domenica 20 marzo 2016

Controcorrente: un referendum "quasi" inutile



Not in my back Yard






La consueta accelerazione, questa volta sulla data del referendum no-TRIV, ben si addice ad un governo frettoloso (o frottoloso?), sempre disponibile ad entrare in rotta di collisione con le proprie pretese "risparmiose".
La fretta di buttare a mare 300 milioni di euro non accorpando referendum e comunali (tanto costerà il referendum, cioè l'equivalente della costruzione di 150 scuole!), oltre al desiderio, inconfessabile ma non tanto, di non far raggiungere il quorum nasconde una strategia più sottile. Votare più tardi, infatti,  avrebbe permesso alla Corte di risolvere il conflitto di attribuzione sollevato da diverse regioni,  che avrebbe potuto portare ad altri due ben più corposi e sostanziali quesiti. (vedi approfondimenti)
Quindi quello che resta è un quesito minimale, dalla valenza puramente simbolica, ma quanto basta per far compiere alle serafica Serracchiani la sua ennesima giravolta: da arrabbiata e polemica new entry della politica a vestale dell'establishment  renziano, da attivista anti trivelle a vestale della resistenza...governativa.
Certo un partito di governo artefice delle leggi impugnate, se avesse un minimo di coerenza politica e di serietà istituzionale e culturale, non si defilerebbe dalla competizione e spiegherebbe, sostenendole, le ragioni del no, che, come vedremo più sotto, non sono totalmente infondate.
La realtà è che il quesito è proprio inutile e l'eventuale esito positivo, cioè la vittoria dei si, avrebbe un valore pratico vicino allo zero, pur conservando una sicura valenza simbolica, un segnale forte sul desiderio di cambiamento delle politiche energetiche del paese. Ma se poi farà la fine di quello sull'acqua bene comune?
Allora votiamo pure si, ma sapendo almeno che il quesito è in realtà poco più che una presa in giro.
Eccolo: 

Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita’ 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale?"

Cosa vuol dire in concreto?
Che la vittoria del si non fermerà assolutamente le trivelle esistenti, nel raggio delle 12 miglia, ma semplicemente impedirà il rinnovo delle concessioni alla scadenza anche in caso di non esaurimento del giacimento. E qui si andrebbe comunque dagli 8 ai 30 anni di prosecuzione, in relazione alla data d'inizio dello sfruttamento.


Da sapere, inoltre, che è già previsto che non siano concesse ulteriori autorizzazioni per il futuro sempre nel raggio delle 12 miglia, mentre per distanze maggiori, quale che sia l'esito del referendum,  si potrà continuare a farlo. Cosa che nessuno potrà impedire, per altro, ai paesi confinanti, nelle proprie acque territoriali. Una situazione simile a quella delle centrali nucleari, vietate in Italia e presenti a 50 chilometri dal confine.
Da aggiungere che il 90% dell'estratto dalle attuali trivelle è costituito da gas metano, tra gli idrocarburi fossili, quello assolutamente non inquinante.
Bene, diamo comunque un segnale, ma con il pessimismo della ragione e soprattutto sapendo che chi evoca scenari apocalittici sta mentendo o, volendo essere più benevoli, semplicemente ignora la realtà e i concreti contorni del problema.

Per approfondire: Le ragioni del si e del no

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