1915: Il salvataggio dell'esercito serbo.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
"L’Atlantico o il Pacifico sono i mari delle distanze, il Mediterraneo è il mare della vicinanza, l’Adriatico è il mare dell’intimità". Così scrive Pedrag Matvejevic nel suo "Mediterraneo, un nuovo breviario"; allo stesso modo introduce le sue memorie Giuseppe Marchionna, il sindaco "ragazzino" che si trovò ad affrontare nel marzo del 1991 l'ondata di arrivi a Brindisi di migliaia di albanesi.
Ma Brindisi non era nuova a grandi manifestazioni di generosità ed accoglienza tutta mediterranea.
Sfregiata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e dalla chiusura successiva delle centinaia di cantine vitivinicole, che rimangono come scheletri osceni e putrefatti sulla strada per san Vito, testimoni di una ormai antica ricchezza, Brindisi appare oggi popolana e altera, prigioniera dell'antica nobiltà ma anche alla ricerca di nuove vie. E' una città apparentemente sonnolenta, ma ricca di iniziative sociali e culturali che con la nuova amministrazione di Riccardo Rossi hanno ripreso slancio.
Nelle calde serate estive si ritrova tutta in corso Garibaldi e scende sino al mare, una "riva" meravigliosa che guarda il grande porto naturale bicefalo e che nulla ha da invidiare a marine più famose.
Le colonne romane sono cornice naturale, lo sguardo si spinge al monumento al marinaio, anch'esso testimone di una più recente grandezza e al Casale verdeggiante, da cui il vaporetto, come a Venezia, fa continuamente fa la spola: un angolo di mondo che è difficile non portare nel cuore anche se si è lontani.
Sullo sfondo: la Capitaneria di Porto. |
Però pochissimi anche tra i brindisini di lungo corso, durante le loro passeggiate al porto o in attesa del traghetto per il Casale, notano le lapidi murate alla facciata della capitaneria di porto.
Eppure queste testimoniano in poche parole di che materia sia fatta l'anima della città e come venga da lontano la sua tradizione di ospitalità e generosità e l'efficienza della sua Marina.
Nel dicembre del 1915, sotto l'offensiva austroungarica, l'esercito serbo in rotta si era rifugiato in Albania le cui coste erano presidiate dalle navi italiane. Nella fuga verso sud erano morti 300.000 soldati; i superstiti, circa 115.000, unitamente a 60.000 civili e a 20.000 prigionieri austriaci vennero traghettati, con una gigantesca operazione umanitaria dal porto di Valona a Brindisi. A Brindisi sbarcarono anche i regnanti di Serbia e Montenegro.
L'operazione fu guidata dal comandante in capo dell'Armata navale il Duca degli Abruzzi, che coordinava l'intervento di 102 navi italiane, 25 navi francesi e 11 inglesi.
Si trattò di un'operazione insieme strategica ed umanitaria. Strategica perché in seguito la Serbia avrebbe potuto ricostituire il proprio esercito contribuendo alla conclusione positiva della guerra. Umanitaria, non solo verso gli alleati in pericolo, ma anche verso i 20.000 prigionieri austriaci, in precarie condizioni sanitarie e ammalati di tifo e il colera.
Gli austriaci furono dirottati in un campo costruito ad hoc nell’isola dell’Asinara, in cui rimasero sotto le cure dei medici, sempre disponibili a salvare vite umane, e dell'esercito italiano sino alla fine della guerra.
Così si usava una volta!
La storia ha un piccolo epilogo: a distanza di 8 anni, nel febbraio del 1924 venne organizzata a Brindisi una grande manifestazione popolare in ricordo degli sforzi eroici della nostra Marina. Parteciparono ampie rappresentanze politiche serbe. Il mese precedente era stata risolta la questione fiumana grazie al diplomatico Salvatore Contarini, che era riuscito miracolosamente a proseguire, agli albori del fascismo, la politica balcanica di amicizia perseguita in precedenza dalla stato liberale.
Durò poco: nel gennaio del 1925, dopo avere vinto a "suo modo" le elezioni politiche del 1924, Mussolini instaurò la dittatura. Nel frattempo il fascismo di confine aveva iniziato in Istria la deprecabile opera di italianizzazione forzata sotto la spinta del più sfrenato e miope nazionalismo: sappiamo come andò a finire. (P.A.M.) (segue)
Nel dicembre del 1915, sotto l'offensiva austroungarica, l'esercito serbo in rotta si era rifugiato in Albania le cui coste erano presidiate dalle navi italiane. Nella fuga verso sud erano morti 300.000 soldati; i superstiti, circa 115.000, unitamente a 60.000 civili e a 20.000 prigionieri austriaci vennero traghettati, con una gigantesca operazione umanitaria dal porto di Valona a Brindisi. A Brindisi sbarcarono anche i regnanti di Serbia e Montenegro.
L'operazione fu guidata dal comandante in capo dell'Armata navale il Duca degli Abruzzi, che coordinava l'intervento di 102 navi italiane, 25 navi francesi e 11 inglesi.
Si trattò di un'operazione insieme strategica ed umanitaria. Strategica perché in seguito la Serbia avrebbe potuto ricostituire il proprio esercito contribuendo alla conclusione positiva della guerra. Umanitaria, non solo verso gli alleati in pericolo, ma anche verso i 20.000 prigionieri austriaci, in precarie condizioni sanitarie e ammalati di tifo e il colera.
Gli austriaci furono dirottati in un campo costruito ad hoc nell’isola dell’Asinara, in cui rimasero sotto le cure dei medici, sempre disponibili a salvare vite umane, e dell'esercito italiano sino alla fine della guerra.
Così si usava una volta!
La storia ha un piccolo epilogo: a distanza di 8 anni, nel febbraio del 1924 venne organizzata a Brindisi una grande manifestazione popolare in ricordo degli sforzi eroici della nostra Marina. Parteciparono ampie rappresentanze politiche serbe. Il mese precedente era stata risolta la questione fiumana grazie al diplomatico Salvatore Contarini, che era riuscito miracolosamente a proseguire, agli albori del fascismo, la politica balcanica di amicizia perseguita in precedenza dalla stato liberale.
Durò poco: nel gennaio del 1925, dopo avere vinto a "suo modo" le elezioni politiche del 1924, Mussolini instaurò la dittatura. Nel frattempo il fascismo di confine aveva iniziato in Istria la deprecabile opera di italianizzazione forzata sotto la spinta del più sfrenato e miope nazionalismo: sappiamo come andò a finire. (P.A.M.) (segue)
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