare lo stile New Orleans da parte dei musicisti bianchi.
Entrambi gli approcci discendono direttamente dal variegato mondo musicale della fine dell’800. Qui ai worksongs, tradizionali canti degli schiavi neri, e al Ragtime di matrice dotta, si affianca il nascente Blues, simbolo della riconquistata libertà dei neri che cercano di crearsi una nuova identità. Tutto confluisce nella frenetica attività di New Orleans, vero punto di incontro commerciale e sociale dove bianchi, neri e creoli, americani e immigrati francesi, spagnoli, italiani danno luogo ad una continua atmosfera di festa.
Ma un banale episodio, avvenuto nella New Orleans del 1917, genera la diffusione di questa fantastica, e fantasiosa, musica nel resto degli States. Infatti, all'entrata in guerra degli Stati Uniti, la flotta è alla fonda nel porto di New Orleans; il frequente verificarsi di incidenti, risse e accoltellamenti tra i marinai e gli avventori degli innumerevoli locali, più o meno equivoci nel quartiere a luci rosse detto Storyville, porta alla drastica chiusura dello stesso su ordine del comandante militare della piazza. Si chiudono così i luoghi dove i musicisti potevano esibirsi e non resta loro che risalire lungo il Mississippi verso tutte le metropoli americane. Qui il modo di suonare si affina e nel contempo arrivano le nuove forme di diffusione del suono come i dischi in gommalacca e la radio. Le minuscole orchestrine dei locali di intrattenimento divengono vere orchestre che scatenano la febbre del ballo con quel ritmo sincopato conosciuto come “Swing”.
Poco dopo, la Grande Crisi del ’29 investe anche il mondo dei musicisti, ed è così che alcuni di loro, in precedenza emigrati in America, tornano in Italia portando con sé la verve dell’innovativo modo di fare musica.
E in Italia come si suona in quel periodo?
L’Italia paga lo scotto della giovane età. Il Regno d’Italia, da poco unito sotto un’unica bandiera, è in fase di formazione sia sociale che culturale e pertanto musicale. Il vanto della “nazione italiana”, entità che preesisteva all'unificazione sabauda, era proprio il patrimonio musicale che attraversava la penisola con i grandi nomi della musica. Ma appunto perché grandi non consentivano il sorgere e lo svilupparsi della canzone popolare, relegata alle attività rurali o di intrattenimento popolare. Unica eccezione la canzone napoletana che, già a partire dal 1825, vanta una prima edizione di Passatempi musicali, raccolta di canzoni popolari, e nel 1839 vara il concorso canoro di Piedigrotta, funzionale, ovviamente, alla stampa e alla diffusione delle canzonette. Ricordi, Curci e Carisch, storiche case editrici attive fin dall’800, cominceranno solo agli albori del ‘900 a pubblicare canzoni di musica cosiddetta “leggera”.

Nel primo dopoguerra il contatto con l’America, inizialmente connotato solo dalla emigrazione forzata verso quei paesi, si riveste anche di valenze musicali: la musica che imperversa negli Stati Uniti giunge in Italia e si forma nei musicisti locali quel nuovo modo di suonare sincopato e moderno che viene conosciuto come “swing italiano”, dove eccellenti musicisti come Pippo Barzizza, Enzo Ceragioli, Gorni Kramer e molti altri si cimentano con nuove armonie e improvvisazioni che nulla hanno ad invidiare, per gusto e capacità tecnica, ai più numerosi colleghi d’oltre oceano.
Fonte: associazionestoriaevita.blogspot.com

domenica 9 ottobre 2016

Controcorrente: Mestrino e la regionale 11.




Nessuno vuole tornare indietro, ma..





..quando è troppo è troppo. Monta la rabbia e lo sconcerto tra i fin troppo acquiescenti abitanti di Mestrino per il ripetersi ormai quasi quotidiano degli incidenti di varia gravità lungo le strade della cittadina.
Sfoghi per strada, nel web, iniziative delle opposizioni, interviste, filmati, interrogazioni e mozioni. Realizzato il sogno di "chiudere il paese tra due rotonde", completati gli abbellimenti preelettorali delle piazze del centro e di Arlesega (che medievale era e medievale resta, nonostante la recente cementificazione) nulla si muove "colà dove si puote" e gli incidenti continuano.
Nell'ultimo consiglio comunale, la mozione di ViviMestrino sulla sicurezza, appoggiata dal M5S che già più volte era intervenuto in merito, è stata bocciata. Ma vale la pena di raccontare le modalità di questo piccolo, piccolissimo episodio, che riguarderebbe solo gli ostinati addetti ai lavori, se, in realtà, non coinvolgesse la vita, in senso letterale, di tutti i cittadini.
La mozione, che potete leggere cliccando qui, conteneva sostanzialmente un appello a farsi carico dei problemi della viabilità e della sicurezza stradale e ambientale, enumerando, a solo titolo esemplificativo, alcune ipotetiche soluzioni o strategie per ridurre i rischi.
Ebbene la mozione, con un evidente errore logico e procedurale, è stata trattata dalla maggioranza come una interrogazione, a cui dare risposte pseudotecniche,  con tono sprezzante e con aria di sufficienza. (Qui la registrazione, dal minuto 1.12.45").
Così si è appreso che:

  1. In statale è già tutto a norma (ma no!)
  2. Non si possono installare nuovi punti luminosi in prossimità delle rotonde per non incrementare l'inquinamento luminoso. (Al min. 1.20.40" della registrazione);
  3. I marciapiedi lungo le rotonde rispettano le norme vigenti (al min. 1.22.30");
  4. Non c'è disponibilità di fondi per anticipare la messa a norma antisismica della scuola da Vinci, ma dalla "risposta" (non richiesta) dell'assessore Mengato si capisce chiaramente che non verrà fatta mai, almeno da costoro. (Min. 1.28.14");
  5. "Gli incidenti che sono capitati in prossimità delle strisce pedonali sono addebitabili esclusivamente a piccole distrazioni". Così il sindaco al min. 1.34.20".
  6. Le rotonde tentano di rallentare il traffico e di "veicolarlo" (verso dove?). Sindaco al min. 1.35.50.
  7. A Mestrino è più facile che arrivi un meteorite piuttosto che un terremoto. Sindaco al min. 1.39.47".
  8. Nulla in risposta a Pinton sull'uscita da via Buonarroti, nonostante la ferita ancora sanguinante!!
Ma oltre all'errore logico, il comportamento della maggioranza ha evidenziato un errore politico, cioè l'incapacità di sempre di ascoltare, coinvolgere, condividere e con ciò affermare la propria potestà decisionale. Non è stata svolta nessuna considerazione di tipo politico, non è stato assunto alcun impegno, neanche del tipo "a questi problemi  ci pensiamo noi", oppure "ma ci abbiamo pensato già noi" o "stiamo facendo o sicuramente faremo, non c'è bisogno che ce lo diciate voi" (il congiuntivo è mio).
Peccato! perché il clima in paese e la tematica trattata ben si prestavano ad abbandonare sterili contrapposizioni e a lavorare insieme per il benessere e la sicurezza di tutti. 
Ma tant'è! Sembra di lottare contro i mulini a vento o, più propriamente contro un muro di gomma, che difende la propria debolezza ritraendosi. Ma non ho lasciato il consiglio comunale per questi  motivi, o per stanchezza o mancanza di passione civica, ma semplicemente per la consapevolezza che è arrivata l'ora di preparare il futuro. I miei compagni di cordata e il mio vicino-lontano collega dell'altra opposizione hanno non solo l'onere di lottare, pur se nel segreto della sala consiliare, tenendo alta la bandiera della razionalità, ma anche quello di guardare al 2018.
Sicuramente ci riusciranno tra un paio d'anni, o gli uni o gli altri, o un terzo incomodo che sappia interpretare al meglio il bisogno di rinnovamento e che aggreghi, anziché separare. Sicuramente, già da adesso, chi è impegnato in prima linea deve  mantenere alta la guardia, vigilando sui sempre possibili inciuci, sui riciclaggi, sui travestimenti e sui travisamenti, sulle piccole furbizie di clan, sugli accordi sotto banco dei soliti noti. Perchè altrimenti, se ne riparla tra vent'anni! 

sabato 8 ottobre 2016

Carlo Smuraglia, le ragioni del NO


Questo è ciò che vorrebbero..

Abbiamo veramente bisogno di meno politica?







Nell'articolo che segue si spiega tra l'altro perché le ragioni del No da sinistra sono molto diverse da quelle della destra, come una facile e demagogica propaganda vorrebbe far credere. Diverse da quelle della destra berlusconiana o ex berlusconiana che quella riforma iniziò a votare di buona lena per poi ritirarsi sdegnata dopo l'elezione di Mattarella. Diverse da quelle di chi vuole semplicemente mandare a casa Renzi (magari con qualche ragione) ma non entra nel merito delle questioni sul tappeto. Diverse da quelle dei 5 stelle, che spesso si limitano ad una propaganda genericamente anti-casta.


I sostenitori del “ SI’ “ (Governo e Partito Democratico in testa) stanno intensificando la campagna, utilizzando presenza di Ministri, illustrazioni di iniziative di Governo, argomenti di schietto carattere populista, lasciando sempre più sullo sfondo le questioni di merito. Salvo, poi, lamentarsi perché gli italiani e le italiane conoscono poco della riforma ed hanno bisogno di essere informati.
Prendo a caso due temi, frequentemente ricorrenti nelle parole e negli interventi soprattutto di Renzi: “diminuiamo i politici” e “la legge elettorale è meno importante della riforma del Senato, quindi possiamo anche cambiarla, se ciò è utile a chiarire le incertezze”. Due temi veramente non consoni ad una campagna referendaria che voglia davvero informare. Il primo: “mandiamo a casa (o diminuiamo) i politici”. Davvero abbiamo bisogno di meno politica?
Oppure ci occorre più politica, ma vera, seria, incorruttibile e disponibile a lavorare per il bene del Paese, e non per interessi particolari? Qui sta il grande equivoco che si vuole creare, approfittando della scontentezza di tanti cittadini di fronte a istituzioni e partiti. Ma ciò che non va, ed è evidente per tutti, è la cattiva qualità di questa politica, fatta di annunci, di dichiarazioni, di promesse, di “mance”; una politica che ci fa assistere allo spettacolo di più di duecento parlamentari che cambiano gruppo politico nel giro di pochi mesi, e certamente non per ragioni ideologiche; una politica in cui si cerca di salvare i corrotti dalle indagini giudiziarie e si vedono con sfavore le intercettazioni, che pure hanno reso grandi servizi alla causa della lotta contro la mafia e contro la corruzione.
Una politica in virtù della quale leggi importanti giacciono in Parlamento da tempo (parlo delle leggi sulla tortura, sullo jus soli, sulla giustizia, sulla prescrizione, e così via) non per il rimpallo tra Camera e Senato, ma perché c’è chi ne ostacola l’iter, per ragioni di partito o di gruppo.
Davvero, tutto questo si risolve mandando a casa un po’ di “politici “? Oppure si tratta solo di un modo di rivolgersi alla “pancia” - come si dice con una brutta espressione – anziché alla ragione? Qui sta proprio il peggior populismo:
sollecitare gli istinti più elementari, per evitare il ragionamento serio e gli argomenti, veri, che occorrerebbe trattare.
Si pensi alla diminuzione di parlamentari, dichiarata a gran voce come un fatto decisivo. Ma perché si vorrebbero mandare via duecento Senatori, lasciando intatto il numero dei Deputati? Perché quelle dei Senatori sarebbero “poltrone” e quelle dei Deputati no? In molti interventi, ho chiesto – invano - perché, volendo ridurre il numero complessivo dei parlamentari per ragioni di funzionalità, non si è pensato ad una riduzione proporzionale tra le due Camere.
Eliminando duecento deputati su seicentotrenta e cento senatori su trecentoquindici, si sarebbe ottenuta una riduzione equamente ripartita ed un “risparmio” maggiore, perché alla fine, invece di duecento posti in meno - previsti da questa legge di riforma - ce ne sarebbero stati addirittura trecento.
Non lo si è fatto e non si riesce a ottenere una spiegazione, solo perché l’intento era semplicemente quello di svilire il Senato. Non c’entrano le poltrone, non c’entra la politica (che ha bisogno di essere riformata, ma in ben altro modo) e non c’entra il risparmio, già modestissimo, ma che nell'ipotesi di una riduzione proporzionale tra le due Camere sarebbe stato addirittura maggiore.
Dunque, non ci raccontano la verità e non ci dicono quali sono i reali propositi.
Inoltre, lo fanno cercando di approfittare di alcuni sentimenti (taluni anche giusti) che corrono tra i cittadini, per ottenere un risultato che non va nell'interesse del Paese, ma in quello del partito che, ipoteticamente, vincerebbe le elezioni, avrebbe la maggioranza assoluta alla Camera e non troverebbe più ostacoli al Senato.

E non ci si dica che non proponiamo nulla. Fra l’altro, sosteniamo da tempo la necessità di una rigenerazione, di un rinnovamento della politica; e lo sosteniamo sempre, chiarendo che non è questione di numeri, ma di comportamenti, di obbedienza al dettato dell’art. 54 della Costituzione che vuole che le funzioni pubbliche siano esercitate con “disciplina e onore” ed a quello dell’art. 49, che vuole che i partiti siano associazioni democratiche che
consentono ai cittadini, per loro mezzo, di “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. E ancora: è il caso di farla finita con l’assunto, più volte “gridato”, che se non passa questa riforma, se ne riparlerà
fra vent'anni. Ma perché mai? Alla Costituzione si è messo mano più volte (sedici) dal 1948 in poi, ed altre volte si è tentato di farlo, non trovando poi il consenso necessario (una volta nello stesso Parlamento ed un'altra da parte dei
cittadini). Se non passa la riforma, nulla impedisce di discutere, da subito, su quell'aggiustamento del “bicameralismo perfetto” che si potrebbe fare in poche settimane, con un consenso diffuso. E addirittura si potrebbe approfittare dell’occasione per fare ciò che ora non si è fatto (favorire davvero la partecipazione dei cittadini alla produzione legislativa; definire uno Statuto delle opposizioni e così via). Sarebbe sempre buon tempo per compiere finalmente quella “rigenerazione della politica” cui più volte abbiamo fatto - invano - riferimento. L’altro grande tema sul quale si cerca di influenzare la campagna referendaria è quello relativo alla rilevanza della legge elettorale. Dapprima c’è stato detto che la legge elettorale non c’entra con la riforma del Senato, ma poi sono stati smentiti dalla Corte Costituzionale che, rinviando a dopo il Referendum l’esame della legittimità dell’Italicum, per non influenzare la campagna in corso, ha dimostrato che c’è un intimo nesso. A questo punto, si è dovuto riconoscere che la legge elettorale c‘entra, eccome, visto che il “combinato disposto” con la riforma del Senato è tutt'altro che un parto della mente dei sostenitori del “ NO “, ma un’effettiva e pericolosa realtà, così che si è cominciato a dire che la legge elettorale si può anche cambiare. E’ singolare che ora “tutti” lo chiedano, questo cambiamento, naturalmente non nell'interesse del Paese, ma ciascuno nel proprio. Alla fine, Renzi ha “ceduto” ed ha cominciato a dare la sua disponibilità. Strano, perché quella legge gli piaceva molto, al punto da imprimerle un corso del tutto peculiare, con l’azzeramento
degli emendamenti, il rigetto di ogni sorta di miglioramento ed infine, col sottoporla al voto finale con la fiducia. E’ del tutto evidente che questa “disponibilità” è dovuta all'intento di accontentare qualcuno, all'interno del Governo e qualcuno anche all'interno del suo Partito. Ma davvero una legge elettorale può cambiare per ragioni come queste? Ed ancora, perché mai non si parla, se non a denti stretti, del vistoso premio di maggioranza e ancor meno dei cento nominati? Bisogna avvertire i cittadini che non si tratta d’altro che delle classiche “promesse da marinaio”; posto che, prima del 4 dicembre, non è materialmente possibile l’introduzione di qualsiasi modifica. Tutto il resto sono chiacchiere, promesse, parole al vento, che si dissiperanno – dopo il 4 dicembre – come nebbia al sole. Oppure, finiranno, comunque, nel nulla, nella impossibilità di raggiungere qualche punto fermo, su un tema sul quale ci sono tante idee diverse quanti sono i partiti e i gruppi parlamentari. Nel frattempo resta intatto il disegno complessivo: la conquista della maggioranza assoluta alla Camera, senza avere un vero contropotere in un Senato ormai svirilizzato.
E’ tutto qui, il nocciolo del problema. L’abbiamo detto più volte: a noi questo disegno non piace, non per una questione di “ gusti “, ma perché lo riteniamo pericoloso per il Paese, che ha diritto ad un vero sistema democratico, sia per quanto riguarda la legge elettorale, sia per ciò che attiene all'esistenza di due Camere, con alcune differenziazioni tra loro, ma parimenti valide, sul piano del
bilanciamento dei poteri.
Carlo Smuraglia, da ANPI news n. 217

Approfondimenti: la Costituzione vigente e le modifiche con testo a fronte

venerdì 7 ottobre 2016

Referendum 4 dicembre 2016, 3




Le ragioni del No in piccole dosi









Sei ragioni per votare NO alla proposta di modifica costituzionale. Contributo di Roberto Monti, docente universitario, membro del Comitato del NO

Segue da: il Senato e le autonomie

Il famigerato "combinato disposto"

Infine, in combinazione con la legge elettorale italicum la modifica costituzionale:

5) Dà un eccesso di potere ad una minoranza. L'italicum attribuisce un consistente premio di maggioranza alla Camera ad una lista che ha il consenso anche solo di un 30% o meno dei cittadini votanti. In questo modo, una minoranza controlla Camera e Governo, e -a seconda dei casi- anche Senato, Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale, quindi tutto lo Stato. La modifica apre la strada alla dittatura di una minoranza e all'instaurazione di un governo oligarchico nelle mani di pochi.
Non possiamo prevedere quale minoranza prenderà il sopravvento nè cosa imporrà alla maggioranza dei cittadini. È meglio mantenere un quadro istituzionale equilibrato che ci protegga da abusi e imposizioni.

6) Rende possibile una totale concentrazione dei poteri. Secondo la proposta di modifica costituzionale, il Presidente della Repubblica è eletto da Camera e Senato (630+100=730 elettori). L'Art.21 prevede che dal settimo scrutinio sia sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti. Ci sono ora due casi.
Se Camera e Senato avranno maggioranze conformi, la maggioranza dei tre quinti viene raggiunta grazie al premio di maggioranza italicum. Dunque, una minoranza controllerà non solo Camera e Governo, ma anche il supremo organo di garanzia, il Presidente della Repubblica (ed anche la Corte Costituzionale).
Se invece Camera e Senato avranno maggioranze in conflitto, allora il premio di maggioranza non sarà sufficiente per raggiungere i tre quinti e la modifica costituzionale non prevede una procedura certa per eleggere un Presidente della Repubblica.
La modifica introduce nella Costituzione alternativamente una completa concentrazione dei poteri oppure il pericolo di una paralisi di sistema.

Approfondimenti: La Costituzione vigente e le modifiche con testo a fronte

giovedì 6 ottobre 2016

Referendum 4 dicembre 2016, 2



Le ragioni del NO, in piccole dosi



"Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti"


Sei ragioni per votare NO alla proposta di modifica costituzionale. Contributo di Roberto Monti, docente universitario, membro del Comitato del NO.
Segue da Referendum 1

La separazione dei poteri.
3) Violazione della separazione dei poteri. L'art.12 dà al Governo il potere di costringere la Camera a deliberare in via definitiva entro 70 giorni su un disegno di legge del Governo. La Camera è interamente subordinata all'agenda politica e all'ordine di priorità decisa dal Governo. La modifica annulla la separazione fra potere esecutivo del Governo e potere legislativo della Camera.
La separazione dei poteri è un principio basilare della democrazia che ci protegge da ogni possibile abuso dell'uno o dell'altro. È meglio mantenere in Costituzione la separazione dei poteri.

L'autonomia regionale
4) La proposta introduce ulteriori forme di centralismo. Nell'art. 31 si allunga l'elenco delle materie su cui lo Stato centrale ha legislazione esclusiva, aggiungendo ricerca scientifica e tecnologica, energia ed infrastrutture,
ordinamento delle professioni, comunicazione e governo del territorio. Alle Regioni non sarà consentito approvare leggi su queste materie. Inoltre, viene introdotta una esagerata “clausola di supremazia” dello Stato centrale sulle Regioni (nuovo Art.117, punto 4).
La proposta ha una chiara impronta centralista.  Aumenterà l'inefficienza del sistema politico ed amministrativo e diminuirà il controllo democratico del popolo sulla politica non solo del Governo ma anche di Regioni e Comuni. (segue qui)

mercoledì 5 ottobre 2016

Referendum 4 dicembre 2016, 1



Le ragioni del NO, in piccole dosi







Sei ragioni per votare NO alla proposta di modifica costituzionale. Contributo di Roberto Monti, docente universitario, membro del Comitato del NO


Senato, bicameralismo imperfetto
1) Viene tolto ai cittadini il diritto di eleggere e di essere eletti in Senato. Il diritto di essere eletti in Senato viene ristretto ai soli consiglieri regionali e sindaci della Regione. Il diritto di eleggere i membri del Senato viene riservato ai soli consiglieri regionali. L'idea che i cittadini possano indirettamente eleggere il Senato non è presente nel testo di modifica costituzionale (Art.2 e prima disposizione transitoria). 
L'Art.1 della Costituzione attribuisce la sovranità al popolo. Le modifiche proposte istituiscono invece un Senato con importanti funzioni legislative e politiche sottratto alla sovranità diretta, attiva e passiva, dei cittadini. La modifica è in contrasto con la Costituzione, diminuisce la democrazia e riduce il controllo dei cittadini sullo Stato.

2) Dal bicameralismo paritario al bicameralismo confuso. La
proposta di modifica attribuisce alla sola Camera il potere di votare la fiducia al Governo. Il Senato, tuttavia, mantiene importanti poteri. Insieme alla Camera esercita la funzione legislativa su revisioni costituzionali, referendum e leggi elettorali, organi di governo, funzioni di Comuni e Città metropolitane, formazione e attuazione delle politiche EU, trattati internazionali, minoranze linguistiche (Art.10). Su tutte queste materie rimane la regola del doppio voto conforme. Può deliberare proposte di modifica ad ogni altra legge, compresa la legge di bilancio (Art.10). Partecipa alla elezione del Presidente della Repubblica (Art.21). Nomina due giudici della Corte Costituzionale (Art.37). Si crea dunque la seguente situazione: in caso di maggioranze difformi in Camera e Senato, il Parlamento sarebbe incapace di produrre leggi sulle materie comuni, ad esempio in campo costituzionale o elettorale. 
Più in generale, la modifica è costretta ad introdurre un sistema complicato di regole per chiarire, a seconda del tipo di legge, le procedure con cui Camera e Senato devono  arrivare ad approvare le leggi. Il risultato è che l'art.70 della Costituzione sulle procedure legislative, attualmente lungo 2 righe, viene allungato a 74 righe. Le troppe procedure diverse aumentano i rischi di conflitti istituzionali. (L'art. 70, approfondimenti qui)
Il passaggio dal bicameralismo paritario a quello confuso avrà due conseguenze. Crea un rischio di paralisi su temi delicati e introduce complicazioni che fanno male alla Costituzione, aumentando l'inefficienza delle istituzioni. 

Meglio sarebbe stato allora eliminare del tutto il Senato. (Segue qui)

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